di Giuseppe Guggino
È di recentissima firma il Decreto di riparto del FUS per le Fondazioni lirico-sinfoniche relativamente all’anno in corso sulla base dei risultati quantitativi, gestionali e di qualità del 2015. Contestualmente è stato finalmente pubblicato anche il riparto del FUS 2015; si presenta quindi l’occasione per una riflessione sul tema, osservando le dinamiche di contribuzione di questi primi tre anni di funzionamento nei nuovi criteri di comparazione.
Oltre un anno fa ci eravamo occupati dei nuovi criteri di riparto del FUS fra le quattordici Fondazioni lirico-sinfoniche varati con il DM 3 febbraio 2014, applicativo degli orientamenti espressi nell’art. 9 della Legge Bray del 2013 [leggi qui]. Successivamente avevamo commentato la prima applicazione concreta dei nuovi criteri con il riparto dell’annualità FUS del 2014 (sulla base degli esiti artistico-gestionali conseguiti nel corso del 2013) [leggi qui] evidenziando una certa tendenza a bilanciare con l’elemento di comparazione “qualitativo” (per sua natura discrezionale) scompensi – per non dire veri e propri contraccolpi – che l’annunciato cambio di marcia avrebbero rischiato di provocare; in quell’occasione aveva destato un certo sconcerto presso la stampa nazionale il fatto che Fondazioni dalla programmazione artistica per grandi linee di ottima qualità quali La Fenice e il Regio di Torino fossero risultate pesantemente penalizzate nella comparazione della quota “qualità” (ossia pari al 25% del totale).
Successivamente sull’argomento è calato il silenzio più assoluto e, imboccata la modalità di navigazione periscopica, il MiBACT ha provveduto a effettuare il riparto FUS 2015 sorvolando sulla pubblicazione del Decreto del Direttore Generale Spettacolo dal vivo (firmato il 13 ottobre 2015), ufficio nel frattempo peraltro interessato da un cambio di vertice per promozione ad altro prestigioso incarico dell’allora plenipotenziario Nastasi; sicché gli importi erano solamente stati comunicati alle Fondazioni (che necessitavano del dato, se non altro per chiudere i rispettivi bilanci).
Rispetto al 2014, nel 2015 accadeva che – dopo averci provato almeno dal 2010 – il Teatro Alla Scala e l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia assurgevano allo status di “forma organizzativa speciale” e, in quanto tali, erano sottratti alla comparazione quanti-qualitativa con le altre fondazioni. Il DM 6 novembre 2014 “Disciplina dei presupposti e dei requisiti richiesti alle fondazioni lirico-sinfoniche ai fini del riconoscimento del diritto di dotarsi di forme organizzative speciali”, infatti, all’art. 5 prevede che la percentuale da assegnare alle suddette Fondazioni sia fissato su base triennale ad arbitrio (più o meno) della Direzione Spettacolo dal vivo. [link diretto all'immagine in dimensioni reali]
Quindi il neodirettore ministeriale fissava per i successivi tre anni (riparto 2015, 2016 e anche per l’anno prossimo) una percentuale del 15,95% per il Teatro Alla Scala (arrestando la caduta libera del massimo teatro meneghino nell’attingimento del FUS 2012 e 2013) e del 6,50% per Santa Cecilia.
Assestandosi le cose, nel 2015 non si rendeva necessario alcun meccanismo compensativo per le Fondazioni risultate assegnatarie di contributi troppo differenti rispetto all’esercizio precedente (scollamenti massimi non compensati previsti del 15% nel riparto 2015 e del 20% nel 2016, da un meccanismo “transitorio” previsto dalla legge che sparirà del tutto dal prossimo riparto), mentre entrava in funzione un'altra misura di riduzione della spesa pubblica che provoca una decurtazione complessiva di 4,336 Mln€ da applicare a tutti gli assegnatari tranne gli “speciali” Scala e Santa Cecilia e, per la mancata inclusione in un elenco stilato dall’ISTAT, anche alla Fondazione Arena di Verona, che così hanno ricevuto un trattamento “di favore” rispetto alle altre. La tabella seguente mostra le singole voci di ripartizione per singolo criterio applicate per il FUS 2015. [link diretto all'immagine in dimensioni reali]
La prima colonna mostra la ripartizione preliminare del 5% del totale, destinato alle Fondazioni con gli ultimi tre esercizi positivi, poi segue la ripartizione del rimanente 95% secondo i tre criteri legati alla quantità prodotta (50%), all’indicatore gestionale (25%) e alla qualità valutata discrezionalmente dalla Commissione musica seguendo sette sub-elementi di differente peso (25%). Eccezion fatta per gli “speciali” Scala e Santa Cecilia e per il Teatro San Carlo, tutti registrano una contrazione più o meno marcata rispetto all’anno precedente (del resto il FUS complessivo si contrae di quasi 5 Mln€ rispetto al 2014). La tabella seguente mostra la classifica dai migliori ai peggiori secondo ognuno dei tre criteri di valutazione “quantità”, “gestione” e “qualità”. [link diretto all'immagine in dimensioni reali]
Il salto del San Carlo nel criterio gestionale (Art. 2, lettera b) è legato al grande apporto di contributi non statali legato al progetto Napoli Città Lirica co-finanziato dall’Unione Europea che porta il rapporto (Totale contributi non statali)/(Contributo statale), cosiddetto “indicatore di gestione” a valori superiori a 2,6. Ugualmente bene fanno con riferimento a questo criterio l’Arena di Verona (forte al numeratore dei suoi incassi al botteghino estivo, storicamente massicci), il Regio di Torino (anch’esso grazie alle sorprendenti prestazioni al botteghino) e il Lirico di Cagliari (grazie alle elargizioni della Regione Autonoma Sardegna che fa aumentare consistentemente il numeratore).
