Il privilegio del canto

 di Giada Maria Zanzi

 

Oralità e vocalità

La voce significante: il privilegio dell’uomo

Gioseffo Zarlino e il linguaggio musicale

Bibliografia

Oralità e vocalità

La vita è interrelazione: la società si fonda sull’interscambio ed è costituita da individui che condividono il proprio vissuto per arricchire se stessi e gli altri. Possiamo preservare e trasmettere il nostro sapere attraverso la scrittura, tuttavia è innegabile che una discussione sia il mezzo privilegiato per dissipare eventuali dubbi e interagire in maniera estremamente efficace. Le creature comunicano tra loro attraverso un determinato codice, comprensibile ai propri simili, cioè un particolare linguaggio, verbale e corporeo. Certamente i gesti rendono più incisiva un’orazione, ma la voce che anima il discorso è l’elemento che consente di raggiungere con assoluta certezza il nostro interlocutore. Esistono innumerevoli linguaggi di natura orale e la voce è ciò che li accomuna: seppur caratterizzati da idiomi differenti, esiste un innegabile carattere nelle voci umane che le rende suoni universali. Fra voce pura e linguaggio, cioè, per dirla coi filologi Corrado Bologna (Torino, 26 novembre 1950) e Paul Zumthor (Ginevra, 5 agosto 1915 – Montréal, 1 novembre 1995), fra vocalità e oralità, intercorre una sostanziale differenza: la prima raduna le caratteristiche che rendono unica una voce, mentre la seconda è legata alla sfera del mero linguaggio. L’oralità dipende dal buon funzionamento degli organi a essa deputati ed è sinonimo di razionalità, prerogativa umana, mentre la vocalità presenta più sfumature: il timbro, qualità precipua delle voci, riassume in sé la grandezza (come ogni altro suono, la voce ha una particolare intensità o volume, che è ciò che distingue un’emissione debole e fievole da una più robusta e udibile) e lo squillo della voce e, in ambito musicale, anche la formante degli armonici, cioè le sfaccettature che arricchiscono i suoni. Sempre musicalmente parlando, può designare il calibro o peso della voce, ossia leggero, lirico, ecc., o meglio contenere anche codesto carattere. È ciò che ci consente di distinguere, ad esempio, il suono di uno strumento musicale dalla voce umana; è, in generale, come un’impronta digitale: è il carattere uditivo dell’emissione e il colore ne è una sfumatura. Ogni voce è suono, ma non tutti i suoni sono voci: la vocalità, sonorità pura, è comunque intrinsecamente significante non solo in quanto specchio dell’interiorità e, come l’oralità, della salute psicofisica, ma anche perché le sopracitate peculiarità delle voci concorrono a suscitare emozioni (una voce chiara e squillante è generalmente accostata alla solarità, al contrario un timbro scuro trasmette cupezza); i colori, proprio come i pigmenti di una tavolozza, sono ciò che maggiormente trasmette nelle menti dell’ascoltatore immagini e analogie cui l’ascoltatore dà una valenza estetica personale, più o meno influenzata dal gusto comune. Per chiarire ulteriormente questo concetto, citiamo l’esempio della tosse, di ascendenza aristotelica, portato dal filosofo Giovanni Camillo Maffei da Solofra, musico, filosofo e medico galenico attivo nel XVI secolo, nella sua opera epistolare Discorsi filosofici del Signor Gio. Camillo Maffei da Solofra, libri due, dove tra gli altri bellissimi pensieri di filosofia, e di medicina, v’è un discorso sulla voce e del modo d’apparare di cantar di garganta, senza maestro: egli dichiara che

[la tosse] fandosi senza imagginatione di significare, quantunque vi concorra la motiva del petto, non può né da medici, né da filosofi chiamarsi voce

per rendere lampante l’imprescindibilità del contenuto e il fatto che l’emissione vocale è un atto volontario, inoltre ogni voce ha un’identità ben precisa, che la rende unica e irripetibile.


La voce significante: il privilegio dell’uomo

Col termine mousikē gli antichi greci designano una modalità organizzativa ritmico-fonetica tipica sia del linguaggio sia della musica. Nel Cinquecento, lo storico umanista Benedetto Varchi, comparando greco, latino e italiano, constata che l’armonia non è propria solo della musica, ma anche del linguaggio, caratterizzato dall’innalzamento e dall’abbassamento degli accenti. Ritmo, inflessione melodica e dinamiche espressive, in effetti, accomunano il parlato e la musica, il linguaggio e il canto. Cicerone, ispirato dalla prosa greca, strutturava ritmicamente le sue orazioni, alternando differenti periodi (combinando metrica e armonia delle parti), e soleva accompagnarle col suono di tamburi per dare maggiore vigore alle parole; la musica potenzia la verbalità e, in quest’ottica, il canto, che non è altro che un parlare intonato, rende musicale e ancor più piacevole all’orecchio un discorso, oppure svela il messaggio che la voce pura reca dentro di sé.

