Carmen originale e contemporanea

CARMEN

GEORGES BIZET

24 novembre 2017 ore 20.30 – 26 novembre 2017 ore 15.30

Carmen di Georges Bizet è il quarto titolo della Stagione Opera e Balletto 2017 che nei giorni 24 e 26 novembre (ore 20.30 e ore 15.30) porterà in scena una delle opere più amate dal pubblico e assente dal Teatro Grande di Brescia da nove anni.

La direzione d’orchestra dei Pomeriggi Musicali sarà a cura di Carlo Goldstein, fra i giovani direttori italiani che più si stanno imponendo per talento e sensibilità nel panorama operistico nazionale e internazionale. L’allestimento sarà quello del Teatro dell’Opéra di Rouen Haute-Normandie e la regia vedrà la firma di Frédéric Roels. Scene di Bruno de Lavenère, costumi a cura di Lionel Lesire, luci di Laurent Castaingt e coreografie di Sergio Simon. Nel title role è attesa la voce di Na’ama Goldman, trentunenne mezzosoprano di Tel Aviv già affermata sulla scena internazionale. Al suo fianco Maria Teresa Leva, Claudia Sasso, Arina Alexeeva, rispettivamente nei ruoli femminili di Micaela, Frasquita e Mercédès. I ruoli maschili saranno invece affidati a Luciano Ganci (Don José), Zoltan Nagy (Escamillo), Davide Fersini (Dancairo), Roberto Covatta (Remendado), Gabriele Nani (Moralès), Federico Benetti (Zuniga) e Alberto Branca (Lilas Pastia / Guida).

L’opera, composta di dialoghi parlati in lingua francese, alternati al canto, verrà rappresentata nel rispetto della versione originale di Bizet e che tanto scandalizzò il pubblico di allora, mentre la lettura registica di Roels restituirà una Carmen contemporanea che pone l’accento sulla fragilità e sulla veemenza caratteriale dei personaggi.

Lo spettacolo verrà rappresentato in lingua originale con sopratitoli in italiano.

I biglietti sono in vendita alla Biglietteria del Teatro Grande (dal martedì al venerdì 13.30-19.00, sabato 15.30-19.00, domeniche di spettacolo 13.30-15.30), on line su vivaticket.it e nelle filiali abilitate di Ubi Banca in Brescia e provincia.

 

NOTE DI REGIA

FRAGILITÀ E VIOLENZA

di Frédéric Roels

Eroi vulnerabili

Si sono viste di frequente (quasi sempre) Carmencite forti, arroganti, seduttrici, manipolatrici, incarnazioni affascinanti dell’animale femminile. Ci si dimentica tuttavia una cosa: che la violenza, reale, estrema, del personaggio non può essere altro se non il riflesso di una fragilità altrettanto estrema. È proprio durante una situazione di pericolo che l’animale diventa più aggressivo. Carmen non è una giocatrice; ella è sinceramente, fortemente innamorata di José, ma sa, senza ombra di dubbio ed in ragione di un passato affettivo tormentato che per lei l’amore costituisce un pericolo. Se la passione di José nei suoi confronti non è totale ed infallibile, Carmen rischia di rimanere ferita; così lo mette alla prova: José, mi seguirai fino alla fine? La risposta è deludente: lui la seguirà, certo, fino ad un certo punto, ma non fino alla fine. La vigliaccheria di José provoca una risposta immediata e terribile da parte di Carmen: se tu non mi ami fino alla fine, io non prometto di aiutarti e, anzi, mi lascerò sedurre da una altro uomo, da un torero. Carmen non ama Escamillo, ma lui le offre la sua protezione, il suo personaggio (quasi esagerato) di maschio che uccide la bestia, è rassicurante. L’amore dunque non viene davvero annientato, ma solo accantonato.

