Uno sguardo sulla Scala

 di Giada Maria Zanzi

Nell’autunno del 1865, per un musicista oggi dimenticato come Bartolomeo Pisani (Costantinopoli 1811 - 1876) fu un vanto poter leggere sul frontespizio del libretto della sua Rebecca, su testo di Francesco Maria Piave, "composta espressamente per la Scala di Milano", una delle realtà teatrali più celebri al mondo, musa di illustrissimi compositori, dall'attività intensissima che ha ospitato e accoglie tuttora alcuni fra i più artisti da tutto il globo, meteore e stelle, ascese e cadute, tonfi e trionfi.

Il teatro prende il nome dalla chiesa di Santa Maria della Scala (voluta da Beatrice Regina della Scala, sposa di Bernabò Visconti), demolita alla fine del Settecento per cedere il posto al Nuovo Regio Ducal Teatro alla Scala, inaugurato il 3 agosto del 1778: per l’occasione Antonio Salieri, che ottiene l’incarico dopo il rifiuto di Gluck, vede rappresentata la sua Europa riconosciuta. Sin dagli albori, il Teatro alla Scala conta su orchestra, coro e corpo di ballo stabili, e dall’anno 1982, è anche sede dell’Associazione Orchestra Filarmonica. Nel 1996 nasce la Fondazione Teatro alla Scala, impegnata in imponenti lavori di restauro dell’edificio a partire dal 2002, i più significativi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale: il Teatro degli Arcimboldi diviene il nuovo palcoscenico della Scala finché la storica sala del Piermarini non riapre e celebra la sua modernizzazione rioffrendo al pubblico L’Europa riconosciuta di Salieri il 7 dicembre 2004. Nel 1951 si consacra il 7 dicembre, giorno di S. Ambrogio, patrono milanese, come data per l’inaugurazione della stagione lirica scaligera: la prima della Scala non è solo un evento musicalmente e culturalmente rilevante, oramai si tratta di un imperdibile appuntamento che catalizza sull’Italia e su Milano l’attenzione internazionale attraverso il genere operistico, fiore all'occhiello del Bel Paese. [segue]


Verri e la fisionomia dell’antico Teatro alla Scala

Fino ai primi anni del XIX secolo, i teatri lirici italiani animarono le vite cittadine con opere e balletti, ma anche gioco d’azzardo; costruiti prevalentemente in legno, erano soventemente soggetti a incendi soprattutto perché l’illuminazione era possibile soltanto con candele e lampade a olio, senza dimenticare che si soleva ricorrere a bracieri per riscaldare l’ambiente. I primi teatri d’opera milanesi furono sale private. Inizialmente la musica riecheggiava nelle corti nobiliari e, dal 1598, nel Palazzo Ducale, ove nel 1717 fu costruito il Regio Ducal Teatro, il principale teatro del capoluogo lombardo sino alla fondazione della Scala, anticipata dal provvisorio Interinale. Il progetto del Teatro alla Scala (supportarono economicamente dai palchettisti del Regio Ducal Teatro in cambio del rinnovo della proprietà dei palchi) fu affidato all’architetto Piermarini, mentre dobbiamo la decorazione pittorica a Giuseppe Levati, Giuseppe Reina e Domenico Riccardi che dipinse il sipario: i lavori iniziarono nel 1776 e terminarono due anni dopo. Come già accennato, i teatri erano anche luoghi adibiti al gioco d’azzardo, che fu una fonte di finanziamento anche per la Scala nei suoi primi anni di attività, comunque sempre supportata da quelle famiglie che vollero la sua edificazione e che ne mantenevano la proprietà attraverso le quote dei palchi e affidando la gestione ad abili impresari, mentre la platea era destinata al grande pubblico meno altolocato e talvolta al ballo. L’atmosfera teatrale settecentesca era completamente differente da quella che riscontriamo nei teatri odierni: il rigoroso silenzio che oggi impera, agli inizi della storia del teatro era totalmente assente, rotto dal chiacchiericcio proveniente dalla platea e dai palchi nobiliari. Le sere a teatro erano occasioni di incontri e confronti sociali, non momenti esclusivamente votati all’ascolto musicale, e durante quella dell’inaugurazione della Scala, il 3 agosto 1778, vi fu uno spettatore che non rimase colpito del tutto positivamente dalla cornice architettonica che ospitò L’Europa riconosciuta di Salieri: era l’illuminista milanese Pietro Verri, filosofo, storico, letterato nonché celebre economista, amante dell’arte e autore di importanti discorsi legati al concetto di gusto musicale e non solo. Verri non apprezzò la facciata del Piermarini e l'assenza di una piazza, che evrrà realizzata fra il 1857 e il 1861 su iniziativa dell'imperatore asburgico Francesco Giuseppe:

