Il Settecento musicale bolognese

 AA.VV

Nel 2006 Bologna è stata dichiarata dall’Unesco Città Creativa della Musica: quest’arte è parte integrante della storia e della vita del capoluogo emiliano, oggi come nei secoli passati: basti pensare alle circa centocinquanta chiese che dove­vano essere attive in questo senso attorno al 1700, al centinaio di organi antichi superstiti, ai numerosi palazzi gentilizi che erano soliti ospitare accademie, concerti, oratorii, opera e balli, secondo quanto attestano i libretti e le cronache del Sei-Settecento.

Padre Giovan Battista Martini

Wolfgang Amadé Mozart

Bernacchi e i castrati

Farinelli

Bibliografia

Padre Giovan Battista Martini

Padre Martini divenne celebre in tutta Europa come compositore, grande teorico ed eccelso didatta della musica, dedicantosi  anche allo studio della matematica e dell’acustica. Lo te­stimonia tra l’altro la fitta corrispondenza che ebbe (circa cinquemila lettere ricevute) con estima­tori, personaggi illustri, uomini di cultura, cantanti e musicisti affermati, della sua epoca. Giambattista Martini nacque a Bologna il 24 aprile 1706. La sua casa natale, ancor oggi visibile nel centro storico bolognese, era situata al numero 98I (attuale n. 57) di via Pietralata e attigua alla chiesa di Santa Cristina.

Il piccolo Giambattista fu avviato allo studio della musica dal padre, violinista e violoncellista dilettante. Fu in seguito allievo di Angelo Predieri per il canto, cembalo e l’armonia. A quindici anni, sentì il desiderio di abbracciare la vita religiosa e fu ricevuto dai Frati Minori Conventuali del S. Francesco. Trascorse l’anno del noviziato a Lugo di Romagna e fece ritorno a Bologna per intraprendere gli studi filosofici e teologici. Fu nominato nel 1725 maestro di Cappella della Basilica di S. Francesco, restandovi per un sessantennio circa, fino alla morte, avvenuta nel 1784, all’età di 78 anni. La sua vita si svolse per lo più a Bologna, in particolare nel convento di S. Francesco; com’egli stesso dirà, “senza uscir di cella” potrà comunque “conversare e trattar con più d’uno di certi anche antichi maestri” grazie al patrimonio documentario da lui stesso acquisito e grazie anche alle frequenti visite di coloro che giungono a Bologna per conoscerlo, consultare la sua ricca biblioteca e ascoltare le esecuzioni delle sue musiche. Padre Martini, infatti, fu uno storico appas­sionato che creò un’immensa biblioteca musi­cale (circa diciassettemila volumi), in un’epoca in cui le biblioteche pubbliche erano poco numerose ed i repertori bibliografici quasi inesistenti. L’acquisto e la copia di manoscritti e stampe erano legati non solo alla disponibilità eco­nomica di Martini, ma anche a scambi delle sue (o altrui) opere con librai ed editori e, in­fine, alla sua notorietà, che gli assicurava molti doni librari.

Oggi i volumi della Biblioteca martiniana sono divisi tra la Biblioteca del Museo Inter­nazionale della Musica, il Museo Civico (oggi Medievale e Moderno), il Conservatorio G. B. Martini e la Biblioteca dell’Archiginnasio.

Un altro aspetto importante di Padre Martini è quello, ereditato dopo il magistero di Perti, di didatta: fu definito infatti “Padre di tutti i maestri”. Egli venne stimato non solo come insegnante di grande valore, ma anche come persona piena d’amore e di generosità verso gli altri. Tra i suoi allievi (più di cento), i più illustri furono senz’altro il giovane W. A. Mozart e J. C. Bach (figlio di J. S. Bach).

Hanno detto di Padre Martini: “Quanto lui sta facendo resterà, mentre il poco ch’io ho fatto è già passato e dimenticato” (Farinelli a Burney, 1770), “Mi rammarico nel vedermi lontano dalla persona del mondo che maggiormente amo, venero e stimo” (Lettera di Mozart del 4 settembre 1776), “Il mondo perse in lui un grandissimo uomo e noi, oltre la perdita comune col mondo, abbiam perso un tenero padre, un sincerissimo amico” (Lettera di Johann Darbes a Stanislao Mattei, 8 giugno 1785), “[...] per trent’anni a dar lezione senza alcuna ricompensa a tanti scolari che da tutte le parti dell’Europa da lui correvano [...]” (Morellato in una lettera del 1784).


Wolfgang Amadé Mozart

Mozart nacque a Salisburgo nel 1756. Il padre Leopold, compositore e violinista, si accorse del talento precoce del figlio e lo av­viò fin dai primi anni allo studio della musica. A soli quattro anni compose il suo primo mi­nuetto (K. 1) e ben presto si trovò ad essere ospite nelle più importanti città e corti euro­pee. All’età di quattordici anni compì il primo dei suoi tre viaggi in Italia, e Bologna fu sicu­ra­mente una delle tappe più importanti di quel viaggio; nel corso di una prima breve sosta nel mese di marzo del 1770 Wolfgang, ac­compagnato dal padre, entrò in contatto con l’ambiente culturale bolognese, esibendosi in una Accademia musicale nel palazzo del conte Gian Luca Pallavicini (che divenne loro protettore) in Strada S. Felice; tornò quindi a Bologna in luglio e vi si trattenne fino alla metà di ottobre, soggiornando nella magni­fica Villa Pallavicini alla Croce del Biacco, un piccolo paese fuori porta S. Vitale che contava allora poco più di trecento abitanti.