Di Don José, di cui si è spesso rappresentata la stupidità, di questo giovane soldato che si innamora della straniera, frequentemente si dimentica la violenza e di conseguenza la sua fragilità. Egli è entrato nell’esercito perché ha dovuto abbandonare il suo paese dopo una lite. È stato condannato dalla propria madre, che è ora pronta a perdonarlo; non si tratta propriamente di un figlio modello, ma di un cattivo ragazzo in fase di riscatto. Il desiderio verso Carmen per lui non costituisce soltanto la tentazione verso qualcosa di estraneo, di sconosciuto, quanto piuttosto la ricaduta in un mondo di marginalità, in un’esistenza da fuorilegge. In questo senso si legge l’esitazione di José nell’accompagnare Carmen dai contrabbandieri.

Micaëla è tutta amore nei confronti di suo fratello adottivo, che sogna addirittura di sposare. Si tratta di un amore comprensibile, fraterno, quasi gemellare, un amore inseparabile; si tratta di un sentimento diverso da quello di Carmen. Micaëla è giovane, ma non è una bambina; è una giovane donna di diciassette anni, che ha il coraggio di percorrere la distanza che separa il suo villaggio dalla città (dieci miglia) per andare a cercare José. Ella ha anche il coraggio di superare le proprie enormi paure, nella notte piena di pericoli, per raggiungere il campo dei contrabbandieri e, di nuovo, cercare di recuperare Jòsé. “Dico che nulla mi spaventa”… ma Micaëla è in realtà spaventata da tutto. Cosa importa? Il suo amore è molto più forte della paura. Ma non esiste soltanto la paura, c’è anche l’odio – selvaggio - che prova nei confronti di Carmen, con la quale attende un confronto violento (che non teme affatto). Micaëla è giovane, ma non è certo sprovveduta.

Quanto ad Escamillo, che fa acrobazie e sfila accompagnato da un scorta, potrebbe essere una caricatura, un archetipo d’uomo forte e poco interessante. Se non fosse impegnato nella corrida, anche lui (come Micaëla) supererebbe la sua paura (probabilmente simile) e attraverserebbe la notte pericolosa per recuperare colei di cui è veramente innamorato. L’uomo rivela a sua volta una parte di femminilità, di fragilità, e il suo percorso si unisce, in uno strano parallelismo, a quello di Micaëla.

Un mondo di terrore, un mondo di caos

Tutta questa paura individuale che abita in ciascun personaggio può esistere soltanto all’interno di un mondo che coltiva la paura collettiva: un mondo di terrore, un mondo di dittatura. Le prime due scene dell’opera ci descrivono il potere del terrore mantenuto da una guarnigione militare che si annoia e che non si fa scrupoli; la povera Micaëla sfugge infatti allo stupro di gruppo per miracolo. Inoltre la scena dei ragazzini, così musicalmente affine a quella appena citata, ci offre lo spettacolo dei bambini-soldati, i quali organizzano il loro personale mondo di violenza copiando quello degli adulti. Questo è anche un mondo industriale: l’unico edificio menzionato è una fabbrica di tabacco, luogo in cui le condizioni lavorative sono probabilmente molto dure (fa così caldo che le ragazze si spogliano) e che si presta a diventare, anch’esso, campo di battaglia: è questo il luogo di una seria lite tra Carmen e una sua collega, che sfocia nel conflitto armato.

Di fronte al mondo del terrore, della legge intollerabile in quanto arbitraria, troviamo sicuramente un altro mondo, quello del contrabbando, dei fuorilegge, di coloro che non possono sopravvivere se non come emarginati. L’opposizione tra i due mondi è forte: l’ordine e l’anarchia, il giorno e la notte. C’è il buco nel muro attraverso il quale si giunge in città, c’è la struttura che costituisce la taverna di Lillas Pastia, dalla quale i soldati devono essere cacciati per permettere l’ingresso del contrabbandiere. E come sempre ci sono i traditori: soldati che sono pronti a compromettersi per accaparrarsi qualche merce di contrabbando, guardie che si lascerebbero corrompere per aprire un passaggio, guide che si fingerebbero contrabbandieri per portare Micaëla dai banditi.

