Prima della legge 160...

 di Guido Giannuzzi

Il punto di vista di Guido Giannuzzi, fagotto nell'orchestra del Teatro Comunale di Bologna e impegnato su più fronti non solo come musicista, in merito al recente dibattito intorno alla legge 160 e all'annosa questione sul futuro, la gestione e il finanzamento delle Fondazioni lirico-sinfoniche.

Il dibattito, ampio e aspro, che ha suscitato l’approvazione della legge 160, è l’ultimo di una serie di scontri, che ha visto le Fondazioni lirico-sinfoniche protagoniste, giacché oggetto di numerosi provvedimenti legislativi, negli ultimi anni.

Che i teatri d’opera italiani non siano proprio nel cuore dei nostri governanti, è ormai pienamente dimostrato da anni e anni d’impoverimento di risorse, di marginalizzazione del ruolo culturale e sociale dei teatri, del loro utilizzo evidente e reiterato, come contenitori di lusso per qualunque tipo di manifestazione.

Anzi, si potrebbe dire che il mondo dei lavoratori dei teatri d’opera italiani è fin troppo vitale, dopo le cure poco amorevoli che i governi degli ultimi tempi, pressoché tutti indistintamente - di destra e di sinistra (?) - gli hanno riservato. Personalmente, mi stupisco dello stupore che ancora colleghi e addetti ai lavori rivolgono a ogni nuovo provvedimento.

Prima della legge 160, della cosiddetta legge Bray, di poco precedente, e di tutti le norme che vengono promulgate, riguardo alle Fondazioni liriche, c’è, però, l’istituto del FUS, il fondo unico per lo spettacolo: creato nel 1985 dal ministro Lagorio per dare finanziamenti certi al mondo dello spettacolo dal vivo (e del cinema), sino allora lasciato ai margini di un’oculata programmazione dei contributi economici, questo fondo ha vissuto per poco tempo il suo ruolo stabilizzatore, passando ben presto a essere ulteriore elemento di incertezza per Enti lirici e, successivamente, per le Fondazioni, loro eredi.

La storia del FUS, infatti, è di apparente stabilità: il suo ammontare è passato dai 357.480.000 euro iniziali (valore convertito rispetto alle lire dell’epoca) ai 406.800.000 euro del 2016. Però, e qui sta tutto il problema, se nel 1985 il rapporto FUS/PIL era dello 0,083 %, nel 2016 si è ridotto allo 0,025%. Vale a dire, un calo di circa due terzi: se il rapporto fosse rimasto immutato nei trent’anni di vita del finanziamento statale, adesso il suo valore ammonterebbe a circa 1.300 milioni di euro.

Altri temi, meriterebbero di essere affrontati, per descrivere la crisi attuale: la mancata legiferazione in materia fiscale per favorire l’ingresso dei privati, al passaggio, da parte dei teatri d’opera, da Enti a Fondazioni nel 1998, col risultato paradossale d’istituzioni formalmente private ma, in fondo, tuttora dipendenti dai soldi pubblici; il ruolo sostanzialmente fallimentare di tutela contrattuale da parte dei sindacati nazionali di categoria, vanamente compensato con la buona volontà dai singoli sindacalisti nel territorio; complessivamente, la pessima qualità del ceto dirigente - nominato dalla politica con criteri inversamente proporzionali alla quantità di canti di lode al merito - con conseguente attitudine all’inadeguatezza e alla negligenza nel dare impulso all’attività produttiva delle Fondazioni. (Tanto, poi, ci pensano convegni come gli Stati Generali della Cultura, il prossimo 20 dicembre a Roma, organizzati dal Sole 24 Ore - lì di debiti se ne intendono, avendo chiuso il primo semestre del 2016 con un risultato netto negativo di 49.800.000 euro - a offrire una tribuna ad alcuni sovrintendenti e al ministro Franceschini, da cui pontificare senza contraddittorio).

I vari argomenti, però, come la legge 160, saranno sempre di contorno, se non s’inquadra dapprima con attenzione il rapporto FUS/PIL e se non si affronta e risolve, una buona volta. Personalmente, mi sottraggo a ogni contesa che non veda il significato politico di questo rapporto come centrale: l’obiettivo, perseguito con tenacia dallo Stato italiano, di minimizzare l’impegno finanziario e politico nei confronti del mondo della lirica. Eppure, parliamo di un’attività culturale, alla quale un istituto di ricerca indipendente ha assegnato un indice moltiplicatore di spesa tra i più alti, nel settore, il 21,3: questo vuol dire generare un indotto di 213.000 euro, per ogni 10.000 euro d’investimento.

È inoppugnabile, di fronte a questi dati, che il problema è tutto e solo politico; l’economia, semmai, proclama a gran voce che, in questo settore, bisognerebbe investire e non tagliare. Come hanno fatto tutti i Paesi europei, compresa la Grecia, pur in difficoltà, la Spagna, il Portogallo, per non parlare di Francia e Germania; questi nostri vicini, che rappresentano quell’estero di cui si favoleggia sempre, quando si tratta di ispirarsi a provvedimenti peggiorativi, hanno investito in cultura e infrastrutture - musei, teatri, sale da concerto - proprio per rilanciarsi, sia civilmente che economicamente.

Certo, gli investimenti vanno gestiti con intelligenza e fantasia, ma allora, purtroppo, si torna al tema del valore dei dirigenti: come il coraggio di don Abbondio, se uno non ce l’ha, mica se lo può dare...

 

Guido Giannuzzi

Dopo gli studi classici e musicali a Livorno, ha conseguito il Diploma di Merito presso l’Accademia Musicale Chigiana di Siena, una Laurea Magistrale in Storia Moderna presso l’Università di Pisa e una Laurea Magistrale in Arti Visive presso l’Università di Bologna. Professore dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna dal 1996, nel 2008 è stato tra i promotori della Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna, per la quale è responsabile della programmazione. Dal 2009 dirige la rivista Filarmonica Magazine. Collaboratore della rivista Psiche (Il Mulino), è membro dell’Editorial Board della rivista Advances in Historical Studies, per i settori di arte e musica.