Emozione per il nuovo film di Nolan

 di Gina Guandalini

L'evento dell'estate, a Londra, sembra essere la première di Dunkirk di Christopher Nolan. Tra polemiche sul coinvolgimento emotivo e lo stile di narrazione della regia, e molti comprensibili peana, gli incassi al botteghino già si annunciano stellari.

LONDRA, 13 luglio 2017 - Poco, pochissimo da dire sulle opere presentate a Londra in questo giugno-luglio: l’Idomeneo mozartiano tutto appoggiato ai costumi “carta di cioccolatino” di Graham Vick e il verdiano Otello tutto incentrato sul debutto nel Moro di Jonas Kaufman (fans femminili strillettanti) non ci sembrano rappresentare quanto di meglio possa offrire la scena lirica del terzo millennio. Bisognerebbe organizzare un programma “Chi l’ha vista?” per tentare di ritrovare l’arte del canto, oggi più che mai sparita. Ma non è rimpianta da quasi nessuno, e anche un programma televisivo con lo scopo di rintracciarla avrebbe indici di ascolto infimi.

Passiamo a un’arte ben viva: il cinema. Al gigantesco Odeon di Leicester Square il pubblico londinese segue in un silenzio teso ed emozionato l’ultimo film di Christopher Nolan, Dunkirk. Nella primavera del ’40, quando la forza d’urto della Germania nazista sembrava invincibile, migliaia di soldati alleati del Regno Unito, del Belgio, del Canada e della Francia furono costretti a trincerarsi sulla spiaggia di Dunkerque - sulla costa francese della Manica a poca distanza dal confine belga. Attesero, stringendo i denti, in silenziosa fila come in attesa di un autobus, di poter essere riportati in patria.

Christopher Nolan, l’acclamato e oggi miliardario regista angloamericano, che ha realizzato con trionfi di botteghino storie gotiche e thrilling quali Insomnia (2002), The Prestige (2006) e The Dark Knight Trilogy (2005–2012), segna un altro passo avanti nella tensione con questo film di guerra angoscioso e appassionato. Tra i bombardamenti e la nebbia, la paura e la tensione, Nolan si concentra sui suoi compatrioti di settantasette anni fa; racconta alcune storie di quei giorni disperati, fino all’arrivo, per così dire in sordina, di una flotta di piccole imbarcazioni private che mettono in salvo i “Tommies” intirizziti e stremati. Alla fine del tremendo racconto la patria non li ha dimenticati, la promessa di Churchill di riportare le truppe a casa è mantenuta.

Un film sulla sopravvivenza, come lo ha definito lo stesso Nolan? È un coro di brevi storie tra resistenza e sopportazione che si alternano freneticamente, accompagnate da una musica martellante e angosciosa di Hans Zimmer; a trapanare i nervi dello spettatore si aggiungono i fragori di una squadra di “rumoristi” terribilmente efficaci nel farlo sobbalzare sulla sedia all’arrivo improvviso di uno Stuka o di un mitragliamento tedesco.
In Dunkirk non si assiste a un vasto spargimento di sangue scarlatto – anche se il parallelo con i primi trenta minuti di Salvate il soldato Ryan viene continuamente al pensiero dello spettatore. Non vuole essere un film del filone storico – molte sono le piccole inesattezze annotate da qualche critico “pollice verso”. Né assistiamo a vicende private, nemmeno per frammenti: donne non ce ne sono, se non un’infermiera militare che chiama i soldatini “love”. Non uno sguardo è gettato – come accade invece nel film di Spielberg – sulla guerra combattuta in patria, sui ministeri, sulle retrovie.

All’inizio scorgiamo la vecchia gloria Michael Caine, piuttosto ben nascosto in un “cameo”. Il protagonista è l’attore londinese diciannovenne Fionn Whitehead, al suo primo film, perfetto nei silenzi e nelle tensioni del soldatino sballottato da eventi terrificanti; accanto a lui un ex membro degli “One Direction”, Harry Styles, rappresenta con efficacia un altro ragazzo travolto dalla guerra. Il regista Nolan ha dichiarato di non avere avuto ben chiara la nozione della popolarità di Styles tra le ragazzine quando gli ha fatto il provino, e la cosa può essere credibile.

Tutto il film è attraversato dalle attività aeree – e acquatiche, quando è costretto ad atterrare nella Manica – di un pilota quasi sempre nascosto dagli occhialoni, interpretato da Jack Lowden (principe Nikolay Rostov molto ammirato nella recente versione BBC di Guerra e Pace). Forse il vero protagonista è però un uomo di mezz’età, simbolo della forza morale della nazione britannica: Mark Rylance nel ruolo del pescatore Dawson che con la sua barca diviene per forza di cose salvatore di giovani naufraghi disperati. Cillian (pronuncia Killian) Murphy era lo psicopatico dagli occhi blu in Red Light ; qui, con gli occhi sempre coperti dai capelli inzuppati di acqua di mare, ha un efficace parte di contorno come naufrago al quale lo shock ha fatto saltare completamente i nervi. Un altro ruolo “paterno” lo offre Kenneth Branagh in una figura di invenzione, ma bene agganciata a personaggi storici autentici, il comandante Bolton. È lui, nel momento culminante, ad avvistare al binocolo la flotta civile improvvisata, che mantiene la promessa di Churchill e arriva a salvare i soldati britannici. La patria, “home”, come dice con un filo di voce il commosso Branagh.

Quando la popolazione civile accoglie con orgoglio e amore i ragazzi rimpatriati il regista non rinuncia a fare ascoltare il glorioso Primo Ministro nello storico discorso “combatteremo sui mari e sugli oceani, combatteremo sulle spiagge, combatteremo sulle piste di atterraggio, combatteremo nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline; non ci arrenderemo mai”. Allo scorrere dei titoli di coda parte l’applauso del pubblico, cosa insolita in Inghilterra. Il film, questa velocissima terrificante cronaca di combattenti al macello, ci sembra lo meriti. Tra polemiche sul coinvolgimento emotivo e lo stile di narrazione della regia, e molti comprensibili peana, gli incassi al botteghino già si annunciano stellari.