Tra gesto, azione e parola

di Michele Olivieri

L’emergenza sanitaria ci ha imposto un nuovo comportamento. Non si può andare a teatro ma questo non significa sospendere ogni attività e non coltivare più gli interessi, bisogna solo fruirne in maniera differente. Grazie al web e alle reti televisive, importanti proposte arrivano direttamente a casa dando una mano alla cultura e un senso di aiuto per ciascuno di noi. Su Rai 5 è andata in onda la registrazione dello spettacolo Le sorelle Macaluso di Emma Dante dal Piccolo Teatro di Milano con la regia televisiva di Arnalda Canali.

Una peregrinazione emotiva nella vita dopo la morte, in una successione di movimenti del corpo tramite la raffigurazione della danza, ritrovando in essa quegli elementi tipici dell’arte coreutica applicata allo stile moderno o se vogliamo ancor meglio a uno stile libero,; ogni riferimento prende spunto in apparenza dall’estetica tersicorea, ben lontana dal concetto di balletto romantico, in quanto recupera una misura embrionale del binomio tra gesto e azione e tra gesto e parola: una forma di danza metaforica e marcatamente simbolica, mossa dall’accorpamento fra teatro e arte figurativa, in cui la narrazione viene concepita in maniera propria, ritrovando piccole storie che hanno subìto una rottura, trascritte da una delle autrici più emblematiche della scena italiana in tono prosastico.

Il predominio della donna assume un rilievo poderoso rispetto all’uomo, lasciando scorrere le immagini di una famiglia composta da sette donne, sette sorelle: Gina, Cetty, Maria, Katia, Lia, Pinuccia e Antonella, quest’ultima venuta a mancare precedentemente. Immerse in un rituale consanguineo, le protagoniste si ritrovano al funerale per rievocare, rimproverare e rammentare quegli eventi legati alla loro storia personale. Un universo dove il nero e il colore si mescolano, ma anche una lotta costantemente in bilico, echeggiante antichi pupi siciliani, dove la parola si sostituisce allo scudo e a un tratto si mescolano passato e presente, realtà e sogno lasciando fuoriuscire quella cultura del saper fare spettacolo mediante tecnica e storia, usando inoltre in maniera suggestiva il patrimonio dialettale.

I movimenti appaiono rapidi e naturali, l’uso della parola è savio ed Emma Dante infonde leggerezza alla sua triste danza per dare ulteriore voce alla famiglia Macaluso, ritrovandosi a elencare volti ormai scomparsi, regolando i conti sospesi della coscienza. L’allestimento ha la capacità di andare oltre, di far rivivere nella finzione scenica fotogrammi immaginari dove l’ardimento sconfigge il male sotto forma di diavoli ma anche di spaventosi giganti e di terribili draghi, permettendo alle protagoniste una colata di verità taciute e avvenimenti ormai dimenticati, ricostruendo un accurato mosaico dei sentimenti di intensità luminosa. La lontananza del padre e la conseguente sospensione pone la sorella maggiore a supplente, ritrovandosi mamma delle congiunte, tralasciando una volta per tutte il desiderio di essere ballerina: nuda, l’attrice danza, indossando il sospirato tutù bianco, mentre le sorelle l’osservano nell’oscurità degli angeli. Ogni ruolo trasuda l’assenza a proprio modo, in base all’intensità affettiva del legame interiorizzato tempo prima con le persone scomparse; l’ironia mista a veracità traspone in poco più di un’ora quel dolore vivo e bruciante per l’improvviso vuoto.

Emma Dante muove i suoi intensi attori (Serena Barone, Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Italia Carroccio, Davide Celona, Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Leonarda Saffi, Stephanie Taillandier) tra consapevolezze contrastanti dove gli abbracci e le lacrime infondono rarefatte rinascite, prima al padre e poi alla madre, pacificando gli animi inquieti. La storia, imbastita con preziosa artigianalità, ha il pregio di costruire nella crisi quel superamento inevitabile del lutto rivestendo un significato ben preciso nella trasmissione della conoscenza, fornendo la pertinente continuità alla successione esistenziale, celebrando spiritualmente quell’amore eterno resistente ad ogni separazione materiale. Un dolore capace di gridare e di farsi udire per restituire l’intimo poetico universo femminile.