Per quanto riguarda la classifica legata alla quantità, il fatto che Palermo superi Roma nel 2014 è legato agli scioperi di Caracalla nell’estate 2014 ma anche al fatto che a sud si riesca a definire 18 recite de Il combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi con i pupi di Mimmo Cuticchio (ma anche molto altro, fino ad un totale di 61 alzate di sipario) come “lirica fino a 100 elementi in scena e in buca” e, soprattutto, al fatto che al MiBACT le abbiano accettate come tali. Sulla classifica “qualità”, per carità di patria, preferiamo non esprimere una valutazione organica: ogni lettore farà la sua... è certo che vedere Venezia sotto Verona o Bari sopra Napoli, (quest’ultima davvero molto maltrattata, forse per bilanciare il vertice nella classifica gestionale o chissà forse anche per l’ormai famoso antagonismo politico tra Sindaco partenopeo e Presidente del Consiglio) suscita più di qualche comprensibile smarrimento.
Volendo soffermarci meglio sull’aspetto valutazione della qualità, possiamo farlo sulla recentissima valutazione per il FUS 2016 (relativa alla programmazione nel 2015); ancora una volta dobbiamo lamentare la scarsa trasparenza della valutazione, giacché non sono stati resi noti i voti espressi per ognuno dei singoli sette sub-pesi da ogni componente della Commissione musica: è di pubblico dominio solamente il risultato finale di questa riunione svoltasi il 28 settembre scorso. Essendo stati lievemente ritoccati i punteggi massimi per ogni singolo sub-elemento di valutazione qualitativa, vale la pena ricordarli nella versione attualmente vigente. [link diretto all'immagine in dimensioni reali]
Sulla base dei sub-pesi dalla lettera a) alla lettera g) la Commissione musica, relativamente alla programmazione svolta dalle Fondazioni nel 2015, ha espresso le seguenti valutazioni. [link diretto all'immagine in dimensioni reali]
Anche qui dilungarsi su commenti relativi a valutazioni soggettive risulterebbe ozioso, certamente però ci pare che il Comunale di Bologna così attento alla musica contemporanea (per taluni anche troppo) all’elemento d) risulti surclassato per esempio da Firenze oppure che lo stesso teatro felsineo, forte dei suoi tre premi Abbiati, abbia una “validità e varietà” valutata come molto inferiore rispetto ancora a Firenze e poi a Palermo, Torino e Napoli (tutti a zero Abbiati per la produzione 2015).
Le classifiche secondo i tre elementi di valutazione nel riparto 2016 sono estrapolate nella figura seguente. [link diretto all'immagine in dimensioni reali]
Agli indicatori gestionali sorprende la buona performance del Maggio Musicale, che invece sul versante Conto economico è ormai da anni notoriamente disastrata: anche in questo caso, spulciando nel bilancio 2015, si riscontra un rapporto apparente tra contributi non statali e contributo statale ben superiore a 2 (quasi come per Napoli e Torino!) e ciò solamente perché si iscrive tra i contributi in conto esercizio una cancellazione del debito accordata da banche per 11,177 mln€ (entità numerica pertanto non di secondaria importanza a rimpolpare l’altrimenti esiguo numeratore) che, intervenendo sostanzialmente su debiti consolidati, sarebbe più opportuno iscrivere in conto patrimonio, quindi escludere dal calcolo dell’indicatore (come peraltro dice espressamente la legge). Il frutto di queste classifiche è il riparto finale del FUS 2016, ossia “lo spacchettamento”, come si diceva una volta, proposto nella tabella seguente. [link diretto all'immagine in dimensioni reali]
Dalla colonna delle differenze rispetto all’anno precedente si riscontra come a Roma, Palermo e Torino saranno molto contenti, mentre a Bologna e Cagliari faranno bene a dormire poco la notte, alla ricerca del modo più indolore per chiudere in qualche modo l’esercizio in corso senza traumi.
Scollando l’occhio dal particolare e guardando le cose più a distanza, può avere senso chiedersi se realmente gli ultimi tre riparti abbiano rappresentato quella rivoluzione copernicana che tutti auspicavano e si aspettavano dai nuovi criteri. E allora confrontiamo le classifiche degli ultimi tre riparti con quella del FUS 2013, l’ultimo ripartito alla vecchia maniera, ossia sulla base del costo storico (graficamente in diverso colore nella tabella seguente). [link diretto all'immagine in dimensioni reali]
Volendo passare dalle tabelle, così in genere poco comunicative, ai grafici che talvolta fanno visualizzare meglio trend e rapporti di forza… [link diretto all'immagine in dimensioni reali]
…scopriamo che, al di là di un “tendenziale” (parola quanto mai di moda nel settore “Fondazioni”, e nel prossimo articolo sul tema racconteremo perché) andamento alla contrazione più marcato a ragione per Genova, Verona e meno giustificabile per Bologna e forse per Trieste, tutto è cambiato, in fondo perché nulla cambiasse. Come sempre, del resto in Italia.
NOTA di REDAZIONE
Tutti i dati presentati sono ricavati da documenti ufficiali. La redazione è naturalmente disponibile a ospitare un contraddittorio.
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