In quel periodo Wolfgang andava quotidiana­mente a lezione da Padre Martini, che sarà di grande importanza per la sua educazione e formazione musicale. Con lui migliorerà l’arte del contrappunto, vedendolo, forse per la prima volta, non più come arido accademismo fine a se stesso, ma come vero elemento di bellezza. Lo stesso Mozart, nelle successive esperienze contrappuntistiche, si ricorderà con nostalgia degli insegnamenti di Padre Martini: “Oh quante e quante volte desidero d’esser più vicino per poter parlare e raggionar con Vostra Paternità molto Reverenda!” (Sali­sburgo, lettera del 4 settembre 1776). Sempre sotto la guida dell’abate, si preparò a sostenere l’esame di aggregazione alla celebre Accademia Filarmonica di Bologna.

L’aggregazione all’Accademia Filarmonica di Bologna costituiva un titolo particolarmente importante per i compositori di tutta Europa e poteva essere ottenuta sostenendo un difficile esame, consistente nel realizzare a quattro voci una antifona tratta dal graduale romano. Il giovane Mozart non possedeva ancora completamente le regole del contrappunto e la sua prova non risultò del tutto conforme ai rigidi canoni ac­cademici, tanto che fu necessario l’intervento di Padre Martini il quale, intuendo il genio del giovinetto, cercò di correggere il compito per poterlo ammettere all’Accademia. Così gli fece ricopiare il compito d’esame dopo averlo riscritto egli stesso in uno stile osservato che fosse giudicato idoneo dalla commis­sione. Nell’attestato finale Padre Martini giustifica (segretamente) il proprio gesto, spiegando di aver notato le grandi doti del giovane:

Avendo avuto sotto gli occhi alcune compo­sizioni musicali ed avendolo più volte ascoltato suonare il cembalo, il violino e can­tare […], con mia singolar ammirazione l’ho ritrovato versatissimo in ognuna delle accen­nate qualità musicali.

Lo stesso Mozart nu­trirà sempre molto affetto per l’anziano teo­rico. Ottenne il diploma il 9 ottobre 1770 e fu ag­gregato alla “forastiera”, cioè come membro non residente a Bologna e quindi non soggetto a particolari obblighi. Dopo questo fruttuoso soggiorno a Bologna, Mozart fece ritorno in Austria, pur conti­nuando a viaggiare in tutta Europa. 

Al soggiorno di Mozart a Bologna sono legati numerosi personaggi, tra cui il celebre Fari­nelli.


Bernacchi e i castrati

I castrati furono figure di primo piano nel teatro in musica fino al 1800. L’origine dei castrati non è mai stata ben chiarita. Si sa che essi esistevano già nell’antichità, utilizzati come guardie negli harem o addetti al culto divino, molti di loro probabilmente furono dei cantanti. Tuttavia non si sa con esattezza quando si iniziò a castrare i bambini per mantenere la loro voce edutilizzarli come cantori.

Secondo gli storici, la pratica della castrazione, alla fine del Cinquecento, fu una conseguenza della proibizione di Papa Sisto V alle donne di esibirsi durante le funzioni liturgiche, ritenendo che S. Paolo avesse espressamente proibito alle donne di cantare in chiesa con le parole “mulieres in ecclesiis taceant” nella prima lettera ai Corinzi. Per questo motivo, quando era necessario l’utilizzo di voci acute, dovevano essere impiegati bambini, falsettisti o evirati. Questi ultimi meglio corrispondevano all’idea di canto “divino”, apparendo nella casa di Dio come angeli cantori. Si calcola che tra il 1770 e il 1780 vi fossero nelle chiese di Roma più di duecento evirati.

La castrazione avveniva in diverse città d’Italia, seppure rimaneva una pratica clandestina e sempre giustificata dai chirurghi e dalle famiglie come neutralizzazione di un trauma (caduta da cavallo, morsi, malattie), per non rischiare di andare incontro alle severe pene dell’epoca per chi la praticava. Operavano i barbieri di Napoli e della Puglia, i dottori di Bologna, all’epoca considerati i migliori della Penisola, non solo per questa pratica ma per qualsiasi intervento chirurgico, e i norcini. I bambini erano operati in condizioni igieniche oggi impensabili, con una mortalità elevatissima, tutti tra gli otto e i dieci anni. L’età limite era dodici anni. Molti di loro non riuscivano nel canto, o per mancanza di disciplina nello studio o perché la voce era comunque rimasta sgraziata. Solo un'esigua percentuale arrivava al successo.

