Fare di più è un dovere, non una libertà

 di Gina Guandalini

Rockwell Blake torna in Italia per un Master all'Accademia della voce di Torino: un'ulteriore occasione per apprezzare lo spirito e la saggezza di uno dei grandi interpreti e studiosi del belcanto ottocentesco.

TORINO, 15 marzo 2016 - È tornato a insegnare all’Accademia della Voce, organizzata a Torino da Armando Caruso, l’ultimo dei belcantisti infuocati: Rockwell Blake. È molto bello sapere che il suo rapporto con il nostro paese prosegue felicemente, che la scuola del quartiere Crocetta gli garantisce l’accoglienza e la continuità che il suo valore merita; che Caruso lo considera un fiore all’occhiello, che gli studenti pendono dalle sue labbra, che a questo artista americano apprezza molto la città, i suoi abitanti e la sua gastronomia.

Ma ad affascinare, in questa situazione, è soprattutto il progresso che mezz’ora di ascolto, ripetizione e discussione riesce a far compiere al giovane cantante. Siamo in una semplice, modesta aula scolastica, ma con la pedana per l’esibizione dell’allievo e un pianoforte, suonato con abilità da Leonardo Nicassio. Un tenore giapponese affronta un’aria “finta semplice”, "La donna è mobile". Blake lo interrompe: “Due cose. Non deviare da quello che è scritto e non alleggerire. La leggerezza non è una strada nuova”. Il novello Duca di Mantova deve poi meditare su altri appunti: “Se non ce la fai a tenere la corona, non tenerla!” E al pianista il docente ordina “ Se lui ritarda non aspettarlo”. Né Rossini, né Verdi, ricorda, erano disposti ad “aspettare” il cantante. Che poi i problemi siano – come sempre – di emissione lo conferma l’ultimo avvertimento: la vocale E è fuori posto, deve assolutamente migliorare.

Un altro nipponico, più giovane e belloccio, affronta quello che deve essere l’incubo di ogni studente di vocalità: cantare “O fiamma soave” della Donna del lago davanti a Rockwell Blake. I problemi sono evidenti. Ed ecco che Blake – che con questo tenore parla inglese - sembra esternare riflessioni storico-filosofiche: “I vecchi maestri dicevano che Rossini era per così dire propedeutico a Verdi, ma tu, chi sa perché, applichi la tesi opposta. Tu esegui agilità accettabili ma frasi spianate ingorgate. Dello stile non ce ne importa un tubo” (letterale) “ se tu non canti bene, se quel diminuendo non funziona”. Poi gli consiglia di cantare con calma, senza “frenare “ così spesso; e alla ripetizione di una frase-chiave c’è un leggero miglioramento, il legato e la continuità sono più evidenti. Altro avvertimento: non usare tutto il fiato di cui si dispone. L’esempio che viene subito proposto, sulla frase “non ho più consiglio” rievoca agli spettatori l’accorta distribuzione dei fiati del Blake degli anni d’oro. Quando al giovanotto Rocky chiede quali altri brani intende portare, lui risponde “da Cenerentola e da Guillaume Tell”; e persino il pianista sorride quando l’insegnante controbatte “Io però vorrei sentire Amarilli….”. Una piccola doccia fredda sulle ambizioni dei novellini; ma il consiglio di affrontare prima le ariette arcadiche è piena di buonsenso. Nel frattempo, una giovane donna bruna, celandosi in parte dietro il pianoforte, si toglie le scarpe, stende il suo soprabito sul pavimento, poi si sdraia; assume varie posizioni supine e bocconi con il corpo e con le braccia; si rialza; si rimette le scarpe; torna a stendersi per terra. Esibizione indecorosa o tecnica yoga di rilassamento? Decidano i lettori.

Tocca ora a un tenore dal fisico appunto tenorile, dunque non molto alto e slanciato. Si rivela subito già padrone di un buon professionismo. Ne diciamo il nome perché merita che si sappia: è il cagliaritano Moreno Patteri, già in carriera da qualche anno. Canta un cavallo di battaglia di Rockwell Blake, l’aria “D’ogni più sacro impegno, da L’occasione fa il ladro. Dopo le prime frasi Rocky gli fa simpaticamente il verso, ma si tratta di manchevolezze minime e la ripetizione permette all’esecutore di sfoggiare ampiezza di fiati e buona messa di voce. “Allarga quella E”, “i problemi di tutti i giorni coinvolgono anche il modo in cui si canta, e questo è un fatto da affrontare” , “fare di più è un dovere, non una libertà”, “nelle frasi concitate ci sono molte armi da utilizzare oltre al forte ” sono alcune delle osservazioni di Blake. Che quando Moreno segnala una difficoltà dopo l’ampia enunciazione di “Péra chi vuol costringere”, “Qui non ce la faccio con i fiati”, da eroe della tecnica controbatte “Ma no, è facile”. E poi naturalmente spiega come si affrontano i fiati ampi, insistendo che vanno preparati e non improvvisati. La spiegazione è molto interessante e allorchè suona il cellulare di Rocky, lui lo smonta con impazienza in vari pezzi. La difficilissima conclusione della difficile aria rossiniana (“ qui ci vuole ironia, non chicchirichì”) è portata a termine da Patteri con ogni onore, e il docente glielo riconosce.

Tocca ora alla “yogista” (o “Yogini”?), una ragazza francese che comunica con Blake in inglese. Presenta il rondò di Cenerentola, che per la sua voce piccola, carente di appoggio e legato e scarsa di timbro è certo molto ardua. “È difficile”, la interrompe Blake; e segue un minuto di silenzio.