Sotto una prospettiva spaziale la dicotomia è netta: lo spazio della città è chiuso e protetto “sulla piazza”, mentre quello del contrabbando è aperto e i suoi confini non sono definiti. Il primo spazio è diurno, il secondo notturno. Tra i due si staglia una solida fortificazione con poche aperture sorvegliate. Soltanto la taverna di Lillas Pastia gode di uno statuto a parte: quello di una zona franca tra i due mondi, di una linea sfocata tra la zona della legalità e quella dell’illegalità; si tratta anche di uno spazio crepuscolare, al confine tra il giorno e la notte.

Un tempo scomodo

Le indicazioni temporali sono rare e vaghe all’interno dell’opera; sembra che né la cronologia precisa, né la situazione storica abbiano molta importanza. I personaggi, con le loro contraddizioni e i loro dilemmi, fuggono alla pressione aggiuntiva che può esercitare il tempo che passa. Carmen esige dai suoi innamorati una passione totale, che si rifiuta di misurare in termini di durata: se qualche giorno o qualche settimana dopo la relazione amorosa dovesse trovare un altro amante, avrà già dimenticato completamente l’intensità del precedente amore e non saprà più nemmeno quanto tempo sia durato. Don José rimane in esilio per un po’ di tempo. Quanto tempo? Poco importa. Il ricordo di sua madre sembra lontano, ma non è quantificato.

Metà del primo atto è pesante per la non-azione: si tratta di un tempo inaccessibile. È per “ammazzare il tempo” che i soldati osservano le passanti e si permettono comportamenti deplorevoli. Gli unici ritmi imposti alle giornate sono quello del cambio della guardia e quello dell’uscita dalla fabbrica. La storia comincerà davvero quando Carmen lancerà il fiore a Don José: fiore che esiste soprattutto in virtù del suo profumo e che resterà presente per tutta la vicenda, anche quando sarà ormai secco, segno che i personaggi sfidano il potere che il tempo ha sull’esistenza.

Il tempo che Don José trascorre in prigione è a malapena evocato (un mese, secondo una risposta di Zuniga). L’incontro che Carmen ha fissato a Don José presso Lillas Pastia si è svolto un giorno o due dopo la fuga di Carmen (“domenica”), probabilmente un mese prima che essi si ritrovino realmente; eppure essi si ritrovano, come se l’incontro avesse avuto luogo. Il momento dell’uscita di prigione di Don José è oggetto di fraintendimento (ieri secondo Zuniga, due ore prima secondo José) e fa nascere già un dubbio in Carmen circa la fiducia che può o meno avere nei confronti del proprio innamorato; ogni indicazione temporale imprecisa fa nascere un dubbio. All’ascolto dell’opera questa mancanza di punti di riferimento genera nel migliore dei casi un sentimento di mistero, nel peggiore un vero e proprio disagio.

Un mondo di frivolezza

L’assenza di indicazioni temporali è collegata all’idea della festa, elemento onnipresente (si palesa con forza nella scena seconda del terzo atto). La corrida è una festa popolare che riconcilia e invita a dimenticare ogni cosa. Eppure essa è anche e innanzitutto una consacrazione della violenza, della morte organizzata, ma che tuttavia viene vissuta con gioia, con una leggerezza che contamina l’intera opera.

La dichiarazione d’amore pubblica di Carmen a Don José è una danza, una “havanaise”1. Ed è ancora grazie alla danza che ella riesce ad incantarlo fino al punto di farsi liberare; è infine grazie alla danza che riesce a farlo uscire di prigione. Si tratta di una sorta di ebrezza del corpo, che si libera delle sue costrizioni sociali per rivendicare la propria libertà.

La leggerezza musicale si coglie in vari momenti che in linea di massima sarebbero molto seri, come l’episodio della frode della merce nell’atto II: “quanto al doganiere, è affar nostro”; o ancora l’aria delle carte, che predice addirittura l’epilogo tragico della vicenda di Carmen. La leggerezza e la frivolezza sono ovunque: è probabile che se si affrontasse il mondo in modo serio semplicemente non si potrebbe più davvero vivere.

Si può vivere con leggerezza, ma bisogna fare attenzione. Leggerezza nella danza, leggerezza nel riso, leggerezza nel gioco delle carte. Una leggerezza che guarda continuamente la morte, che gioca con essa, una leggerezza che è in definitiva un’espressione esplicita della fragilità. E così si ritorna al punto di partenza.


