L’Ape musicale

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Il Trittico

3-7-21-30 AGOSTO

Lo spettacolo andrà in scena nell’ Auditorium del Teatro di Torre del Lago intitolato ad Enrico Caruso

“…metti dei bimbi, dei fiori, dei dolori, e degli amori.”

(Giacomo Puccini, da una lettera a Gabriele D’Annunzio, Agosto 1912)

Il Trittico pucciniano, tre atti unici Il Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi torna ad essere rappresentato integralmente a Torre del Lago dopo 40 anni, l’ultima rappresentazione è infatti del 1974, la Stagione che Torre del Lago allestì per l’anniversario dei 50 anni dalla morte del Maestro.

Alla messa in scena de Il Trittico Pucciniano la Fondazione Festival Pucciniano, da sempre attenta a favorire le carriere di giovani artisti che hanno la possibilità di prepararsi e farsi conoscere nel contesto di un Festival che richiama pubblico da tutto il mondo, ha inteso dedicare speciali attività di formazione e perfezionamento. Un’attenzione verso i giovani che la Fondazione ha voluto sintetizzare nel Progetto Puccini 2.0 scegliendo di affidare regia, scene e costumi di Il Trittico con una selezione pubblica. Ad aggiudicarsi il Bando per l’ideazione dell’opera è stata la proposta di un gruppo di donne guidato dal Monica Bernardi che ha firmato le scene, con lei Carla Conti Guglia assistente alla scenografia e ai costumi, Selene Farinelli per il progetto di regia di Il Tabarro, Vittoria Lai e Giorgia Guerra per la regia di Suor Angelica, Elena Marcelli per la regia di Gianni Schicchi e Lorena Marin per i costumi.

Sempre alla produzione di Il Trittico è stata finalizzata nel 2014 l’Accademia di Alto Perfezionamento che ha selezionato 27 giovani per seguire i corsi e le master class della Scuola Pucciniana. Giovani poi selezionati per essere protagonisti dei tre atti unici oltre che di altri ruoli del cartellone 2014.

Nelle 4 rappresentazioni di il Trittico si alterneranno sul palcoscenico, i giovani cantanti dell’Accademia a fianco di grandi artisti Amarilli Nizza nei tre ruoli femminili, Alberto Mastromarino nel ruolo di Michele e di Gianni Schicchi. Sul podio a dirigere i tre titoli il maestro Bruno Nicoli.

Il trittico.

A sipario aperto, un bimbo di circa sette anni anima la scena, attore e spettatore di una duplice vicenda incorniciata in un boccascena volutamente claustrofobico: si consumano davanti ai suoi puri occhi le vicende di Michele e Giorgetta e di Suor Angelica. Vinto però dalla gioia di vivere del suo essere bambino, rovescia le sorti dell’azione e costruisce, come un abile regista, un ultimo atto che lo diverte e lo coinvolge direttamente nei panni di Gherardino. Ecco allora che, come in un tendone da circo, iniziano a volteggiare grotteschi personaggi, danzano corpi senza grazia, vivono amori finalmente felici. Il fil rouge del bambino tesse tre trame diverse, raccontate con tre diversi linguaggi: Il tabarro è un concentrato di relazioni logore e marce, come il pontile del vissuto; Suor Angelica è costruita sul meccanismo dell’automatismo coreografico, in cui la vita del convento è un ripetitivo susseguirsi di gesti e intenzioni sempre uguali; Gianni Schicchi, infine, vive e gode delle comiche geometrie dei parenti beffati. Anche lo spazio scenico contribuisce alla ricerca di continuità nelle tre opere attraverso una struttura fissa strettamente connessa all’impianto dell’auditorium, che si completa con elementi mobili di atto in atto funzionali all’azione e con forme simboliche caratterizzanti la suggestione delle singole vicende.

Il tabarro.

