L’Ape musicale

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LA “RICETTA” DELL’OPERA

Un’opera sullo chef: era questa la proposta che, un anno fa, mi giungeva al telefono da Corinne Baroni, appena insediata al vertice del Teatro Coccia di Novara. E uno chef all’Opera, per giunta, poiché Antonino Cannavacciuolo – che tra le mura del politeama novarese ha cucina e ristorante – sarebbe stato il protagonista dello spettacolo, nel ruolo di se stesso.

Nel lungo e imbarazzato silenzio che facevo seguire alla fervorosa richiesta di Corinne, cercai nella memoria qualche appiglio che coniugasse melodramma e gastronomia: nell’opera non mancano riferimenti a luoghi deputati alla preparazione dei cibi o alla conservazione delle derrate alimentari. Mi venivano in mente cucine, cantine, fabbriche di birra che nei libretti ottocenteschi si alternavano a salotti, camere, sale regie, giardini e riviere boscose. Ricordavo persino dell’esistenza di un cuoco, personaggio secondario nel Cyrano de Bergerac di Franco Alfano.

Ma uno chef protagonista è un affar serio!” provai a replicare alla mia gentile interlocutrice.

Corinne aveva già pronta la mossa successiva: “Ho pensato che potresti mettere a punto l’idea insieme con Luca Baccolini” mi diceva, premurosa, perché gioissi della circostanza di non essere stato abbandonato, tutto solo, alla partenza di un’avventura pericolosa.

Con Luca ci incontrammo qualche settimana dopo, sulle colline marchigiane, e condividemmo immediatamente il metodo: prima una cena con i piatti della cucina povera locale, innaffiata da una bottiglia di Lacrima di Morro d’Alba (le Langhe non c’entrano, i vitigni del Lacrima si trovano tra Jesi e Senigallia), poi una nottata di lavoro intenso, a briglia sciolta, tra serietà d’intenti ed ilare follia.

All’arrivo dei primi cappuccini avevamo già un’idea: l’opera doveva essere un’alternanza di numeri musicali e dialoghi recitati – come nel Singspiel tedesco e nella comédie melée d’ariette francese – e la vicenda doveva svolgersi durante una lezione di cucina dello chef.

Ci aveva aiutato molto Rousseau, non quello della piattaforma, quello invece dell’Emilio e del Contratto Sociale, autore di testo e musica di una deliziosa opera in un atto: Le Devin du village. Una storia semplice, con una ragazza, Colette, che si rivolge ad un indovino girovago per riconquistare il fidanzato Colin, attratto dalle grazie di una signora di città. Esperto del cuore umano, l’indovino fa leva sulla gelosia di Colin, inventando un preteso corteggiatore della ragazza, perché il giovane ritrovi l’interesse e l’affetto per la fidanzata. La magia dell’incantatore del villaggio che conduce al lieto fine è tutta qui.

La storia piacque a Mozart bambino, che la trasformò nel Singspiel Bastien und Bastienne, e piaceva molto anche a noi: il cuoco che trasforma le materie prime in piatti straordinari non è forse un mago capace di metamorfosi favolose? E poi Cannavacciuolo un po’ mago lo è davvero, non solo perché trasforma cucine da incubo in luoghi di delizie, ma soprattutto perché è disposto ad ascoltare e a comprendere – prima per empatia poi con l’esperienza – i suoi interlocutori.

Avevamo una traccia: un ragazzo innamorato dell’assistente dello chef, una ragazza che divide la sua vita tra la cucina del ristorante e la classe di canto del conservatorio. Il giovane investe i suoi risparmi in una lezione di cucina, per poter passare una mattinata accanto alla sua amata, che ha respinto più volte le sue avances. Nella classe si ritrovano anche una signora quarantenne assai estroversa, un giovane blogger e un ingegnere, uniti dalla passione per la cucina. La lezione dello chef verte su una delle sue ricette. Durante la preparazione del piatto lo chef si accorge che il ragazzo, impacciato e palesemente negato per le attività culinarie, è lì solo per fare la corte alla sua assistente e si mostra divertito alle manovre della signora, palesemente interessata al giovane compagno di corso. Tra la spiegazione della ricetta e la preparazione della pietanza, lo chef trova il modo di avvicinare i due ragazzi, affidando l’inesperto innamorato alle cure dell’assistente. Anzi, regala loro due biglietti per uno spettacolo d’opera. La mossa è vincente: la nascita di una storia d’amore e l’esultanza per un piatto favolosamente realizzato sono il punto d’arrivo. Sipario.

Nei giorni seguenti Luca mise a punto il soggetto: telefonate, e-mail, messaggi vocali, sms incrementavano tra noi la costruzione della storia e i personaggi cominciavano a prendere vita.

Il ragazzo volle a tutti i costi chiamarsi Rudy, ovvero Rodolfo, dal momento che la ragazza aveva ricevuto il nome di Mimì. Alla procace signora destinata a fare l’antagonista il nome Samantha sembrò perfetto, mentre il frivolo blogger non poteva che chiamarsi Narciso e l’ingegnere s’inorgogliva del nome di Furio.

Intanto tutti e cinque avevano cominciato a parlare in versi con un linguaggio ovviamente contemporaneo e la storia trovava la sua articolazione in arie, duetti, concertati, come nell’opera buffa. A Valentino Corvino il libretto è arrivato come una bomba innescata e il compositore si è affrettato a farla scoppiare nella sua scrittura elegantemente disinvolta, che nasconde una profonda conoscenza delle strutture del melodramma sotto i ritmi del pop e del jazz.

Era arrivato il momento di condividere con Cannavacciuolo la nostra “ricetta” per l’opera. Nello studio del Direttore del Teatro Coccia, un lungo tavolo ci accoglieva tutti – compositore, librettista, registi, responsabili di settore del Teatro - con Corinne Baroni e Antonino Cannavacciuolo seduti di fronte, sui lati brevi. La riunione, breve, metteva a punto ogni dettaglio: lo chef avrebbe cucinato il suo piatto più famoso - le mitiche linguine con calamaretti spillo e salsa di pane di segale - i cantanti avrebbero partecipato a lezioni preliminari di cucina per poter utilmente interagire con i cuochi veri, l’opera avrebbe rubato il titolo ad uno dei libri di Cannavacciuolo, Mettici il cuore.

Da quella prima riunione altre ce ne sono state; libretto e partitura sono stati elaborati, conclusi, consegnati per essere studiati, provati, ritoccati, modificati, adattati alle fisionomie vocali degli interpreti, come abiti d’alta moda sui corpi dei modelli.

Le prove sono cominciate in sala e proseguono sul palcoscenico.

Attendiamo allo spettacolo il tocco magico dello chef.

Vincenzo De Vivo


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