Fra questi si distinse il bolognese Antonio Maria Bernacchi (Bologna 1685 - ivi 1756), allievo del Pistocchi (palermitano trasferitosi nella città petroniana come Accademico Filarmonico), virtuoso soprannominato il re dei cantanti. Intrattenne un fitto epistolario con il Metastasio e, dopo un'illustre carriera internazionale, fu docente di canto fra i più rinomati d'Europa, maestro del tenore Anton Raaf (primo Idomeneo mozartiano) e del castrato Giovan Battista Mancini, a sua volta illustre e influente teorico della vocalità.

Le opinioni dell’epoca a proposito dei castrati erano spesso discordanti. Goethe ne era così entusiasta da giungere a sostenere la loro superiorità sulle cantanti in qualsiasi tipo di rappresentazione. Johann Wilhelm von Archenholz, invece, parla di “orribili mutilazioni, ritenute così necessarie al nostro teatro d’opera. È, in generale, gente del più misero stato che offre i propri figli per una simile operazione”. I cantanti evirati col tempo iniziarono a perdere popolarità, proprio come una moda ormai superata. L'estetica che li aveva visti trionfare andava tramontando, mentre si affermava una tendenza a evitare il più possibile l'abiguità di genere, senza contare il crescente sdegno che la mutilazione suscitava in una società che aveva sancito la prima Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Con Napoleone la pratica della castrazione fu ufficialmente vietata e, dopo circa due secoli di successo, gli evirati cantori uscirono definitivamente di scena.


Farinelli

Carlo Maria Michelangelo Nicola Broschi, detto Farinelli (Andria, 24 gennaio 1705 - Bologna, 16 settembre 1782), è considerato il più famoso cantante lirico castrato della sto­ria. Dopo l’improvvisa morte del padre Sal­vatore Broschi, com­positore e maestro di cap­pella nel Duomo di Andria, la fami­glia si trovò in dif­fi­coltà economiche e questa po­trebbe es­sere stata la causa della deci­sione dell’evirazione di Carlo, all’epoca dodi­cenne e ormai pros­simo a cam­biare voce.

Le pro­mettenti doti del giovane avrebbero potuto sopperire alle neces­sità della famiglia con il suo ingresso nel mondo dei castrati, la cui car­riera per tutto il XVIII se­colo sarà garantita dal loro im­piego come cantori nelle funzioni liturgi­che, dalla produ­zione musicale-orato­riale della Chiesa e so­prattutto dall’egemonia ita­liana nel melo­dramma. Una volta trasfe­ritosi a Napoli con la fami­glia, pren­derà il nome d’arte di Fari­nelli, in omaggio ai suoi pro­tettori, la fami­glia Fa­rina (giuristi e amanti della musica, che gli pa­gheranno le lezioni di canto con il Porpora, uno dei maestri di canto più importanti dell’epoca). A quindici anni si avviò a una delle più stra­or­dina­rie carriere nella storia dell’opera ita­liana, che lo portò nei mag­giori teatri d’Italia e d’Europa.

Durante la sua bril­lante car­riera, il Fari­nelli si esibì varie volte a Bologna: la prima volta, nell’estate 1727, a soli ventidue anni, inter­pretò il ruolo di Cera­ste nell’Antigona di Orlandini, al fianco del Bernacchi, al quale aveva pure domandat utili consigli tecnici Il cantante, a Bolo­gna, godeva non solo dell’amicizia di Padre Martini, ma anche della protezione del conte Sicinio Pe­poli, nobiluomo con il quale tenne una fitta cor­ri­spondenza, in parte conservata presso l’Archivio di Stato cittadino (sessantotto lettere). 

Il 6 luglio del 1730 il Farinelli e il fratello Ric­cardo Broschi fu­rono am­messi all’Accademia Fi­lar­monica di Bolo­gna come membri ono­rari. Nell’ottobre 1732 Fa­rinelli fu in­si­gnito della cittadi­nanza bolognese e un mese più tardi acqui­stò un podere fuori Porta Lame, con il progetto di edificarvi una villa, nella quale trascor­rere la vec­chiaia una volta riti­ratosi dalle scene. Soggiornò a lungo in Spagna come consi­gliere e amico del Re Fi­lippo; pare che fosse d’animo buono e gen­tile, tanto da utilizzare il suo fa­vore presso il Re per “correg­gere in­giu­stizie e ren­dere be­nefizi non po­chi”. Nel 1761 il Fari­nelli si stabilì defi­nitivamente a Bo­logna, rimanen­dovi fino alla sua morte, av­venuta il 16 settembre 1782 nella sua villa (oggi in via Za­nardi, 30), dove visse con una pic­cola corte di artisti, coltivando i rap­porti con le più in­fluenti case reali euro­pee.

I beni preziosi e lo straordinario ar­chivio mu­sicale raccolto dal Fari­nelli andarono di­spersi dopo la sua morte, la magni­fica villa fu lesio­nata dai bombar­damenti aerei del 1943 e, in seguito, definitivamente abbat­tuta nel 1949. Dal 1810 i resti del Fa­rinelli si trovano alla Certosa di Bologna, dove vi è anche il suo mo­numento funerario, risalente al 1845.


Bibliografia

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