Rejoice greatly!

di Giovanni Andrea Sechi

Il coro l’orchestra dell’Academy of Ancient Music, diretti da Richard Egarr, infiammano il Barbican Centre con un’esecuzione da manuale del Messiah di Georg Friedrich Händel. La profonda sensibilità dell’ensemble vocale e strumentale trova riscontro nei solisti, su cui spicca Tim Mead (controtenore).

LONDRA, 10 dicembre 2014 – La scelta di eseguire un lavoro concepito per la Settimana santa in periodo d’Avvento potrebbe destare perplessità nell’ascoltatore odierno. Per quanto riguarda il Messiah, si tratta di una consuetudine che si perde nel tempo: è difficile stabilire quando ebbe inizio ‑ come già scrisse David Vickers ‑ tanto più alla luce di una tradizione esecutiva consolidata, pressoché ininterrotta in Inghilterra sin dal 1743. È certo che, finché visse il compositore, il Messiah non fu mai eseguito per le festività natalizie. Forse la mancanza di oratorii händeliani legati al Natale portò all’esecuzione del Messiah anche al di fuori del suo contesto originario? Per certo il testo approntato da Jennens non è vincolato ai soli avvenimenti pasquali. Il Messiah raccoglie stralci di episodi vetero e neotestamentari tra i più disparati, dalle prime profezie messianiche fino al Giudizio universale (senza trascurare altri avvenimenti legati all’escatologia cristiana): una sorta di narrazione macroscopica della cristianità, racchiusa nelle forme convenzionali dell’aria, del coro e del recitativo alla stregua dei coevi drammi per musica.

La presente esecuzione si avvale di maestranze di sicura esperienza in ambito händeliano: fondata nel 1973 da Christopher Hogwood, l’Academy of Ancient Music è trai pionieri nella riscoperta del repertorio del Sei-Settecento su strumenti originali, e ancora oggi è trai protagonisti di quest’ambito (l’ensemble è dal 2012 una delle orchestre associate al Barbican Centre). Anche in questa occasione, il loro Messiah è un campione di buon gusto in termini di scelte esecutive, con la chiara volontà di andar controtendenza rispetto alle mode delle più recenti orchestre su strumenti d’epoca. L’Academy of Ancient Music si distingue per la compattezza del suono, per l’esecuzione aggraziata e stilizzata, per il fraseggio curato e sempre morbido; si scorge un certo afflato mediterraneo nei momenti più cantabili.

Forze strumentali tanto floride trovano una guida ideale in Richard Egarr, direttore principale dell’ensemble dal 2006. La sua lettura si mostra pienamente all’altezza di quella dei suoi illustri predecessori (si vedano le incisioni discografiche dell’ensemble effettuate nel 1982, 2006 e nel 2009 dello stesso titolo): pur seguendo in gran parte dal clavicembalo, Egarr ha gesto preciso e sensibilità del fine concertatore, nonché piena sintonia con le esigenze del canto solistico e corale. Della sua lettura si ammira il piglio energico nei momenti più gioiosi, sempre accompagnato però da una certa compostezza, anche momenti più densi nella concertazione; forse un’eccessiva cautela è usata in momenti in cui ci si aspetterebbe un suono più robusto ad accompagnare il canto.

Discreta è la prova dei solisti vocali, dei quali si apprezza la sobrietà della resa vocale: più appassionata e materna quella di Ailish Tynan (soprano), generica e poco caratterizzata quella di Robert Murray (tenore), un po’ offuscata ma verace quella di Stephan Loges (baritono). Pur difettando delle profondità contraltili stupisce Tim Mead (controtenore), che attrae per la nobiltà del porgere, il fraseggio cesellato, l’eleganza nell’abbellire. La palma della serata spetta però al vero protagonista dell’oratorio. Il coro dell’Academy of Ancient Music è impeccabile: la loro prova è esemplare e al di sopra di ogni aspettativa. Una pietra di paragone in termini di nitidezza della dizione, ricchezza di colori, precisione dell’articolazione nel contrappunto. Il pubblico del Barbican non è particolarmente timido nel dimostrare il proprio assenso: per il coro «Hallelujah» il pubblico scatta in piedi, cogliendo impreparati gli spettatori stranieri in sala.