Credo che al mondo non vi sia nulla di più ridente delle idee che destano il cuore di una madre alla vista della scarpina del suo bimbo [..] ma quando il bimbo non c'è più la scarpina ricamata diventa solo uno strumento di tortura, che maciulla eternamente il cuore della madre. (V. Hugo, Notre Dame de Paris). Il bimbo di Michele e Giorgetta, a fatica nominato nell'opera, apre Il tabarro consegnando alla madre la scarpina, simbolo di quel dolore palpabile già dalle prime note. In bilico tra il legno e l'acqua si consuma la stanca routine della periferia parigina. Logorata dalla mediocrità è Giorgetta, donna un tempo piena di vita, ora insoddisfatta e malinconica. L'innamoramento per Luigi è il suo ultimo disperato tentativo di provare emozioni forti. Sullo sfondo si anima un frammento di quella vita cittadina: eleganti midinettes a caccia di conquiste amorose, giovani amanti, un venditore di canzonette e la Frugola che con i suoi oggetti strani e colorati fa rivivere il luccichio di quel mondo che tanto manca a Giorgetta. Ciò che incatena tragicamente i due coniugi è la morte del figlio, che ha costruito muri di ripicche, sensi di colpa e di rabbia: ogni possibilità di comunicazione tra i due è interrotta in modo irreversibile. Come ne L'Houppelande di Didier Gold, il Tinca, uno degli scaricatori, ubriaco, tradito dalla moglie e ridotto alla disperazione, intuisce la tresca tra Luigi e Giorgetta e, in un crescendo di provocazioni sguaiate, costruisce la tensione del tragico finale. Michele ha ormai compreso che la moglie lo tradisce e decide di punirla privandola del nuovo amore a cui lei si è disperatamente aggrappata. La terribile condanna dei due protagonisti è quella di rimanere in vita per affondare ineluttabilmente nel vuoto delle loro logore esistenze.

Selene Farinelli

Suor Angelica.

Suor Angelica, figlia dei Principi Gualtiero e Clara, è costretta in un convento da sette anni: negli anni successivi alla Grande Guerra il lavoro le ha reso più dolce il congedo dal mondo esterno. Si occupa della medicina e della cosmesi naturale: cresce, cura le sue piante e le trasforma in unguenti, sciroppi e pozioni. Suor Genovieffa la accompagna in questo percorso, non solo attenta ad imparare ricette e piccoli segreti ma vicina a lei nel dolore e nella sensibilità materna. Ella è infatti l'unica a percepire fino in fondo il dramma di Angelica, imbrigliata nella vita monastica a causa di un grave scandalo amoroso e di una gravidanza scomoda. Da allora Suor Angelica vive in attesa di avere notizie della sua famiglia e in particolare del suo bambino: esse giungono, in una tiepida giornata di maggio. La zia Principessa viene a sbrigare una faccenda di eredità: la piccola Anna Viola anderà sposa e serve una firma per la spartizione dei beni. Nessun cenno al bambino fino al gelido: Tutto fu fatto per salvarlo. Angelica, in preda alla disperazione più violenta, si uccide: prima di lasciare il mondo saluta le sue compagne e la vita del convento, dona il suo sapere a Genovieffa e chiede, da madre, il perdono alla Madonna per aver scelto il suicidio, peccato mortale. Ad aspettarla, dall'inizio dell'unico atto, c'è il bambino che, curioso, osserva la vita semplice del convento: la ricreazione dopo le punizioni, l'arrivo delle suore cercatrici e del loro raccolto, l'acqua dorata della fontana, la madre che sceglie petali profumati. È un miracolo anticipato: il bambino è la spera di sole che attraversa il convento, è il soffio che impietosisce per un attimo l’inesorabile Zia Principessa, è il contatto tra il mondo divino e quello umano.

Vittoria Lai e Giorgia Guerra

Gianni Schicchi.

Il piccolo Gherardino è costretto ad assistere alla veglia funebre di un parente. Veglia che in pochi attimi si trasforma in una lotta per modificare un testamento che vede i propri congiunti completamente diseredati a favore di un convento. Profondamente disinteressato, il bambino vaga in un ambiente claustrofobico in cerca di qualcosa che desti la sua attenzione più dei beceri raggiri dei familiari. Ha solo sette anni, eppure ha capito benissimo che in quella stanza non c’è un essere umano degno della sua attenzione: i suoi parenti, perfino i suoi genitori, non sono che parassiti in un mondo che sta mutando. La camera del morto si rivela essere lo specchio di un paesaggio saturo dei colori di un’umanità che si accartoccia su se stessa e davanti alla quale si ride, perché non si può fare altro. Il grande letto che domina la scena sovrasta come una condanna questi ridicoli individui, residui di esseri umani, gusci, maschere, pronti a condividere solo rabbia e paura. Fossilizzati nella loro realtà socialmente e saldamente divisa in ricchi e poveri, i parenti sono costretti a chiedere l’aiuto di Gianni Schicchi, un contadino noto per la sua astuzia. Sostituitosi al morto, Gianni ridistribuisce l’eredità dinanzi ad un notaio e beffa tutti, assegnandosi gran parte dei possedimenti del defunto, per permettere alla figlia di sposare l’unico dei presenti in quella stanza che abbia capito come la realtà possa essere cambiata. Gianni si ritrova suo malgrado ad essere una sorta di giustiziere. Egli capisce che i parenti non sono “terreno fertile” e che bisogna dare una possibilità a chi si presenta al mondo con forze fisiche e mentali nuove, non tanto perché sicuro del risultato, piuttosto perché fiducioso in un futuro migliore.

Elena Marcelli


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