Acqua alta e mascherine

 di Roberta Pedrotti

Al di là della qualità - assai poco valorizzata - dei singoli artisti, il concerto di Capodanno di Venezia proposto dalla Rai conferma i limiti del progetto, che insegue malamente il modello viennese. L'immagine iniziale della vera Venezia, fragile e spettrale di fronte all'acqua granda, rende ancor più impietosa la raccolta turistica di frammenti musicali, colori e mascherine.

L'incipit del concerto, bisogna ammetterlo, è di quelli che non lasciano indifferenti. È perfino toccante l'omaggio a Venezia ferita dall'acqua granda di novembre, sulle note del Sanctus dal Requiem verdiano, mentre scorrono le immagini della città inghiottita dalle onde. Onde fatalmente calme, inesorabilmente tranquille. 

Questa Venezia spettrale e fragile, cullata e minacciata dal mare, fa apparire ancor più fasulla e disturbante la sigletta con mascherine leziose a sorridere fra ponti e calli, cifra di un concerto che anche quest'anno conferma una vocazione turistica a buon mercato e sembra richiamarsi alle cianfrusaglie per comitive mordi-e-fuggi. Insomma, una delle città più belle del mondo, il repertorio operistico italiano finiscono per far la figura del pretesto per scimmiottare Vienna e contrapporsi al suo Neujahrskonzert, non per proporre una festa in musica davvero originale. La battaglia sarebbe già persa in partenza, perché imitare non è mai una buona idea, perché lo sterminato repertorio della famiglia Strauss e dintorni è nato appositamente per danzare e brindare spensierati, mentre l'opera è nata per narrare e agire su un palcoscenico: le arie e i duetti di Rigoletto, Rodolfo, Marcello, Calaf, Violetta e Musetta sono meravigliosi, ma parlano in una storia, difficilmente innalzano calici augurali (e quando all'opera si brinda, in genere si prelude a un disatro). Tra l'altro, se quest'anno - evviva! - si varia un po' il parterre vocale, si coinvolgono quattro solisti, non si fa il meglio per valorizzarli. Avere Francesco Demuro, che gira il mondo cantando I Puritani, L'elisir d'amore, La bohème, e fargli intonare "Nessun dorma" significa non prendere in considerazione le caratteristiche degli interpreti ma predisporre a prescindere una raccolta di brani celebri. 

Per di più, la filosofia della compilation, della playlist non si limita a selezionare "greatest hits", bensì riduce i brani stessi a sintesi, assaggini. Come a dire che al grande pubblico è meglio non dare nemmeno l'aria completa, che i singoli pezzi non possano reggere in televisione e attrarre gli spettatori ascoltati dall'inizio alla fine. Ascoltare non "È strano" e "Ah fors'è lui" ma solo "Sempre libera", non "In un coupé" e "Un dì se ben rammentomi" ma direttamente "Mimì tu più non torni" e "Bella figlia dell'amore" è avvilente per Verdi e Puccini, per i cantanti, per il pubblico, dimostra scarsa fiducia e stima verso l'opera e verso gli spettatori. E resta un deprecabile vulnus che il Capodanno della Rai a Venezia non ha ancora corretto.

Così, non pare il caso di soffermarsi troppo sulle performance musicali. Chung, i complessi della Fenice, Luca Salsi, Francesco Demuro, Francesca Dotto (cui si è unita solo per il Quartetto di Rigoletto Valeria Girardello) sono tutti ben noti, li vediamo nei teatri e lì li valutiamo e li applaudiamo di volta in volta, non da uno spezzatino musicale filtrato da schermi e microfoni.

Allo stesso modo, non possiamo attribuire ai professionisti del corpo di ballo del San Carlo di Napoli, ai primi ballerini ospiti dal Bols'oj, a un coreografo di comprovata fama come Giuseppe Picone la cronica pochezza delle sequenze danzate. A dire il vero definire "danza" la passeggiata sulla spiaggia in omaggio a Fellini sulle note di Nino Rota pare decisamente azzardato. Nondimeno, l'annuncio di "frenetico Can Can" per una sorta di tableau vivant timidamente animato, seppur accompagnato dalla musica di Offenbach, fa increspare le labbra in un sorriso incredulo. Non possiamo che supporre insormontabili difficoltà tecniche nel coordinare le riprese e la musica, da cui l'esigenza a proporre non vere e proprie coreografie, ma generici quadri fra tutù e mascherine buoni per tutte le stagioni. Però, allora, è proprio necessario inserire questi "balletti"? È necessario volersi mettere in competizione diretta con Vienna in un campo nel quale non c'è partita? Scimmiottare sortendo l'effetto del "vorrei ma non posso" mentre nella stessa giornata c'è chi manda in onda coreografie impeccabili per gusto, precisione tecnica, ricerca artistica è senz'altro triste. Qualcosa che Venezia, sicuramente, non merita.

Gondole di plastica, cigni in finto Murano, damine in costume, torri di Pisa e Colossei, fra un "Libiamo" e un "Vincerò" [sic] li vorremmo archiviare volentieri e ripartire dalla vera Venezia, dall'opera, dall'arte e dagli artisti. Brindiamo a loro, senza coriandoli e stelle filanti in favore di telecamera.