Le nebbie di Lammermoor

 di Andrea R. G. Pedrotti

 

Compagnia alternativa per la Lucia di Lammermoor che ha inaugurato la stagione del Filarmonico: se Maria Grazia Schiavo si conferma raffinata musicista anche al di fuori del suo repertorio d'elezione, Alessandro Scotto Di Luzio trova in Edgardo uno scoglio difficile da affrontare. Continua a convincere la concertazione di Carminati, mentre crescono le perplessità sulla messa in scena.

leggi anche la recensione della prima del 13/12/2014

VERONA, 16 dicembre 2014 - Martedì sedici dicembre è andata in scena la seconda rappresentazione di Lucia di Lammermoor al teatro Filarmonico di Verona. La santa che solamente tre giorni prima aveva vegliato sulla recita, s'è presa il meritato riposo. Tutte le pecche riscontrate nella regia rimangono ugali a loro stesse se non, a tratti, accentuate dal fatto che la compagnia di canto non ha certamente brillato, come sabato sera, nei ruoli dei due sventurati protagonisti, Edgardo e Lucia.
Con occhio attento e meno piacevolmente distratto dall'abilità vocale e scenica di Irina Lungu e Piero Pretti, il primo tratto notevole è sicuramente l'incongruenza storica dei costumi di Françoise Raybaud. Tutti gli elementi maschili del cast, ad eccezione di Raimondo, indossano un abito identico, fine Settecento, forse più adatto a un Werther che non al capolavoro donizettiano. Di contro il costume di Lucia ha un aspetto prettamente ottocentesco, così come quello di Alisa. Normanno e lo sposino (interpretati entrambi da Francesco Pittari) sono quasi indistinguibili, con un semplice cambio nella capigliatura quando Pittari veste i panni di Arturo. Così il sopraggiungere di Normanno, durante la scena della pazzia, potrebbe far strabuzzare gli occhi a uno spettatore poco attento o che abbia poca dimestichezza con la trama dell'opera, tanto da far sospettare una resurrezione dello sposino, ponendo un gran punto di domanda sull'appartenenza del sangue che macchia copiosamente, come da tradizione, le vesti di Lucia. Le luci di Buno Ciulli permangono mestamente nell'anonimato, così come la regia di Guglielmo Ferro. È del tutto probabile che l'intenzione fosse quella di mettere in scena una Lucia di Lammermoor che fosse il più tradizionale possibile, ma l'intento è stato vano, poiché vi sono certamente richiami all'uggioso clima scozzese, ma l'epoca è confusa, certamente lontana dal XVII secolo che volle Walter Schott.
Marco di Felice offre una prova di miglior qualità, rispetto a sabato, aquisendo una maggior sicurezza, fraseggio e morbidezza d'emissione. Il suo è un Enrico efficace e all'altezza del ruolo, con  la miglior resa nel duetto della torre, confemando, in questo, quanto sentito all'inaugurazione.
Sir Edgardo di Ravenswood è una parte sicuramente al di sopra delle possibilità di Alessandro Scotto di Luzio; si impegna scenicamente e dopo un pessimo avvio nel duetto con Lucia palesa alcune buone intenzioni di fraseggio, ma manca di squillo, i suoni girano male e paiono, a più riprese, intubati e senza libero sfogo. L'acuto corre in maniera sufficiente soltanto quando il tenore abbia la possibilità di prepararlo, mentre, sulla frase, è sistematicamente ricacciato in gola. Insufficiente la sua esecuzione di “Tombe degli avi miei”, affrontata senza un minimo di trasporto romantico negli accenti e con moltissimi problemi nella gestione dei fiati.

Maria Grazia Schiavo è da anni una delle interpreti di riferimento per il repertorio barocco e di diversi titoli mozartiani, caratterizzandosi come una delle più grandi Pamine dei nostri tempi. La sua è una buona Lucia, ma manca il peso vocale e la tensione romanticamente drammatica della sventurata fanciulla di Lammermoor. Cantante estremamente raffinata, risolve con mestire le asprezze della partitura, ma è pesantemente penalizzata negli assieme, specie nel grande sestetto, che chiude il primo atto. La scena della pazzia è, probabilmente, il momento che le è più consono e dove riesce a giocare meglio le sue carte di artista: esegue correttamente la cadenza e chiude l'aria con maggior pathos e buona accentazione nel fraseggio, meritando copiosi applausi dal pubblico presente.

Raimondo era in quest'occasione il bravo Seung Pil Choi, efficace nell'espressione e di scenicamente disinvolto, per quanto la regia lo consentisse. Forse mancava di un po' di smalto in “Dalle stanze ove Lucia”, ma il basso coreano è ancora giovane e può sicuramente migliorare anche sotto questo aspetto.
Alisa era interpretata, ancora una volta, da Elisa Balbo.

Al solito impeccabile la prova del coro della Fondazione Lirica Arena di Verona (guidato dal maestro Salvo Sgrò) che, come sempre, si conferma uno degi organici migliori del nostro Paese, toccando punte di eccellenza per colore e amalgama.
Ottima la bacchetta di Fabrizio Maria Carminati, attento a gestire nel migliore dei modi l'equilibrio fra palco e buca, segue i cantanti con precisione, senza rinunciare a una scelta di dinamiche ampiamente condivisibili. La chiave drammaturgica della concertazione è quella che più si adatta alle atmosfere di Lucia di Lammermmor, conferendo a tutta la serata un corretto colore cupo e introducendo lo spettatore in una clima quasi gotico, che si sposa magnificamente con la musica di Donizetti, come con il romanzo di Walter Schott.

Prima e ultima recita con questa compagnia di canto al teatro Filarmonico, che tornerà in terra  di Scozia giovedì con il cast dell'inaugurazione (unica differenza l'inversione dei due bassi) e domenica, con Maria Grazia Schiavo, nel ruolo eponimo, in luogo di Irina Lungu.