NOTE DEL DIRETTORE

LIBRE ELLE EST NÉE ET LIBRE ELLE MOURRA!

di Carlo Goldstein

La piazza prende vita: ci sono militari, donne e bambini; una ragazza viene a cercare un soldato e le sigaraie a fine turno escono a far bella mostra di sé. C’è miseria ma in fondo c’è armonia e ognuno ha un ruolo definito; ogni cosa procede come deve procedere e tutti sanno chi sono.

A un tratto però arriva LEI: arriva Carmen!

È l’arrivo di un cataclisma, di un’energia incontrollabile che destabilizza tutto e tutti. In uno degli ingressi più perfetti della storia del teatro svanisce d’improvviso l’eleganza francese delle prime scene e si materializza di fronte ai nostri occhi qualcosa di inedito. Incorniciata dalle due maggiori dissonanze del nostro sistema musicale – una nona prima delle parole del coro “Mais nous ne voyons pas la Carmencita!” e una quarta eccedente (che gli antichi chiamavano diabolus in musica) sulle parole di Carmen “c’est certain!” – si fa strada la protagonista. Prima tutti cantavano in battere ora lei canta in levare: il ritmo, prima un cullante 6/8, adesso si frange in sincopi continue e anche l’ostinato ritmo di Habanera appare sospeso tra seduzione e minaccia.

Carmen non è come gli altri vorrebbero che fosse, Carmen non fa e non farà quello che gli altri si aspettano che faccia; Carmen anzi è un prisma drammatico passando attraverso il quale tutti gli altri vedranno stravolto il proprio destino.

La parola più pronunciata in assoluto nel corso dell’opera è proprio “Carmen”: il nome della protagonista è sulla bocca di tutti e tutti ricevono un po’ alla volta una nuova identità in virtù del rapporto che instaureranno con lei.

Carmen non è né buona né cattiva; al contrario di Don José non ha una famiglia, non ha passato e nessuno la attende lontano da qualche parte. Non sappiamo niente di lei se non quello che ci dice ella stessa: Carmen ama la libertà più di ogni cosa.

Carmen è la Libertà e Bizet la celebra in tutti i suoi aspetti, anche i più ambigui e problematici: l’uccello inafferrabile dell’Amore è la metafora d’apertura, la seduzione della Seguidilla, che costringe l’ingenuo a delinquere, è la libertà di sé che prevarica l’altro; il Finale secondo è l’apoteosi collettiva di un ideale e, dalla drammatica Aria della carte nel terzo atto fino alla scena finale, Carmen si mostra libera anche di fronte alla morte: libera di guardarla negli occhi, libera nell’affrontarla senza esitazioni.

Bizet porta l’Opéra Comique nel teatro universale: il teatro di genere si trasfigura, la commedia e la tragedia si fondono con avvincente antiretorica e delineano un nuovo tipo di donna. Una donna contemporanea: indomita nel suo anelito alla vita, complessa nei sentimenti, insofferente a pressioni e pregiudizi. Una donna libera oltre ogni limite possibile.


Venerdì 24 novembre ore 20.30 (TURNO A)

Domenica 26 novembre ore 15.30 (TURNO B)