La facciata del nuovo teatro è bellissima in carta e mi ha pure sorpreso quando la vidi prima che si mettesse mano alla fabbrica, ma ora quasi mi dispiace. Nel disegno tu vedi la facciata come una sola superficie, nella esecuzione sono tre pezzi. Il portico di bugne si avanza molto e, servendo al passaggio delle carrozze che vanno al teatro, ti copre e offusca parte dell’edificio. Se ti scosti poi per vedere scemata la deformità, ti spunta un casotto in cima alla facciata che è poi il tetto assai alto. Questa facciata, poi, è piantata dove era il fianco della chiesa della Scala, e così, vedi, non ha piazza avanti a sé.

Al contrario, l’interno del teatro gli fece tutt’altra impressione:

Se ti ho fatto le note critiche sulla facciata che di rilievo ha grandi imperfezioni, io ti farò l’elogio dell’interno di questa magnifica fabbrica. Spira dappertutto grandezza di eleganza, la curva è riuscita così bene che in ogni parte che ti affacci ti sembra d’essere come al centro per rimirare il tutto insieme. Appoggiando le spalle all’orchestra mi pare di essere in una rotonda per l’illusione che mi fa comparire le logge non sovraimposte perpendicolarmente. Il ridotto è un appartamento reale: grandi sale a volta a trumeau ben mobiliate, bene illuminate. La gran sala del ridotto è il corpo di mezzo della facciata, ne ha due laterali e una parallela più interna; ha l’uso della terrazza sul portico, e non si può fare un ridotto più maestoso e comodo. Sono sei ordini di palchi di 36 palchi ciascuno, siccome lo era il vecchio teatro. […] La musica e le voci risuonan bene, la platea è a volta, i plachi e le loro divisioni sono di legno, tutto il restante è l’opera de’ muratori, le corsie, camerini e porte de’ palchi; si sta con animo tranquillo anche contro l’incendio.

Così scrisse Verri in una lettera indirizzata al fratello Alessandro, fornendo una testimonianza della peculiarità e funzionalità della bellissima struttura e del fasto generale della serata inaugurale, in occasione della quale furono dipinte meravigliose e fantasiose scenografie per uno spettacolo grandioso, in pieno stile scaligero. L’aspetto del teatro non rimarrà immutato nel tempo, subirà significativi cambiamenti e ristrutturazioni. In qualità di organismo vivo e pulsante, si adatterà alle necessità. Proseguendo nella lettura dell’epistola fra Verri e il fratello apprendiamo che il fondo del palco si appoggiava alla casa dei marchesi Talenti da Fiorenza, cioè quell’abitazione che sappiamo che negli anni successivi sarà acquistata e demolita per ricavare il retropalco; la prima metà del XIX secolo è all’insegna di importanti interventi sulla struttura del teatro, che cambia volto per adattarsi al canone neoclassico ottocentesco, inoltre la Scala si consacra come luogo privilegiato deputato alla rappresentazione del melodramma italiano, anche grazie alle messe in scena di opere di Rossini (che per la Scala scriverà espressamente La pietra del paragone, Aureliano in Palmira, Il turco in Italia, La gazza ladra e Bianca e Falliero), Mercadante (fra le tante, ricordiamo almeno Il bravo e Il giuramento), Donizetti (per esempio Gemma di Vergy, Lucrezia Borgia e Maria Stuarda), Bellini (Il pirata, La straniera e Norma) e Verdi. [segue]


L'Ottocento: Verdi, opera e non solo

Giuseppe Verdi esordisce al Teatro alla Scala nel 1839 con l’Oberto, conte di San Bonifacio, ottenendo grande apprezzamento da parte del pubblico che gli garantisce ulteriori commissioni; nel 1840 fa in scena con poco successo Un giorno di regno, mentre nel 1842 è la volta di Nabucco, che consacra il compositore di Busseto anche in virtù di quel patriottismo che il pubblico riconoscerà anche in opere come Giovanna d’Arco e I Lombardi alla prima crociata.