Con calma e pazienza ma anche fermezza diagnostica subito i problemi. “Non stai cantando bene; non ti è consentito abbreviare nulla; devi cantare bene nel registro grave; Angelina è innocente e vulnerabile ma non sul piano vocale; e tu hai troppe debolezze vocali”. La ragazza ricomincia da capo, ma i problemi non mutano. “Le premesse sono sbagliate”, interviene Rocky; “le agilità aspirate non sono un espediente, sono sempre un errore.”. Qui la giovane francese spiega che proviene dal canto barocco e deve perciò dimenticare tutto quello che le hanno insegnato. “Il nuovo barocco”, precisa Blake. “E’ solo una maniera viennese di fare tutto in fretta. Liberati dall’idea che le note debbano essere tutte uguali ! In “soffrì tacendo il core”, “il core” va CANTATO! “Sei tu al potere! Mostrami che cosa sai fare di tutte queste note!” È raro che il docente debba intervenire anche sull’intonazione, ma in questa difficile frase rossiniana è necessario. Fa poi ripetere più volte alla ragazza l’attacco dell’aria, sempre segnalando il non-canto. E riflette "Sto solo cercando di insegnarle quello che avrebbero dovuto insegnarle a 14-16 anni!”.

L’ennesima ripetizione della prima parte di “Nacqui all’affanno” mostra che i problemi non possono essere stati sormontati se non in piccola parte. Come insegnamento finale Rocky ricorda alla francese “Nulla ti impedisce di cantare con calma”. L’immenso problema dell’attuale scuola di pensiero che stravolge i principi del canto non lo trova esitante: “Deve cantare usando anche il registro di petto, con vigore, senza debolezze”. Indi ricorda “ Bonynge mi raccomandò di studiare il manuale di Quantz sulle appoggiature”. Argomenti che i neobarocchi respingono tetragoni, e che un diffusore del belcanto di Garcia non può non portare avanti con tutta l’energia che possiede.

Una ragazza sudamericana dal viso che sembra una miniatura persiana presenta quindi uno showpiece di coloratura, “Glitter and be gay” da Candide di Bernstein, e se la cava con tutti gli onori, nonostante il raffreddore che la affligge. Quasi l’unica critica del docente americano è che la sua pronuncia è un po’ troppo inglese (lei infatti abita in Inghilterra). Anche in questo caso si tratta infatti di dare qualche input o di correggere dei dettagli a un giovane cantante già tecnicamente bene impostato e sperimentato. La seconda volta che si presenta, il compito che le assegna il docente è di recitare tutto il testo; solo problemi di pronuncia americana, dunque.

A un baritono italiano di voce leggera l’entrata di Dandini “Come un’ape nei giorni d’aprile” riesce abbastanza sicura; ma Rockwell Blake ha appunti da rivolgergli. Mai fare sussulti vocali o trucchi simili per attirare l’attenzione su qualche frase; restare sempre nel personaggio, la voce non deve mai scappare di mano, come un mitra nei film comici. Il ricordo personale del nostro grande vocalista è il Dandini di Montarsolo, e nonostante l’indubbia stima di base, lo rievoca come scene-stealer, come intenzionato a rubare la scena con tutti i trucchi possibili, vocali e scenici. Il vertice delle astuzie di palcoscenico, comunque, Blake lo ha visto con Alan Titus, che nei panni di Don Magnifico irrompeva in scena minacciando le figlie non con il tradizionale cuscino , ma con il contenuto di un vaso da notte…

Molti problemi ha un tenore greco che affronta “Languir per una bella” dall’Italiana in Algeri – e non parla italiano. Anche in questo caso la master class diventa una beginner’s class, un corso lampo per principianti dell’emissione. “Perché fai tante frenate e soste?” ( un modo diplomatico di segnalare che appoggio sul fiato e di conseguenza legato sono inesistenti) “Perché devo pensare a che cosa voglio fare”…. "Devi imparare a criticare te stesso, ma perdere l’atteggiamento di discutere con te stesso. Qui le premesse sono scorrette. Se non hai voce, non puoi essere un cantante. E poi le parole italiane ti strangolano. Perché canti tutto strangolato?” e ancora “Il tuo piano è pessimo, tu frusti il cavallo per farlo fermare.” Poi fa appoggiare al muro in tutta la sua altezza l’aspirante tenore; non è una punizione, ma è, perché assuma consapevolezza del proprio corpo. C’è infine la questione di quello che Rocky definisce la Post Performance Assessment, la valutazione dopo la recita. Molti insegnanti dicono che non puoi sentire la tua voce e perciò non devi ascoltarla. Non è vero, afferma.

Il consiglio di ascoltare se stesso va anche al tenore giapponese che aveva presentato “La donna è mobile” e ora ritorna per affrontare “Tombe degli avi miei” con ancora maggiore sicurezza. Rocky si appunta sui suoi difetti minimi, correggendo il peso vocale e i tempi all’interno delle frasi. Un singolo appunto che fa ridere tutti al momento di “Mai non passarvi, o barbara!”: “Avevo una zia che si chiamava Barbara, sembra che tu la stia chiamando. Non abusare del forte”.

Il giorno dopo una incredibile inattesa nevicata copre Torino e anche attraversare la strada presenta problemi. Nasi e gole ne risentiranno, penso, e come sempre, la consapevolezza di non dover cantare mi consola. Lascio l’amico Rocky ai suoi discepoli, disastrati e avviatissimi, provetti e ingenui, ma tutti sinceramente coinvolti, nella speranza che l’appuntamento biennale con l’Accademia della Voce diventi una realtà consolidata.