Nel Seicento, il celebre filosofo, teologo e matematico francese Marin Mersenne conferisce alla voce grande valore in quanto è, a suo avviso, volto dell’anima. I tratti di un viso colpiscono gli occhi, la voce, grazie alle sue qualità acustiche, reca con sé immagini sonore dell’interiorità degli individui. Il ruolo dell’immaginazione, già individuato da Sant’Agostino (e da Aristotele prima di lui; lo Stagirita, nel trattato De anima, nel IV secolo a.C. circa, paragona il corpo umano a un vaso teatrale, asserendo che la voce umana risuoni nella cavità uditiva, satura di un’aria assai più fine di quella esterna ad essa, che la forgia attraverso gli organi preposti alla fonazione e grazie alle immagini che la vocalizzazione comunica a chi ascolta), è indubbiamente importante in ambito vocale, tuttavia immaginare non significa necessariamente organizzare e produrre un discorso e la voce non è sinonimo di articolazione; il linguaggio coincide piuttosto con un particolare modo di porgere la voce stessa che ci differenzia dagli animali.

Nel proemio alle Istituzioni armoniche, pubblicate a Venezia nel 1558, Gioseffo Zarlino (Chioggia, 31 gennaio 1517 – Venezia, 4 febbraio 1590), compositore e teorico musicale, afferma che la voce articolata, cioè il linguaggio, è il più grande dono di Dio all’uomo, in quanto, come riteneva anche Aristotele, è ciò che, appunto, ci differenzia dalle bestie. Anche Maffei, nei Discorsi filosofici, identifica la voce in generale, il suono puro e non solo il linguaggio, come un prezioso dono divino: in particolare, si sofferma sulla voce del medico, che ottiene la sua autorevolezza proprio da Dio; per questo motivo la voce di un vero medico è addirittura curativa, egli diviene quasi un eletto fra gli uomini e la pratica medica non è più solo un mestiere. In epoca rinascimentale, quando visse e operò Zarlino, la voce si configura come un potente mezzo comunicativo: sulla base di precetti ereditati dalla tradizione greca classica, le voci non veicolano solo concetti, ma soprattutto emozioni, che penetrano nell’animo umano, incontenibili e inarrestabili, toccando le più intime corde dei nostri cuori ancor prima di raggiungere le nostre menti, cioè il nostro lato, per così dire, più razionale e cogitativo.


Gioseffo Zarlino e il linguaggio musicale

Nella prima metà del Cinquecento, dopo essere entrato a far parte dell’ordine dei frati francescani e aver ricevuto l’ordinazione sacerdotale, Zarlino studia col Maestro di Cappella della Basilica di San Marco, Adrian Wuillaert, compositore fiammingo fondatore della scuola veneziana; nella seconda metà del XVI secolo è ancora a Venezia e diviene egli stesso Maestro di Cappella a San Marco. Anticipatore dell’armonia tonale (che come disciplina autonoma e formalizzata nasce nel Settecento col Traité de l’harmonie di Jean-Philippe Rameau), a Gioseffo Zarlino dobbiamo composizioni musicali di valore nonché un significativo apporto alla teoria contrappuntistica. La sua fama è certamente legata ai suoi ampi e approfonditi studi musicali, e in particolare alle Istituzioni armoniche, il trattato in cui, in pieno accordo con la sensibilità rinascimentale, asserisce che la musica è una scienza esatta e precisa, come l’aritmetica a cui è strettamente connessa, fondata sulla quantificazione di voci e suoni musicali. Dobbiamo però sottolineare che, nel suo trattato, Zarlino dà grande rilievo alla sfera metafisica: la componente divina è fortemente preponderante in quegli anni e l’autore delle Istituzioni armoniche è prima di tutto un uomo di Chiesa. La musica è finalizzata alla pratica della fede, la mente e le espressioni umane sono rivolte a chi le ha create. Dio ha concesso all’uomo la vita e il creato lo ricambia, venerandolo intonando soavi melodie. Nell'immagine rinascimentale dell'uomo sospeso fra dimensione bestiale e angelica, la musica si fa dunque espressione di questa duplice natura, ma, pur esprimendo anche le passioni più terrene, nella sua forma più alta e pura rappresenta l'elevazione dell'essere umano verso la perfezione divina.