Quello che sembra essere un rapporto idilliaco continuativo è, però, destinato a un brusco arresto: controversie artistiche ed economiche fra Verdi e gli impresari teatrali insorte in occasione della rappresentazione della Giovanna d’Arco del 1845 spingono il compositore a interrompere i rapporti col Teatro alla Scala, che, orfano di Verdi, sembra attraversare un periodo non facile. Tuttavia, se può avvalersi solo di sporadiche apparizioni di titoli rossiniani, il teatro vanta comunque un’assidua presenza di opere belliniane e donizettiane. Dopo l’Unità d’Italia permane il prestigio del teatro milanese, fra difficoltà più o meno grandi e memorabili successi, nonché ritorni: nel 1869 Giuseppe Verdi ripropone La forza del destino, rivista dopo la prima versione che aveva esordito a S. Pietroburgo. In quegli anni vi è anche il debutto scaligero di Richard Wagner: nel 1873 abbiamo la rappresentazione del Lohengrin e la varietà di linguaggi, con l'attenzione al dibattito fra scuola italiana e novità tedesche, offerta dalla Scala garantisce sempre il successo e l'interesse del pubblico. In seguito al suo rientro, Verdi fece udire per la prima volta al pubblico milanese ed europeo l’Aida nel 1872, la nuova versione del Simon Boccanegra nel 1881, l’Otello nel 1887 e Falstaff nel 1893. Un altro grande nome per il Teatro alla Scala è quello di Ponchielli: la prima assoluta della Gioconda avviene nel 1876 proprio nel tempio (non solo) verdiano.

Celebri compositori hanno portato le loro opere alla Scala, ma, al compiere del primo secolo di attività, il Teatro alla Scala, nato per l’opera e il balletto, annovera anche numerose esecuzioni di musica sinfonica. Il 28 ottobre 1813 il trentunenne Nicolò Paganini, virtuoso violinista , si presenta al Teatro alla Scala: fra il 1813 ed il 1827 darà undici concerti e non sarà l’unico solista a esibirsi durante le stagioni concertistiche scaligere. Ricordiamo anche Alessandro Rolla, primo violino della Scala che si esibiva in coppia col figlio Antonio, anch’egli violinista, e Charles-Philippe Lafont, primo violino alla corte di Luigi XVIII, che tra l’altro sostenne una celebre sfida con Nicolò Paganini. Nel 1838 Franz Liszt porta le sue doti pianistiche a Milano contribuendo alla diffusione del repertorio cameristico. Anche il pianista Sigismund Thalberg e il contrabbassista Giovanni Bottesini hanno calcato le scene della Scala; grandi compositori ed esecutori hanno consacrato il proprio talento a questo magnifico teatro, dove compaiono anche i primi grandi direttori d'orchestra, a partire da Antonio Mazzucato, concertatore dal 1854 e il primo a salire sul podio con la bacchetta all'uso moderno nel 1866 per L'africana di Meyerbeer,  a Franco Faccio fino alla figura emblematica di Arturo Toscanini. [segue]


Toscanini e verso la Scala nel XX secolo

Gli ultimi anni dell’Ottocento scaligero vedono una serie di interventi di ristrutturazione accompagnati da emergenze sociali ed economiche che portano il teatro così come ci è noto a un periodo di chiusura dal 1897 al 1898: per un anno e mezzo funzionò, con un numero ridotto di elementi orchestrali, come auditorium per alcuni concerti (fra cui si segnalano la prima italiana della sinfonia Dal nuovo mondo di Antonín Dvořák diretta da Leandro Campanari del 14 novembre 1897 e il concerto del 22 marzo 1898 per celebrare il cinquantesimo anniversario delle Cinque Giornate di Milano diretto da Pietro Mascagni), ma soprattutto come sala da ballo e persino palestra per gare di scherma. La crisi del teatro venne superata anche grazie al mecenatismo culturale: il duca Guido Visconti di Modrone, già presidente della Banca Lombarda, si propose come presidente di una “Società anonima per l’esercizio del Teatro alla Scala” disposta a gestirlo senza scopo di lucro per tre anni. La Scala ritrovò così la solidità finanziaria.

