È già Borgia?

di Francesco Bertini

Lucrezia Borgia sbarca a Padova, e per gli appassionati è un evento che suscita attesa spasmodica. Alla scommessa dell'allestimento di un titolo così complesso e affascinante in un contesto relativamente decentrati è corrisposta la scommessa di un cast giovane per la prima volta alle prese con quest'opera. Artisti già affermati, in ascesa o debuttanti pressoché assoluti, tutti hanno messo in luce qualità interessanti, anche se il confronto con le difficoltà del capolavoro donizettiano si è rivelato per qualcuno un po' prematuro, soprattutto per quanto riguarda la protagonista. Qualche acerbità lascia comunque intuire, con studio e scelte oculate di repertorio, ottime potenzialità.

PADOVA, 22 settembre 2013 - È già diventata una tradizione a Padova l'opera all'aperto in periodo estivo. Quest'anno è toccato all'Elisir d'amore che ha inaugurato la stagione lirica della città del Santo. L'equinozio d'autunno oltre a chiudere l'estate ha siglato l'inaugurazione vera e propria, nel Teatro Verdi, della stagione lirica che quest'anno è stata anticipata a settembre. L'attesa si è fatta spasmodica, particolarmente tra gli appassionati, poiché il titolo scelto è stato Lucrezia Borgia, una vera rarità nei teatri più piccoli e decentrati. Il pubblico ha invece reagito con minore solerzia alla proposta, pur giungendo numeroso nella recita pomeridiana del 22 settembre.

Parlare dell'opera donizettiana significa affrontare le novità che essa ha introdotto nel melodramma dell'epoca, senza tacere della rottura delle convenzioni fino ad allora in voga. Felice Romani lavorò sulla celebre tragedia omonima di Victor Hugo inscenata, come Maria de Rudenz di cui si è recentemente trattato, nel Théâtre de la Porte Saint-Martin di Parigi il 2 febbraio 1833. L'intenzione di rappresentare il reale, tralasciando i concetti prediletti del bello e del verosimile, rappresenta uno dei motivi principali di distacco dal teatro classico. Donizetti, fortemente interessato alle vicende fosche dalla drammaturgia d'impatto, si avvicinò con trasporto al soggetto, caldeggiando il progetto con il librettista che fin da subito stimò difficoltoso il successivo rapporto con la censura. Romani temeva inoltre il tema trattato dal dramma incentrato sulla figlia di una papa che giunge ad avvelenare il proprio figlio. Troppo romantica la vicenda, troppo violente le passioni, troppo impegnativo il confronto con Hugo. Dopo aver risolto le opposizioni poste dalla censura e aver appianato i dissapori della primadonna Henriette Méric-Lalande, promotrice peraltro del soggetto, Donizetti poté far rappresentare l'opera, il 26 dicembre del 1833, per l'apertura della stagione di Carnevale del Teatro alla Scala di Milano. Da notare la velocità con la quale il progetto venne portato a termine nello stesso anno del debutto della pièce teatrale che raggiunse le scene italiane prima nella veste lirica. Come a Bergamo per Maria de Rudenz, anche a Padova lo spettacolo viene montato nel solo Teatro Verdi, senza repliche previste altrove. E come per il titolo estivo, presentato nel cortile del Castello Carrarese, pure per questa produzione la regia è affidata a Giulio Ciabatti. Visto il suo lavoro in rapporto a Don Pasquale lo scorso anno e L'elisir d'amore quest'anno, pare che Ciabatti abbia maggiore confidenza con il repertorio comico. La sua Borgia scarseggia di spunti, fatica a valorizzare la drammaticità del soggetto e non tiene desta l'attenzione nello spettatore. Pur circondandosi del valido contributo di Lorena Marin per i costumi, curati e d'ottima foggia, e delle idee scenografiche di Roberta Volpe, che immagina il palcoscenico come una grande aula delimitata da colonne grigie e rosse, Ciabatti preferisce il colpo d'occhio oleografico all'approfondimento del dramma e delle tensioni romantiche.

Mentre il Coro Città di Padova offre una prova discutibile, con disomogeneità evidenti e intonazione vacillante, l'orchestra di Padova e del Veneto, solitamente poco avvezza al repertorio lirico, in quest'occasione si dimostra versatile e capace di trovare unità. Tiziano Severini, sul podio, conduce la recita con discontinuità. Ai passaggi lirici resi con espressività, delicatezza e sinuosità, si affiancano le dinamiche tendenti al forte dei finali d'atto e l'agogica dilatata di alcuni passaggi. Si apprezza la conoscenza, che il direttore dimostra, della partitura donizettiana e l'attenzione per gli artisti sul palco. La protagonista, il soprano trevigiano Francesca Dotto, ha voce di ottima qualità che si trova impiegata in un ruolo attualmente inadatto alle sue possibilità. La Dotto manca di enfasi per affrontare la parte della madre ferita e della donna supplice ma forte: la linea di canto è pulita e omogenea, capace di affrontare con credibilità le agilità, tuttavia difettano gli accenti necessari a rendere efficace il personaggio. La giovane artista ha bisogno di maturare, soprattutto come interprete, scegliendo con accuratezza il repertorio per giungere ad affrontare certi personaggi con maggiore consapevolezza scenica e vocale. Il figlio della duchessa di Ferrara, Gennaro, si avvale dell'ottima figura di Paolo Fanale, debuttante nel ruolo come la collega. Il tenore italiano ha bella presenza scenica, non altrettanto buona efficacia attoriale, e doti vocali interessanti. Anche nel suo caso però il personaggio valica i limiti delle sue potenzialità: l'emissione tersa e luminosa ha poco afflato drammatico e pecca, a tratti, nel registro acuto denotando qualche cedimento con il procedere della recita. Mirco Palazzi, Alfonso I d'Este, ha confidenza con il repertorio donizettiano, frequentato da diverso tempo, ma l'efficacia nel tratteggiare il duca, sottilmente malefico e furente, è alterna. Le sfumature del suo strumento, capace di affrontare agilmente la scrittura del compositore bergamasco, fanno apprezzare una voce dal colore suadente e dal timbro malioso. Pure debuttante Teresa Iervolino alle prese con Maffio Orsini. L'intricato ruolo en travesti è uno dei legami più evidenti con l'opera di fattura rossiniana. La giovane cantante denota alcune disomogeneità vocali ma è brillante in scena ed è dotata di materiale assai valido. La sua prestazione, al pari di quella della collega Dotto, fa presagire un futuro interessante con vari debutti possibili, sempre rigorosamente scelti e preparati. Tra gli altri, numerosi, ruoli si segnala la prova positiva di Massimiliano Catellani, Astolfo. Completano il cast Vittorio Zambon, Jeppo Liverotto, William Corrò, Don Apostolo Gazella, Gabriele Nani, Ascanio Petrucci, Orfeo Zanetti, Oloferno Vitellozzo, Andrea Zaupa, Gubetta, e Matteo Mezzaro, Rustighello.

Il pubblico non ha lesinato consensi, al termine della serata, dimostrando di apprezzare la prova della protagonista.