CARMEN

Dramma lirico in quattro atti

su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy

dalla novella omonima di Prosper Mérimèe

Musica di GEORGES BIZET

Prima rappresentazione Parigi, Opéra-Comique, 3 marzo 1875

Carmen Na’ama Goldman

Micaëla Maria Teresa Leva

Frasquita Claudia Sasso

Mercédès Arina Alexeeva

Don José Luciano Ganci

Escamillo Zoltan Nagy

Le Dancaire Davide Fersini

Remendado Roberto Covatta

Moralès Gabriele Nani

Zuniga Federico Benetti

Lilas Pastia / Guida Alberto Branca

Maestro concertatore e

Direttore Carlo Goldstein

Regia Frédéric Roels

Scene Bruno de Lavenère

Costumi Lionel Lesire

Luci Laurent Castaingt

Coreografie Sergio Simon

Assistente alla regia Nathalie Gendrot

Maestro del coro Diego Maccagnola

Maestro del coro

di voci bianche Raul Dominguez

ORCHESTRA I POMERIGGI MUSICALI

CORO OPERALOMBARDIA

CORO DI VOCI BIANCHE MOUSIKE’ e SMIM VIDA DI CREMONA

Allestimento Opéra de Rouen Haute-Normandie

Coproduzione dei Teatri di OperaLombardia


ARTISTI

CARLO GOLDSTEIN Direttore

Carlo Goldstein è tra i giovani direttori d’orchestra emergenti del panorama internazionale. Dopo la vittoria del primo premio all’International Conducting Competition di Graz nel 2009 ha iniziato un’intensa attività in Italia e all’estero. Tra il 2017 e il 2018 dirige Turandot per l’apertura del Teatro Grande di Brescia e Carmen per l’inaugurazione del Ponchielli di Cremona, entrambe i titoli girano nei teatri della Lombardia; Madama Butterfly e La Traviata al Arts Center di Seoul e Busan in Corea e poi ancora La Traviata al Petruzzelli di Bari. In ambito sinfonico dirige concerti in Israele e debutta al Petruzzelli di Bari (Prokof’ev, Cresta, Mahler e Rota) e con la Sächsische Staatskappelle Dresden (Schönberg, Weber e Mendelssohn). Nelle passate recenti stagioni ha diretto tra le altre cose Carmen alla Fenice di Venezia, La Bohème nei teatri di Reggio Emilia, Como e Pavia, Ballo in Maschera al Art Center di Seoul, Così Fan Tutte all’Opera di Tenerife, Carmen ancora a Seoul e nei teatri di Livorno, Lucca e Pisa, Adriana Lecouvreur nei teatri di Como, Pavia e Cremona e Pagliacci nel Festival estivo del Teatro Sociale di Como, spettacolo premiato con il Premio Abbiati 2016. E ancora diverse produzioni de L’elisir d’amore, il Matrimonio segreto e L’Orfeo per il Festival della Valle d’Itria. In ambito sinfonico ha diretto in Italia concerti con l’Orchestra del Maggio Musicale di Firenze, l’Orchestra dell’Arena di Verona, l’Orchestra del Teatro Massimo di Palermo, l’Orchestra del Teatro Verdi di Trieste, I Pomeriggi Musicali di Milano, l’Orchestra Regionale Toscana, l’Orchestra di Padova e del Veneto, la Sinfonica Abruzzese e gli Archi del Cherubino. All’estero ha diretto più volte in Israele sia la Raanana Symphonette Orchestra di Tel Aviv che la Israel Camerata al Jerusalem Theater; ha partecipato in Germania al Festival Internationale Schostakowitsch Tage in Gohrisch dirigendo lavori di Eisler e Dessau; ha diretto svariate orchestre in Russia tra le quali la St. Petersburg State Symphony Orchestra, la Hermitage Symphony Orchestra, la Tomsk Philharmonic Orchestra, la Omsk Philharmonic Orchestra, la Arkhangelsk Chamber Orchestra, la Murmansk Philharmonic Orchestra, la Bryansk Symphony Orchestra e la Samara Philharmonic.

Carlo Goldstein è da sempre molto attivo nella musica contemporanea, ha diretto al Festival Milano Musica 2016 e ha diretto diverse prime esecuzioni di autori contemporanei italiani e stranieri. Ha collaborato tra gli altri con MDI ensemble e Divertimento Ensemble. Carlo Goldstein ha inciso, tre Concerti di Mozart con il pianista Andrea Bacchetti e l’Orchestra di Padova e del Veneto, per la rivista Amadeus; registrazione poi ripresa dall’etichetta Dynamic e recensita entusiasticamente anche dal BBC Music Magazine di Londra.

