La soavità del vizio

 di Andrea R. G. Pedrotti

 

J. Strauss jr

Die Fledermaus

Popp, Gruberova, Fassbaender, Weikl, Berry

 

direttore Theodor Guschlbauer

regista, Otto Schenk

Wiener Staatsoper, 1980

 

DVD Arthaus, 107 153

 

Così come gustare una pietanza con ingredienti freschi prodotti a chilometro zero, o sorseggiare un buon vino nei pressi dei vigneti, ove il prelibato nettare di Bacco ebbe sua genesi, così godere della vista e dell'ascolto di un Die Fledermaus direttamente dalla Wiener Staatsoper ha un sapore del tutto particolare. Il delitto del piacere, consumato sullo stesso luogo del crimine. In questo contesto la regia non poteva essere affidata ad altri che non fosse il viennese Otto Schenk, forza motrice e genius loci. Tutta l'autentica soavità del vizio viene a galla nell'edizione del 1980, eternata in DVD dalla Arthaus Musik: quella dolcezza eterea della perversione, autentico ossimoro semantico fra musica e parole, capace di rendere unica e irresistibile l'operetta viennese. Bisogna aver ben chiaro che un'opera lirica è un'esaltazione del sentimento, che entra in noi e può essere tradotto in varie forme e varie epoche, al contrario l'operetta che ebbe vita nella Vienna Felix, rappresenta un periodo circoscritto e irripetibile, nato nell'impero retto dall'illuminata guida di Elisabeth von Wittelsbach, e non può essere trasposta. Un contesto storico-antropologico estremamente fertile per far sì che l'operetta avesse maggior splendore e importanza che non altrove, ma, tuttavia, un mondo basato su equilibri sottili, palesati divertimenti, effettivi tormenti e sul gusto del bene voluttuario; conscio e inconscio che non sarebbe potuto durare in eterno, come ci avrebbe raccontato Josef Roth molti anni più tardi. Un mondo che, nel 1974, usciva da una grave crisi, ma si stava risollevando e, nonostante, la congiuntura internazionale, vede nel denaro, come nel vizio, un semplice mezzo per giungere al piacere spensierato. Non c'è in Die Fledermaus il tratto melanconico di una società al tramonto che cerca disperatamente di ottenere i beni di una ricca ereditiera come in Die Lustige Witwe. Dei sette vizi capitali l'operetta di Johann Strauss Sohn tralascia solo acidia e avarizia, aggiungendo la menzogna e l'inganno, ma non una frode condita d'odio, bensì quella di bambini nel corpo di adulti che, viziati, scherzano e giocano fra loro. Cattivi, è vero, col gusto di mettere in imbarazzo, quasi di umiliare, l'amico, ma con la gioia di chiudere le vicende con risa e abbracci. Bambini, sicuramente, ma con le debolezze dell'età adulta e il vizio giocoso vira verso eros e alcol; il tutto portato a un turbinio di eccessi che scatenano l'entusiasmo del pubblico. Il pubblico di allora vedeva se stesso rappresentato su quel palco, vi si riconosceva e rideva di sé, colmo di autoironia, il pubblico di oggi si entusiasma sognando quella fiaba di gioie effimere. Quel mondo che non volle accettare la fine imminente, distrutto dagli orrori di due guerre mondiali, e che, con grande efficacia, Josef Roth avrebbe saputo raccontarci negli anni successivi.

