Il contrasto felice

 di Roberta Pedrotti

A Macerata una mostra dedicata a Lorenzo Lotto è l'occasione per visitare Palazzo Buonaccorsi e riflettere sulle diverse esposizioni.

Di passaggio a Macerata, val la pena di dedicare una tappa alla visita di palazzo Buonaccorsi, a pochi minuti – ma in ripidissima salita – dallo Sferisterio.

Acquisito da una cinquantina d'anni dal Comune, sede dei musei civici di cui si è potuta preservare l'agibilità dopo i devastanti eventi sismici degli ultimi anni, il palazzo merita la visita già di per sé, nella sua struttura stratificata, con un piano nobile splendente di ricchi dettagli tardobarocchi e rococò e la Sala dell'Eneide che racconta per immagini la fuga dell'eroe con Anchise in spalla, la chiamata di Mercurio (e lì il melomane sente le note di Berlioz echeggiare “Italie!”), Didone ignara che stringe il piccolo Ascanio mentre ascolta senza fiato il racconto della caduta di Troia. Fra i dipinti, due mappamondi antichi, ma soprattutto una carta geografica risalente al XVII secolo, con rotte commerciali tracciate in vari colori, dell'Adriatico disteso con il nord a sinistra, l'est in alto e una prospettiva che chiarisce bene l'antica definizione di “golfo di Venezia”.

Giù dalle scale, fra pianterreno e seminterrato, i soffitti si abbassano, le pareti si sbiancano in un dedalo scorrevole di archi e corridoi sufficientemente ariosi. Lì abita, come in un'antica scuderia, il Museo della carrozza erede dell'antica collezione del conte Pier Alberto Conti (magie dell'onomastica del centro Italia), lo stesso che per primo aveva promosso l'opera allo Sferisterio, con un'Aida galeotta, dato che la protagonista Francisca Solari sarebbe poi felicemente divenuta contessa Conti.

Al di là delle cronache mondane anche piccanti in una provincia non proprio sonnacchiosa – almeno stando agli scandali che avevano accompagnato la fine turbolenta delle prime nozze dell'aristocratico con una principessa papalina – attraversare cinque secoli di trasporto non motorizzato ci immerge nella quotidianità di viaggi che, con tutte le cure e i lussi di cui potevano essere dotati questi mezzi con vari sistemi di ammortizzazione, oggi facilmente e salvo rare eccezioni definiremmo incubi. Il calesse scoperto per la gita in campagna ha un'aria indubbiamente romantica e rilassante, ma carrozze e diligenze per trasferimenti più impegnativi evocano sensazioni assai meno piacevoli, al di là dell'eleganza della linea, ereditata poi dalle prime automobili.

Risaliti all'ultimo piano, un'altra collezione permanente ci immerge nella storia concreta: il Museo d'arte moderna ci racconta la città non solo perché ospita le opere di artisti locali o comunque legati al territorio, non solo per le vedute delle campagne in squillanti geometrie giustapposte, ma anche per la memoria di un fervore futurista maceratese che si coagulò in un “Gruppo Boccioni” e lascia cospicua testimonianza in queste sale. Testimonianza di vario valore, con alcuni accostamenti anche curiosi fra le suggestioni rurali del circondario e la frenesia avanguardista, ma anche chiare derive propagandistiche (Colonizzazione di Alberto Peschi è, in tal senso, agghiacciante con la sua retorica di regime che fagocita anche l'immagine della Natività). C'è poi il lascito del Premio Nazionale Scipione, che attrae figure come Vedova e Schifano, in una sorta di primavera maceratese dell'arte contemporanea. Attraversando le sale l'occhio può cadere sulla delicatezza di un ritratto femminile di Corrado Cagli, sulla spontaneità domestica dei ritratti di Gualtiero Baynes, ancora legato alla scuola dei macchiaioli, sui Tetti di Linuccia Saba, con la pennellata di quel gatto nero solitario, assorto fra le tegole. Su piccoli capolavori o su documenti figurativi di una storia che si fa e si conosce anche attraverso l'arte.

Racconta molto anche la mostra che, tornando al piano nobile, invade gli spazi della collezione antica dal 19 ottobre al 10 febbraio: Lorenzo Lotto, il richiamo delle Marche.

