Condividere i tesori

 di Roberta Pedrotti

L'avvio di stagione, fra grande repertorio e contemporaneità, del Teatro Grande di Brescia si pone sulla scia sempre più luminosa e consistente della Festa dell'Opera, un modello di come si possano diffondere e condividere arte e cultura senza banalizzazioni e svendite.

Incremento di abbonamenti, grande affluenza per l'amatissima Tosca [leggi la recensione] ma calorosa accoglienza anche per la prima di un'opera contemporanea, Viaggio musicale all'inferno [leggi la recensione], che potrà contare sulla firma di un illustre compositore concittadino recentemente scomparso come Giancarlo Facchinetti, ma resta comunque estranea alle magnificate attrattive del repertorio tradizionale. Questi sono i primi risultati della stagione lirica 2018 del Teatro Grande di Brescia.

Dati che perfino in una città dove avevamo visto accogliere con desolante freddezza il debutto locale di Tancredi (con una compagnia non proprio trascurabile che allineava Teresa Iervolino e Sofia Mchedlishvili Mert Sungu e Raffaella Lupinacci diretti da Francesco Cilluffo - leggi la recensione) e snobbato perfino la proiezione di Rapsodia satanica con le musiche di Mascagni, per riempire il teatro solo nella seconda parte del dittico, la più rassicurante e consueta Cavalleria rusticana. Sarebbe stato semplice, a tal punto, ammanire Traviate, Bohème, Barbieri a ripetizione, e in effetti in questi anni non si può dire che siano mancati. Ma ci sono stati anche Britten, Weill, Bernstein, Monteverdi, quest'anno arriverà Haendel, oltre al ritorno della Voix humaine di Poulenc. Senza arrendersi, qualcosa che esca dai sentieri battuti allo sfinimento si continua a proporre perfino in cartelloni smilzi (una manciata di titoli operistici all'anno, più un balletto classico). Il repertorio a cui attingere, d'altra parte, è immenso e sarebbe un delitto non approfittarne: oltre quattro secoli di storia del teatro musicale diramatosi in tutto il mondo. Sarebbe davvero terribilmente sciocco e fuorviante limitarsi a una selezione di successi assicurati senza giocare sulla varietà per stimolare la curiosità del pubblico. Eppure sembra che questa sciocchezza, vale a dire l'affidare le sorti precarie dei botteghini all'eterno ritorno dell'eguale, vada assai di moda ultimamente. Non tutti hanno ceduto, ma troppi baluardi che usavamo prendere a modello sembrano oggi intimiditi, intimoriti, scricchiolanti là dove invece s'imporrebbe il coraggio per uscire dall'empasse della crisi.

Tirare i remi in barca non è mai una grande idea, non lo è seguire passivamente la corrente: così si cade preda della bonaccia, ci si arena nelle secche senza scoprire nuove terre e nuove rotte. Così l'arte muore. Né, l'abbiamo detto [leggi l'editoriale "Biglietti a 2 €, riflessioni"], la si rilancia svendendola, anzi.

I beni più preziosi non si svendono, semmai si festeggiano e, quando si festeggiano, si regalano. La Festa dell'Opera di Brescia, per il settimo anno volano della stagione lirica, lo aveva ribadito il 15 settembre , ricordando anche che nessuno ha il dovere di amare, ma tutti hanno il diritto di conoscere.

Ardenti appassionati, fedeli frequentatori, spettatori meno assidui o anche occasionali, simpatizzanti o indifferenti, perfino decisamente allergici. Purché non ignari. La Festa dell'Opera parla a tutti senza imporsi, senza pretendere, senza voler insegnare o educare, semplicemente per condividere, verbo magari fuori moda che varrebbe la pena di rispolverare più spesso.

Festeggiando insieme, con gioia e senza impegno, si possono esplorare i percorsi più diversi. Non si canterà, solo, “La donna è mobile” per le strade, ma si darà spazio, nel labirinto inesauribile dei percorsi musicali in città, anche a Debussy, a giovani compositori, a brani più o meno consueti, per condividere anche il piacere della scoperta, istillare la gioia della curiosità e della libertà.

Negli anni, la Festa dell'opera si è incrociata con diversi tipi di manifestazioni e di esibizioni via via di moda: l'epoca d'oro delle “notti bianche”, l'apogeo dei flash mob... La sua forza è stata quella di utilizzare queste forme di comunicazione senza diventarne schiava, senza irrigidirsi in uno schema. Nei primi anni la maggior parte degli eventi erano, appunto, improvvisi flash mob che sorprendevano i cittadini in coda negli uffici postali o alle prese con la spesa al mercato. Una simpatica irruzione dell'opera nella vita quotidiana. Ora, non si cerca di riprodurre all'infinito quell'effetto sorpresa, ma, per esempio, si riscopre, come in una Giornata del Fai, la città anche nei suoi angoli segreti, nei suoi tesori solitamente meno accessibili. E, poiché Brescia è bella, bellissima, ma un po' gelosa delle sue gemme, l'occasione è ghiotta per turisti, autoctoni e nuovi abitanti. La Festa, nella sua allegra e completa apertura, è una giornata preziosa non solo per la musica, inclusiva per tutte le comunità cittadine (si consiglia di abbinare la visita alla magnifica Chiesa del Carmine a una puntata in qualcuno dei deliziosi locali etnici e tradizionali integrati nella zona, fra polenta e kebab) senza trascurare disabili (ultima novità, la collaborazione con gli istituti braille per non vedenti), anziani, degenti, detenuti.

Così l'Opera festeggiata diventa un'occasione per festeggiare insieme, si integra per un giorno nel tessuto cittadino che allegramente sovverte. Tutto è gratuito perché si rende onore con gioia a qualcosa di bello, di importante, non perché si svende qualcosa che bisogna distribuire ad ogni costo. Poi chi vorrà, anche solo una volta, potrà venire a trovare l'opera a casa sua, a teatro. Saprà che non è un luogo spaventoso, ostile, ma un luogo tutto da scoprire e che ha molto da dare, da raccontare.

Non è forse questo l'esempio da seguire? Festeggiare e condividere la bellezza e la curiosità come un bene prezioso, senza confini.

foto Reporter Favretto