Ha anche inciso un CD contenente Arie italiane, con il tenore Massimo Giordano e l’Ensemble dell’Orchestra del Maggio Musicale di Firenze, edito da BMG. Carlo Goldstein, oltre agli studi musicali – Conservatorio di Trieste, Accademia Internazionale della Musica di Milano, Mozarteum di Salisburgo e Royal College di Londra – è laureato in Filosofia – Estetica – presso l’Università Statale di Milano e ha all’attivo diverse pubblicazioni di carattere estetologico e storico musicale. Il canale Classica – in onda in Italia su Sky – ha realizzato una puntata su di lui nella serie Notevoli, dedicata ai giovani talenti italiani.

FRÉDÉRIC ROELS Regia

Terminati gli studi all’INSAS di Bruxelles, fonda la propria compagnia, Prospéro & Cie, per la quale mette in scena Prospéro suite, Sacre, Aglavaine et Sélysette, Le supplici, Kinderzimmer. All’Opéra Royal de Wallonie è assistente di Claire Servais nella maggior parte delle sue produzioni dal 1995 al 2008. Nel 2000 allestisce per l’Opéra Royal de Wallonie Igiene dell’assassino, nel 2002 Il diario di uno scomparso di Janáček, nel 2006 del Sabotaggio d’amore e nel 2007 The turn of the Screw di Britten all’Opéra Royal de Wallonie. Dall’ottobre 2009 è direttore artistico e generale dell’Opéra de Rouen Haute-Normandie, presso la quale ha creato una compagnia di quattro giovani cantanti lirici e ha supportato i due ensemble vocali stabili, Accentus di Laurence Equilbey e Le Poème Harmonique di Vincent Dumestre. Ha fatto dell’opera partecipativa la punta di diamante del proprio progetto per il pubblico giovane e nel 2013 ha portato sulle scene un concerto interattivo definito «quiz sinfonico». Proseguendo la sua attività di regista e di autore a Rouen, ha allestito e scritto il libretto de L’homme qui s’efface, presentato in anteprima mondiale nel 2011, su musiche di Pascal Charpentier. Nell’ottobre 2012 ha diretto Carmen, con Vivica Genaux nel ruolo della protagonista, e La damnation de Faust di Berlioz per le Opere di Rouen e di Limoges. Ha anche scritto il libretto per un’opera presentata in anteprima mondiale composta da Michel Fourgon e ispirata al personaggio affascinante e tragico di Lolo Ferrari. Nel 2016 ha realizzato una nuova rilettura del Don Giovanni, successivamente un Così fan tutte a Rouen, Massy e Reims e Norma (a Rouen) e nei prossimi mesi a Muscat in Oman.

BRUNO DE LAVENÈREScene

Si è laureato presso la rinomata École nationale supérieure des arts et techniques du théâtre a Lione. I suoi lavori annoverano, tra le altre cose: Songs from Before (coreografia di Lucinda Childs) all’Opéra national du Rhin e al Théâtre de la Ville, Cendrillon (coreografia di Michel Kelemenis) al Grand Théâtre de Genève, L’Homme de la Mancha (regia di Jean-Louis Grinda) al Théâtre du Capitole e all’Opéra de Monte-Carlo, Chat perché (regia di Caroline Gautier) all’Opéra Bastille, La Reine morte (coreografia di Kader Belarbi) al Théâtre du Capitole, La Chartreuse de Parme (regia di Renée Auphan) all’Opéra de Marseille, Farnace (regia di Lucinda Childs) all’Opéra national du Rhin), Re Orso (regia di Richard Brunel) all’Opéra Comique, Carmen e La damnation de Faust (regia di Frédéric Roels) all’Opéra de Rouen, TheTender Land eMesdames de la Halle (regia di Jean Lacornerie) all’Opéra de Lyon, Don Quichotte (coreografia di Rui Lopes Graça) all’Opéra national du Rhin, Siegfried ou Qui deviendra le seigneur de l’anneau (regia di Julien Ostini) al Grand Théâtre de Genève), Doctor Atomic (regia di Lucinda Childs) all’Opéra National du Rhin. Al momento sta lavorando a: La vie parisienne di Offenbach all’Opéra National du Rhin, Lucia di Lammermoor (regia di Jean-Romain Vesperini) all’Opéra de Rouen, La belle Hélène di Offenbach al Grand Théâtre de Genève e Le Trouvère di Verdi (regia di Richard Brunel) all’Opéra de Lille.