Scrive Zarlino nel proemio alle Istituzioni armoniche:

Molte fiate, meco pensando e rivolgendomi per la mente varie cose che il sommo Iddio ha per sua benignità donato a mortali, ho compreso chiaramente che tra le più meravigliose è l’aver conceduto loro particolar gratia di usar la voce articolata, col mezzo della qual sola fosse l’uomo sopra gli altri animali atto a poter mandar fuori tutti quei pensieri che avesse dentro nell’animo concepito; e non è dubbio che per essa apertamente si manifesta quanto egli sia dissimile dalle bestie e di quanto sia loro superiore; e credo che si possa dir veramente cotal dono essere stato di grandissima utilità all’umana generazione, percioché niuna altra cosa se non il parlare indusse e tirò gli uomini, i quali, da principio, erano sparsi nelle selve e nei monti, vivendo quasi vita da fiere, a ridursi ad abitare e vivere in compagnia, secondo che alla natura dell’uomo è richiesto, e a fabbricar città e castelli, e uniti per virtù dei buoni ordini conservarsi, e, contrattando l’un con l’altro, porgersi aiuto in ogni lor bisogno. Essendosi per questa via a vicinanza ragunati e congiunti, fu poi conosciuto di giorno in giorno per prova quanta fosse la forza del parlare, ancora che rozzo. Onde alcuni di elevato ingegno nel parlare cominciarono a mettere in uso alcune maniere ornate e dilettevoli con belle e illustri sentenze, sforzandosi di avanzar gli altri uomini in quello che gli uomini restano superiori agli altri animali. Né di ciò rimanendo satisfatti tentarono di passare ancora più oltre, cercando tuttavia di alzarsi a più alto grado di perfezione, e, avendo per questo effetto aggiunto al parlare l’armonia, cominciarono da quella ad investigar vari ritmi e diversi metri, li quali, con l’armonia accompagnati, porgono grandissimo diletto all’anima nostra.

La voce articolata è ciò che differenzia l’essere umano dall’animale e il linguaggio musicale rappresenta un passaggio successivo rispetto al parlato, il cui scopo è dilettare gli animi; Zarlino identifica con precisione gli stadi attraversati dal dono di Dio agli uomini: la fonazione che si fa voce articolata e ci eleva al di sopra degli altri animali è, innanzi tutto, comunicazione volta all’interazione sociale; il passo successivo nonché punto di arrivo è il discorso musicale, coincidente col lodare la divinità cantando. A tal proposito, Zarlino fornisce una precisa definizione di musica:

Ma intendendosi allora per la musica una somma e singolar dottrina, furno i musici tenuti in gran pregio ed era portata loro una riverenza inestimabile. Benché o sia stato per la malignità de tempi o per la negligenza degli uomini che abbiano fatto poca stima non solamente della musica, ma degli altri studi ancora, da quella somma altezza nella quale era collocata è caduta in infima bassezza; e dove le era fatto incredibile onore è stata poi riputata si vile e abietta e si poco stimata che appena dagli uomini dotti per quel che ella è viene ad esser riconosciuta; e ciò mi par che sia avvenuto per non le esser rimasto né parte né vestigio alcuno di quella veneranda gravità che anticamente ella era solita di avere. Onde ciascuno si ha fatto lecito di lacerarla e con molti indegni modi trattarla pessimamente. Nondimeno l’ottimo Iddio, a cui è grato che la sua infinita potenza, sapienza e bontà sia magnificata e manifestata dagli uomini con inni accompagnati da graziosi e dolci accenti, non li parendo di comportar più che sia tenuta a vile quell’arte che serve al culto suo e che qua giù ne fa cenno di quanta soavità possano essere i canti degli Angeli, i quali nel cielo stanno a lodare la sua maestà, ne ha conceduto grazia di far nascere a nostri tempi Adrian Wuillaert, veramente uno de più rari intelletti che abbia la musica pratica giammai esercitato, il quale, a guisa di nuovo Pitagora, esaminando minutamente quello che in essa puote occorrere e ritrovandovi infiniti errori ha cominciato a levargli e a ridurla verso quell’onore e dignità che già ella era e che ragionevolmente doveria essere; ed ha mostrato un ordine ragionevole di comporre con elegante maniera ogni musical cantilena, e nelle sue composizioni egli ne ha dato chiarissimo esempio.

