Un David Lynch in bianco e nero

di Carla Monni


Il regista americano questa volta in veste di fotografo con la mostra intitolata David Lynch: The Factory Photographs, curata da Petra Giloy-Hirtz, in collaborazione con la Fondazione MAST e The Photographers’ Gallery

BOLOGNA, 17 settembre - 31 dicembre 2014 - Pittura, cinema, fumetto, pubblicità, videoclip, animazione, regia, sceneggiatura, musica, scenografia, scrittura, queste sono le tante passioni e attività che ha inseguito per tutta la sua lunga carriera l’autore del cinema sperimentale e surreale per eccellenza, David Lynch. Ma a partire dagli anni ‘80 il poliedrico regista si avvicinò per la prima volta anche alla fotografia, iniziando a realizzare una serie di paesaggi industriali, sparsi un po’ in tutto il mondo: scatti di un viaggio che ha percorso sbarcando nelle grandi città, poiché, citando lo stesso Lynch «Industry really impressed me as a kid. Living in the Northwest, I never really saw a big city. When I visited New York, the contrast was so great that I felt a surge of power every time I went near a city». Prima raggiunge la città polacca di Łódź, per poi attraversare Berlino e Londra e tornare nella sua terra natia, dove  raggiunge New York, il New Jersey e Los Angeles. Per un intero trentennio il regista visionario ha collezionato un centinaio, o poco più, di fotografie in bianco e nero che saranno esposte sino al prossimo 31 dicembre al centro polifunzionale Fondazione MAST – Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia di Bologna, spazio che lega l’arte alla creatività e all’innovazione tecnologica. Durante la mostra sono inoltre proiettati a ciclo continuo tre suoi cortometraggi – Industrial Sondscape, Bug Crawls,Intervalometer: Steps – e messa in scena un’installazione sonora interattiva dal titolo The Air is on Fire: I (Station), tra l’altro prima traccia dell’album The Air is On Fire: Soundscape, pubblicato nel 2007 dall’etichetta discografica Strange World Music, in occasione della mostra organizzata dallo stesso regista, The Air is on Fire svoltasi presso la Fondation Cartier pour l’art contemporain.

Al pari della mostra parigina, anche a Bologna Lynch si espone come artista plastico – d’altronde non c’è da stupirsi per un autore che nasce come pittore e che dalle arti plastiche è partito per indagare sulle svariate possibilità del cinema in tutte le sue forme – proponendo ai visitatori creazioni sonore, cortometraggi sperimentali, risalenti ai suoi esordi, e soprattutto le sue fotografie. Questa volta lo scorrere della pellicola si arresta e le sue opere si tingono di bianco e nero, scelta adatta alla rappresentazione dei suoi soggetti: luoghi suggestivi ricchi di mistero, spazi abbandonati e scenari devastati dall’oblio, circondati da atmosfere surreali e oniriche che evocano le visioni soprannaturali ed enigmatiche dei suoi film. Ma questa volta è proprio la fotografia, e non la pellicola, ad essere uno straordinario strumento di penetrazione della realtà, proprio là dove essa si fa più sfuggente e mistica. Lo spettatore si trova immerso in mezzo a fabbriche, macchinari, comignoli, ciminiere, decadenti monumenti industriali, opprimenti torri di centrali nucleari, edifici con finestre e portali imponenti, decorati con cornicioni pericolanti e cupole che evocano antiche cattedrali, il tutto inabissato da un certo mistero. Immagini di straordinaria potenza sensoriale, che rappresentano come Lynch interpreta il mondo delle fabbriche, svelandone i retroscena più inquietanti, ma anche elogiandole come pietre miliari di un progresso che non esiste più, poiché ora appaiono solo come rovine disabitate. Ma sono proprio queste rovine che affascinano lo spettatore, il quale si lascia trasportare come se fosse all’interno di una scena di Blue Velvet, tra spaventosa bellezza e affascinante degrado.