LIONEL LESIRE Costumi

Nato nel 1969 in Belgio, pittore ed incisore, si è avvicinato al mondo del teatro come pittore di scena al Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles. Assistente a scenografi come Benoît Dugardyn, Antonio Jesús Jara e Rudy Sabonghi, ha creato le sue prime scenografie e costumi per il teatro nel 1992. Nel 2000 ha iniziato la carriera di costumista con Simon Boccanegra (regia di Stephen Lawless) al New Zealand Festival di Wellington). Ad oggi, tra scene e costumi, ha firmato una sessantina di produzioni per il teatro ed una trentina per l’opera. Tra le produzioni recenti come costumista si citano: La compagnie des hommes di Edward Bond,En douceur et profondeur (regia di Inès Rabadán e Lionel Lesire) al Théâtre National de la Fédération Wallonie-Bruxelles, Carmen e La damnation de Faust (regia di Frédéric Roels) all’Opéra de Rouen, La bohème all’Opéra Royal de Wallonie, Don Chisciotte in Sierra Morena di Francesco Bartolomeo Conti (regia di Stephen Lawless), Lucrèce Borgia di Hugo, La Mort au bal masqué di Brackx, Affabulazione di Pasolini, Non si paga, non si paga! di Fo.

LAURENT CASTAINGTLuci

Ha alle spalle numerose collaborazioni con nomi come Alfredo Arias, Bernard Murat, Jean-Louis Grinda, Richard Brunel, Jean-Claude Auvray, René Loyon, Karel Reisz, Hideyuki Yano, Roman Polanski, Gerard Desarthe, François Marthouret, Sylvie Testud, Laure Duthilleul, Madeleine Marion, Pierre Barrat et Marie-Noël Rio, Jean-Claude Berutti, Vincent Delerm, Jean-Louis Grinda, Elsa Rooke, Marguerite Borie e Frédéric Roels (per il quale ha firmato le luci di Carmen e de La damnation de Faust). Ha lavorato nei maggiori teatri del mondo: Opéra Bastille, Odéon, Comedie-Française ed Édouard VII di Parigi, Volksoper di Vienna, Liceu de Barcellona, Opéra di Montecarlo, Opera di Roma, Maggio Musicale fiorentino, Carlo Felice di Genova, Colón di Buenos Aires, Opera di Hong Kong, Olympia di Dublino. Ha curato inoltre l’installazione in esterni Ecorces vives e lavorato con il disegnatore François Schuiten per A planet of visions nell’ambito dell’Esposizione Universale che ha avuto luogo nel 2000 ad Hannover. Ha ricevuto tre nomine al Premio Molière per la miglior luce.

SERGIO SIMÓN Coreografo

Nato a Saragozza (Spagna), è diplomato in arti coreografiche. Danza nei principali ruoli del repertorio classico, collaborando con nomi come Victor Ullate, Nils Cristie, Jiří Kylián, Hans Van Manen, Antonio Gades, Claude Brumachon e Myriam Naisy. Nel 2006 diventa direttore del Ballet de l’Opéra-Théâtre di Limoges. Cura la regia e la coreografia di ‘opere danzate’, a partire dalla musica dei Carmina Burana di Orff (nel 2008), de El amor brujo ed El sombrero de tres picos di De Falla (nel 2009), del Prélude à l’après-midi d’un faune di Debussy e dei Contrastes di Bartók (nel 2010). Roméo, Juliette (musiche originali di Labarsouque) è la prima creazione nel 2010 dedicata all’analisi di personaggi mitici ed è seguita nel 2012 da Quelque chose de Carmen (musiche originali di Garcia-Fons). Nel 2014 cura la coreografia della Suite per pianoforte da Goyescas di Granados.

1 L’aria più celebre della partitura deriva dalla cultura cubana, senza rapporto diretto con la cornice sivigliana dell’intreccio.