Otto Schenk, com'è suo costume, non si allontana dalle indicazioni del libretto, rispettando la contemporaneità della vicenda, ambientata alla metà degli anni settanta del XIX secolo. In una Wiener Staatsoper gremita all'inverosimile, si susseguono le vicende della famiglia di Gabriel von Eisestein e di chi gli vive attorno. Il libretto è rivisitato dallo stesso Otto Schenk e Peter Weiser, anche se poco ci si discosta dall'idea originale di Carl Haffner e Richard Genée. Lo spettacolo comincia già durante la celeberrima ouverture (ultima musica diretta sul podio da Johann Strauss Sohn), quando tutti i protagonisti, regista e direttore compreso, vengono presentati al pubblico con le tradizionali marionette viennesi; una serie di simpatici Puppen, che già introducono al clima giocoso della serata. La scenografia, nel primo atto, presenta la consueta scala laterale, la quale porta agli eleganti appartamenti. La casa è governata, con non troppa perizia, da Adele, qui interpretata da una scoppiettante ed esuberante Edita Gruberova, desiderosa di recarsi alle danze del principe Orlofsky, assieme alla sorella Ida. Efficacemente caricaturale nel pregare la padrona di lasciarle la serata libera, per assistere seine arme Tante, che, malata, stava esalando l'ultimo respiro. Ovviamente tutti nella dimora hanno incontrato la povera zia -trovandola in ottima forma-, tuttavia Edita Gruberova segue imperterrita nel suo “bambureggiare” (termone coniato da Oscar Wilde nella sua Importanza di chiamarsi Ernesto), usando i presunto male della congiunta per allontanarsi senza macchia dal posto di lavoro. Di gran levatura attoriale anche la Rosalinde della scomparsa Lucia Popp: sposa devota ai doveri del matrimonio, ma che nulla può di fronte all'attrazione che provoca in lei la voce del vivace Alfred di Josef Hopferwieser. Il Doctor Bild (Anton Wendler) ha il solo compito drammaturgico di essere avvocato incapace e disonesto, perfetto a garantire una condanna eccessiva per Gabriel von Eisestein: otto giorni di carcere in appello per oltraggio a pubblico ufficiale. Come al solito crudele deus ex machina di ogni Die Fledermaus che si rispetti è il il Doctor Falke, pronto a canzonare, prima, l'amico per la condanna subita, poi a tessere le trame per vendicare al meglio una burla che aveva subito in gioventù, quando venne abbandonato solo e senza danaro nelle strade di Vienna, indossando il ridicolo costume di un pipistrello, che gli era occorso per presenziare a un ballo in maschera cittadino. Assieme al Gabriel von Eisenstein di Bernd Weikl, sono coppia irresistibile nel duetto che ha in sé la scaltra pianificazione dell'allegro tradimento. Non solo Eisenstein è fedifrago, ma anche Rosalinde, una volta rimasta sola, e dopo aver salutato, nello struggente terzetto con Adele, il marito destinato alle patrie galere (che Strauss conosceva molto bene, per esserne stato ospite in più d'una occasione). Qui torna l'ossimoro semantico di allegri passi di danza, accompagnati da un ritmo frenetico, intervallato e caratterizzato da attimi che rimandano alla commozione del momento. Alla partenza di Eisenstein, Alfred torna all'assalto, indossandone le vesti e proponendo un autentico “gioco di ruolo” a Rosalinde, fingendosi il marito e ripromettendosi di sostituirlo per non lasciarla sola in casa, frattanto che lo sposo è in balia dei Ratten, anche se non quelli della prigione, ma, bensì, le così soprannominate ballerine dell'opera cittadina. Accompagnato dalle note di Strauss, Josef Hopferwieser è impertinente e giocherellone, celiando con il potere che sa esercitare su Rosalinde. Potere di cui vuole servirsi ancora una volta per fare in modo che la donna possa essere nuovamente sua. Gioco pericoloso il suo, poiché, giocando al marito, subisce l'arresto da parte del personaggio più divertente di tutta l'operetta: l'apparentemente irreprensibile direttore delle carceri, il Frank di Erich Kunz, che non ha fretta di compiere il suo dovere (nonostante il cantante tenda a conferirgli autorevolezza), ma gettarsi anche lui nei vortici della voluttà della festa del principe Orlofsky e lasciando nella più completa confusione Rosalinde (la quale teme di essere completamente compromessa), tanto da consumare ripetuti bicchieri d'acqua e tutte le pastiglie calmanti che riesca a trovare per casa.

