L’Ape musicale

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dialogues des carmelites

Un testimone dell’invisibile

Olivier Py

E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessì il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.

San Paolo ai Corinzi, I 13-3

L’ultima domanda che mi pone la mia responsabilità non è di sapere come potrei cavarmela eroicamente, ma come le generazioni a venire potrebbero continuare a vivere […] Che significa una vita cristiana in un mondo senza religione? Il compito della nostra generazione non sarà di desiderare ancora una volta “grandi cose”, ma di salvare la nostra anima dal caos, di vedere in essa l’unico bene che salveremmo dalla casa in fiamme come nostro ‘bottino’. Dio ci fa sapere che bisogna vivere come uomini che riescono a cavarmela senza Dio. Il Dio che e con noi è quello che ci abbandona.

Dietrich Bonhoeffer in Michel Séonnet, Dietrich Bonhoeffer: sans autre guide ni lumière, Gallimard, Paris 2002

Alcuni potrebbero meravigliarsi per la scelta del tema del martirio come argomento teologico; la martirologia non era una verità rivelata del pensiero, ma al contrario, secondo Bernanos, un gesto di notevole audacia. Per comprendere ciò che questo testimone dell’invisibile ci dice del martirio, della sua capacità di pendere sia dalla parte della grazia sia da quella della paura, per esprimere la fede, dobbiamo spostarci non nell’epoca rivoluzionaria ma nel cuore del XX secolo, quando i martiri sono stati sovrabbondanti. Prima che le carceri naziste fossero l’orpello temporale dell’amore senza tempo dei martiri cristiani, l’uomo Bernanos aveva già incontrato l’eroismo durante la guerra di Spagna, quando i preti antifranchisti al suo fianco avevano pagato con la vita una certa idea di umanità. Quando ha redatto il suo testamento letterario, rompendo addirittura il voto di non scrivere più testi letterari, Bernanos aveva davanti a sé le vittime della resistenza, fra cui lo scrittore e teologo Dietrich Bonhoeffer che venne torturato e poi deportato nel campo di Buchenwald. È proprio dalla sua prigione, senza alcuna speranza di essere letto, che egli ha inventato la teologia più esatta, quella della morte di Dio; le sue riflessioni sul “cristianesimo senza religiosità” accentuate dagli anni di “martirio” avrebbero conosciuto un clamoroso seguito nell’ambiente teologico. Il secolo di Bernanos, che è sempre in un certo senso anche un po’ il nostro, ha portato l’ingiustizia e la violenza al potere, mostrando il silenzio di Dio, la sua assenza quindi la sua condanna a morte. Bernanos, come un buon numero di cristiani del suo tempo, ha dovuto “capovolgere” la fulminante ingiunzione di Nietzsche «Dio è morto» in una forma di speranza, rispondendo a questa angoscia di fede «sì, Dio è morto sulla croce». Dio è morto, la vocazione viene meno e regna il materialismo. La deflagrazione umana e morale delle due guerre mondiali, di Auschwitz e di Hiroshima, ci vieta di considerare Dio come consolazione o imperativo morale: bisogna inventare un’altra maniera di credere, che non collochi più l’uomo nelle certezze etiche e la fiducia nel trionfo storico della verità. Bernanos deve fare dell’assenza di Dio l’argomento incontrovertibile della sua presenza: per questo incentra un poema drammatico dove delle religiose che fanno voto di martirio ci insegnano ad amare, ad essere liberi e a credere in un mondo in rovina; tutta l’opera di questo romanziere, editorialista, più retore che poeta, è un viatico per creder ancora nonostante lo scoraggiamento spirituale.

I personaggi di Bernanos, come Chantal e l’abate Cénabre in L’imposture, e La Joie, i due suoi romanzi più fortunati, devono reinventarsi la fede a partire da un’esperienza interiore che non conferma più nulla attorno a loro. Nessun bisogno di ghigliottina per sentire sulla loro nuca e al fondo dell’anima la mannaia del mondo materialista e agnostico, l’inverno è la notte terribile di un mondo che non crede più e non conosce se non il disgusto e il terrore. L’opera di Bernanos non è una beatitudine inammissibile, un esempio di grazia e di gioia trascendentali lanciate in faccia al mondo come alcune pagine di Claudel che sembrano dire «se non capite, io non posso fare nulla per voi». Al contrario, la fede del cristiano Bernanos è quella del dubbio, dell’inquietudine, dello scoraggiamento e della perdita; una via di scampo si trova grazie alla forza del Verbo, che non ne è mai ombra portata dalla forza dell’amore, che trasforma quest’infinita mancanza, questo profondissimo dolore dell’assenza, questa incommensurabile lacuna in un grido verso Dio che è come una cattedrale d’aria. Se in questo secolo Dio è stato assente e quest’assenza non gli manca e ne è suo testimone, questa angoscia di non essere un santo, questa sete di assoluto mai spenta, questo appello affinché il frastuono del secolo non giunga a stordirci diviene l’unica prova dell’esistenza di un Dio d’amore. A questo punto l’avventura interiore del credente sostituisce la Chiesa o la reinventa non più come istituzione autoritaria e moralizzatrice ma come riunione di una comunità di spiriti che non ha altro tesoro se non la propria inquietudine e la propria povertà. Questa Chiesa che sembra quasi una catacomba e assomiglia ai colori della morte e dei campi di concentramento, evoca la solitudine delle grandi città e l’oscurità dei sepolcri, dove lo spirito piange sotto la cenere, dove alcuni – non santi né martiri – gli prestano attento orecchio. A meno che il martirio non diventi quello di tutta l’umanità confrontata col terrore dei tempi moderni, e che la santità non diventi quella parte che ancora, in ciascuno di noi, crede nelle possibilità dell’umano.


 

 

 
 
 

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