Macerata diviene il polo catalizzante di un evento ramificato anche nelle località limitrofe che ospitano capolavori del pittore veneziano (Ancona, Cingoli, Jesi, Loreto, Mogliano, Monte San Giusto, Recanati, Urbino) e riceve anche dipinti dal Prado o dall'Ermitage, oltre che da collezioni private. Manca la Madonna col bambino e gli angeli trafugata a Osimo nel 1911 e mai più ritrovata, ma una cornice vuota la ricorda. Dopo le mille peregrinazioni di Lotto, in continuo movimento fra Veneto, Lombardia, Marche e Roma, la sua Madonna di Osimo ha forse intrapreso un cammino nascosto, forse si è smarrita, forse non è stata più riconosciuta, e chissà se mai tornerà a casa.

Frattanto, quel che converge nelle sale maceratesi ci dà la misura della fecondità artistica di questi viaggi, nei quali cromatismi veneti e già manieristi, luci lombarde, prospettive romane si alternano e si incontrano in uno stile sempre riconoscibile e, pure, in continua evoluzione. C'è un'anima ancora classica, rinascimentale, nella sua Venere adornata dalle grazie – autentica rarità e gemma dell'esposizione – che pure nella composizione mostra una sensualità e un movimento complessivo che è già qualcosa di nuovo. Giuditta con la testa di Oloferne possiede un dinamismo, un volume quasi cinematografico, ma che risiede tutto nel contrasto fra i lineamenti sottili e aristocratici dell'eroina e quelli porcini e popolani della nutrice, fra i colori freddi dell'una e quelli caldi dell'altra, nella nettezza delle tinte e delle ombre, nella pennellata sottilissima che definisce il realismo dei gioielli e dell'arma. Viceversa, il tratto è più ampio, più rapido nella Negazione di San Pietro, dipinto dopo il soggiorno romano e sorprendentemente affine per luci, prospettive, impostazione, al Raffaello delle sale vaticane, all'Incendio di Borgo e alla Liberazione di S. Pietro. D'altro canto, se la Sacra famiglia con Sant'Anna e San Gerolamo appare classicissima, seppur squillante nel celeste della veste della Vergine, colpisce l'intima dolcezza con cui quest'ultima stringe il ginocchio della madre, così come non passa inosservato il dettaglio quotidiano e quasi popolare delle calze indossate dalla stessa Sant'Anna. E di San Gerolamo abbiamo diverse versioni, che portano agli estremi le due principali caratteristiche del Santo: da un lato, ispido asceta, perde perfino l'affezionato leone, prostrandosi seminudo sul crocifisso circondato da lucertole, scorpioni e strumenti di penitenza (è ben in vista un gatto a nove code); dall'altro lo studioso, il traduttore della Bibbia è ripreso quasi letteralmente da un'incisione del Dürer, ma stringendo il fuoco sullo scrittoio in un contesto rigoroso e urbano che estromette, ancora una volte, il canonico leone pur previsto dal tedesco.

Non solo la fisicità di San Sebastiano, per l'angolazione del corpo che conferisce dinamismo alla composizione, è resa con cura minuziosa, ma il candore dell'incarnato, e la baldanza virile ben fusa a tratti efebici e quasi androgini soprattutto rendono l'immagine, per nulla cruenta, del martirio, sensuale e perturbante, come sospesa in un'atmosfera fiabesca e mitologica. D'altro canto, il realismo del bambinello che afferra goloso il seno della Madonna e gonfia le guance arrossate mentre lancia uno sguardo quasi sospettoso all'osservatore spazza via anche la nobile sacralità di una Vergine dai tratti raffaelliti.

Si potrebbe dire che è sempre lo stesso pittore? Forse, fermandoci a uno sguardo superficiale, il dubbio potrebbe sopravvenire, ma la firma di Lorenzo Lotto è chiara quando si comincia a riconoscere il carattere composto con cui ama sorprenderci nel dettaglio quotidiano, vissuto, perfino spiritoso e fa emergere e sintetizza via via gli stimoli di una carriera in movimento, lo studio del colore vivo, compatto, perfino esplosivo (come non pensare a Pontormo e Rosso Fiorentino, di poco più giovani?), delle luci (che con il coetaneo Savoldo lo pongono talora sulla via che giungerà un secolo dopo a Caravaggio), della composizione, della pennellata che muta a seconda della situazione e dell'impellenza espressiva.

L'espressione artistica non si può scindere dall'esperienza umana, dalla storia che si ritrova nell'intreccio di fatti epocali e piccoli dettagli quotidiani; l'espressione artistica, quella autentica, si arricchisce nel confronto, nel dialogo, nell'esplorazione che rendono forte, matura, sicura e aperta un'identità, mentre chiusura ignoranza e pregiudizi ne minano la struttura costringendola a un'inutile, controproducente aggressività. Basta passeggiare per un museo con gli occhi e la mente sereni e liberi per rendersene conto, per assaporare la bellezza concreta della vita e del pensiero.