La musica è un’arte nobilissima, così come chi la pratica. Tuttavia, ci riferisce l’autore, la negligenza dell’uomo l’ha corrotta: essa ha attraversato una fase buia, durante la quale la sua rilevanza non era riconosciuta. Lo scopo della musica è omaggiare la divinità: Dio ha donato la vita a Wuillaert affinché riportasse tale arte al suo antico splendore ed egli ha donato alla musica un nuovo volto e, soprattutto, nuovi precetti, capitali secondo Zarlino. Lo scopo delle Istituzioni armoniche di Gioseffo Zarlino è appunto regolare quest’arte, fondata sul rigore:

Ora perché ho inteso che vi sono di molti, de quali parte per curiosità e parte veramente per volere imparare, desiderano che alcuno si muova a mostrar la via del comporre musicalmente con ordine bello, dotto e elegante, io ho preso fatica di scriver le presenti Istituzioni, raccogliendo diverse cose dai buoni antichi e ritrovandone ancora io di nuovo per far prova se io potessi per avventura esser atto a satisfare in qualche parte a cotal desiderio e all’obbligo che ha l’uomo di giovare agli altri uomini. Ma vedendo che si come a chi vuol esser buon pittore e nella pittura acquistarsi gran fama non è abbastanza l’adoprar vagamente i colori se dell’opera che egli ha fatta non sa render salda ragione, così a colui che desidera aver nome di vero musico non è bastante e non apporta molta laude l’aver unite le consonanze quando egli non sappia dar conto di tale unione; però mi son posto a trattare insiememente di quelle cose le quali e alla pratica et alla speculativa di questa scienza appartengono, a fin che coloro che ameranno di essere nel numero di buoni musici possano, leggendo accuratamente l’opera nostra, render ragione dei loro componimenti; e benché io sappia che il trattare di questa materia abbia in sé molte difficoltà, nondimeno ho buona speranza che, ragionandone con quella brevità che mi sarà possibile, la mostrerò chiara e facilissima, aprendo tali secreti di essa che ogn’uno per avventura in gran parte ne potrà rimaner satisfatto.

La voce cantante è il frutto della disciplina: educare la propria voce al canto equivale al cammino individuale che porta il proprio spirito a elevarsi in una sempre più profonda conoscenza di sé, in quanto strumento musicalmente accordato con il cosmo. Platone, concorde col suo discepolo Aristotele, ritiene che la bellezza sia sinonimo di virtù, per questa ragione la bella musica raggiunga l’uomo nel profondo, risultando un ottimo mezzo didattico: indubbiamente, lo studio della musica e in particolare la pratica canora aiutano a costruire la propria identità e a rivendicare l’unicità che rende meravigliosa ogni esistenza, ogni vita. Educare la propria voce al canto significa imparare a conoscere se stessi, crescere coerentemente con la natura che ci circonda, in armonia fra il macrocosmo e il microcosmo costituito da ogni individuo; attraverso la musica porgiamo al prossimo il mondo interiore che ci contraddistingue. Cantando le nostre passioni veicoliamo affetti, trasmettiamo racconti, entriamo a far parte della sinfonia (in senso etimologico di unione sonora) universale, e, forse, riusciamo a echeggiare in eterno, lasciando un’indelebile traccia del nostro passaggio.


Bibliografia

ARISTOTELE, Opere, 11 voll., Roma, Editori Laterza, 2007.

Bologna, Corrado, Flatus vocis, Bologna, Il Mulino, 1992.

De Marinis, Marco, Geroglifici del soffio: poesia-attore-voce fra Artaud e Decroux nel Novecento teatrale, in «Culture teatrali», No. 20, Teatri di voce, I Quaderni del Battello Ebbro, (Giu. 2011).

DÜRING, Ingemar, Aristotele, Milano, Mursia, 1966.

Gerbino, Giuseppe, Il canto di Serafino e il dilemma degli umanisti, in L’attore del Parnaso. Profili di attorimusici e drammaturgie d’occasione, a cura di Francesca Bortoletti, Milano, MIMESIS, 2012.

Gozza, Paolo, Iconologia della voce, in L’immagine musicale, a cura di Paolo Gozza, Milano, Mimesis, 2015.

GUANTI, Giovanni, Estetica musicale. La storia e le fonti, Firenze, La nuova Italia, 1999.

Maffei, Giovanni Camillo, Discorsi filosofici del Signor Gio. Camillo Maffei da Solofra, libri due, dove tra gli altri bellissimi pensieri di filosofia, e di medicina, v’è un discorso sulla voce e del modo d’apparare di cantar di garganta, senza maestro, Raymundo Amato, Napoli, 1562.

WUIDAR, Laurence, L’immagine musicale riflesso dell’eternità. Note agostiniane, in L’immagine

musicale, a cura di Paolo Gozza, Milano, Mimesis, 2015.

Zarlino, Gioseffo, Le istitutioni armoniche, Venezia, Francesco de’ Franceschi Senese, 1561, rist. an., Sala Bolognese, Arnaldo Forni Editore, 1999.