Il secondo atto è il culmine della soave viziosità di Die Fledermaus: ambientato negli opulenti appartamenti del principe Orlofsky. Viziato e ricchissimo nobile russo, trova in Brigitte Fassbaender interprete che poco insiste sull'ambiguità del personaggio en travesti e preferisce sottolineare quanto il suo ruolo sia quello del padrone di casa che poco si interessa delle vicende di chi lo circonda, concentrandosi sul suo divertimento e piacere personale, a danni ora dell'uno, ora dell'altro. È in quest'atto che si susseguono alcuni fra i numeri più celebri e caratteristi dell'operetta di Strauss: Edita Gruberova è perfettamente a suo agio, nell'interpretare con grande ironia, proprietà interpretativa e precisione tecnica l'aria “Mein Herr Marquis”, apparendo sguaiata e inserita casualmente nell'alta società con la giusta misura, facendo intravedere, a tratti, l'estrazione sociale meno altolocata di Adele. Divertentissimo l'incontro fra Frank e Gabriel von Eisenstein, che prendono gusto, incalzati da Falke, a conversare in francese, senza comprenderne nemmeno una parola, ma in ossequio alla falsa identità assunta per potersi recare da Orlofsky. Tutti travestiti, tranne Ida, Falke e Orlofsky; anche Rosalinde giunge sulla scena mascherata da dama ungherese e diviene protagonista. Seduce il marito sino a sottrargli l'orologio, prova dei suoi tradimenti, e interpreta la grande romanza ungherese “Klänge der Heimat” con perfetto brio, grazie anche alla classe e abilità teatrale di una splendida Lucia Popp.

Il divertimento orgiastico ha il suo crescendo irresistibile nel finale da “Im Feuerstrom der Reben”, passando dal malizioso concertato successivo fino al culmine nella grande polka Unter Donner und Blitz e nel grande waltzer cantato successivo. Qui Eisenstein balla sempre con la moglie Rosalinde (in incognito), non tanto per inconscio sentimento, quanto per un desiderio di controllo della sposa sulle esuberanze amorose del marito.

Nel corso del terzo atto tutti gli intrighi vengono risolti, ma lasciano il tempo di farci apprezzare, dopo l'applauditissimo monologo di Frosch (Helmut Loher), ancora una volta, Edita Gruberova in “Spiel ich die Unschuld vom Lande” e lo splendido terzetto (con l'ennesimo travestimento di Eisenstein) “Ich stehe voll Zagen”. Lo scioglimento conclusivo ci permette di apprezzare anche i begli accenti di Bernd Weikl, nel parlato, quando chiede perdono a Rosalinde, quando, all'improvviso, lei gli rifila un sonoro ceffone, prima che tutti i personaggi omaggino ancora una volta il “re dei beveraggi”, Eisenstein venga arrestato, sorseggiando alcol con Frosch, e Alfred si appresti a consolare l'inconsolabile Rosalinde.

Efficace la bacchetta di Theodor Guschlbauer, se non fosse per qualche dinamica poco incisiva e alcune battute inutilmente tagliate, come nel coro d'apertura del secondo atto “Ein Souper heut uns winkt” (manca proprio il caratteristico cambio di ritmo) e della danza russa.

Ida era la brava Karin Göttling.

I complessi, sempre di alta qualità, erano quelli della Wiener Staatsoper, il maestro del coro Norbert Balatsch, le eleganti scene di Günther Schneider Siemssen, i bellissimi costumi di Milena Canonero e la frenetica coreografia di Gerlinde Dill. Otto schenk ha curato, oltre a quella teatrale, anche la regia televisiva, nella quale sarebbe stato più appropriato l'utilizzo d'una campo più largo, specialmente nelle danze e nelle scene di assieme. Interessanti le note al DVD di Gottfried Kraus.