Il 26 dicembre 1898 ebbe luogo lo spettacolo di riapertura del Teatro alla Scala: I maestri cantori di Norimberga di Richard Wagner (in italiano) dal grande Arturo Toscanini, estimatore di Verdi come dei grandi autori d'oltralpe e delle nuove generazioni italiane rappresentate da Mascagni, Boito e Puccini, che debutta alla Scala nel 1889.

Rispetto alla prassi di libertà concessa agli interpreti nei confronti della partitura, Toscanini si dedica a un’attenta analisi delle opere per porgerle al pubblico con un’esecuzione che fosse il più rigorosa e rispettosa possibile dell'autore, si prodiga per ottenere luci più basse e maggiore attenzione durante lo spettacolo, l'abbassamento dell'area destinata all'orchestra (buca o golfo mistico) rispetto alla platea, sul modello dei teatri wagneriani. Non mancarono tuttavia scontri e perfino accuse di arbitrarietà mossegli dall’editore Giulio Ricordi: il contrasto con Ricordi, che voleva impedire al direttore di intervenire sul libretto del Trovatore verdiano per ripulirlo da consuetudini stabilitesi nel tempo, col figlio di Visconti di Modrone e le visioni gestionali e musicali spesso contrastanti con le posizioni di Toscanini, lo portarono, come Verdi prima di lui, a lasciare la Scala polemicamente nel 1903.

Dopo un effimero rientro nel 1907 e le dimissioni di Toscanini nel 1908, il teatro subì altre importanti modifiche, in particolare furono eliminati ventiquattro palchi per far posto all'attuale prima galleria (nel 1891 importanti lavori già avevano riorganizzato il loggione nell'attuale seconda galleria) e il teatro si dotò della buca per l’orchestra, già voluta dal Maestro e messa in opera dal sovrintendente Gatti Casazza.

Dopo la Grande Guerra vi fu il ritorno, seppur non definitivo, di Toscanini alla Scala, che vi diresse, fra l'altro, il Falstaff inaugurale della stagione 1921/22, la prima come Ente Autonomo, e la prima assoluta della postuma pucciniana Turandot (25 aprile 1926). Nel 1931, il direttore, in seguito a un’aggressione subita dinnanzi al Teatro Comunale di Bologna per essersi rifiutato di eseguire Giovinezza e la Marcia Reale decise di abbandonare l’Italia. In seguito alla caduta del fascismo la penisola si riempì di manifesti inneggianti a Toscanini, che inaugurò la nuova Scala, ricostruita dopo un bombardamento del 1943,  l’11 maggio 1946.

Arturo Toscanini è certamente una delle figure di maggior rilievo della storia teatrale milanese: nel 1957 il Teatro alla Scala omaggiò il suo storico direttore, scomparso quell’anno, con l'esecuzione a porte aperte, diretta da Victor de Sabata, della marcia funebre dall'Eroica di Beethoven, inaugurando una tradizione che si ripeterà per lo stesso De Sabata, per Gavazzeni e per Abbado.

Nel 1982 nacque la Filarmonica del Teatro alla Scala per volontà di Claudio Abbado mentre nel 1996 fu costituita la Fondazione Teatro alla Scala.

Il Novecento ha portato parzialmente alla luce il volto scaligero odierno, che dobbiamo ai lavori di ristrutturazione e restauro che ebbero luogo dal 2002 al 2004.

La Scala non è solo un edificio: la sua storia, costellata di lotte, gioie, trionfi e difficoltà, dimostra che l’istituzione incarna un incondizionato amore per la musica e la cultura. La Scala non è un semplice teatro, è un simbolo. [segue]


Bibliografia

AA. VV., Giuseppe Verdi: lettere 1843-1900, Berna, Peter Lang, 2009.

AA. VV., Giuseppe Verdi: musica, cultura e identità nazionale, Roma, Gangemi, 2013.

Agugliaro, Siel, Teatro alla Scala e promozione culturale nel lungo Sessantotto milanese, Milano, Feltrinelli, 2015.

Barigazzi, Silvia, Giuseppe Barigazzi: La Scala racconta. Nuova edizione riveduta e ampliata, Milano, Hoepli, 2014.