Brundibàr, la forza della dignità e della memoria

di Valentina Anzani

Molti i bambini, anche piccolissimi, nel pubblico per Brundibàr, allestito in collaborazione dal Comunale di Bologna e dal Conservatorio G. B. Martini alla vigilia del Giorno della Memoria. Uno spettacolo intenso, che ha visto la rappresentazione dell'opera di Hans Kràsa affiancata alla proiezione di un documentario e alla performance di alcuni attori. Bravissimi tutti gli interpreti, attori, musicisti, coro e solisti delle voci bianche del Comunale (e con loro, nel ruolo del titolo, il basso Nicolò Donini, ex membro dello stesso ensemble infantile), toccante la messa in scena "a più mani" (comprese quelle di Romeo Castellucci) in "affettuosa collaborazione".

Bologna, 26 gennaio 2013 – Un palcoscenico nero, una cascata di scarpe in un angolo e pochi fasci di luce sono bastati alla messa in scena di Brundibàr, opera per l’infanzia in due atti presentata al Teatro Comunale di Bologna domenica 26 gennaio. I piccolissimi portati in sala fremevano sulle poltrone: era un brulicare eccitato, un’attesa impaziente per l’inizio dello spettacolo.

Il motore dell’azione era la malattia di una madre: i suoi due figli, per tentare di racimolare i pochi soldi necessari a comprarle del latte, decidono di elemosinarli in piazza in cambio di canzoncine festose. Non riescono a cantarne più d’una che vengono però scacciati dal tirannico Brundibàr: egli vuole tutta la piazza per sè e impedisce a chiunque altro di esibirsi. I bambini, senza perdersi d’animo, decidono di unirsi ad altri, come loro spaventati, ma fiduciosi nella possibilità di riscatto. Alla fine con il cantare comune vincono la prepotenza di Brundibàr.

La forza della metafora insita nella trama appare ancora più evidente se pensiamo al contesto in cui nacque l’opera: negli anni della seconda guerra mondiale, il compositore ceco di origini ebraiche Hans Kràsa compose, su libretto di Adolf Hoffmeister, l’opera in due atti Brundibàr, perché fosse eseguita dai bambini dell’orfanotrofio di Praga. La prima dell’opera si ebbe nel 1942, ma il compositore non riuscì ad assitervi: era stato deportato nel campo di concentramento di Terezìn. Una volta internato Hans Kràsa riuscì però ad avere il permesso di allestire di nuovo la sua opera: riscrisse la partitura a memoria per l’organico ridotto che aveva a disposizione, altri prigionieri costruirono la scenografia e i bambini cantori sconfissero il terribile tiranno della piazza per ben 55 repliche entro le mura del campo, sotto gli occhi e le orecchie delle SS che non si resero conto di quale messaggio di resistenza fosse contenuto nell’opera.

Il pomeriggio di domenica 26 gennaio, vigilia della Giornata della Memoria in ricordo degli orrori dell’Olocausto, hanno partecipato alla rappresentazione l’ensemble strumentale del Conservatorio “G.B. Martini” di Bologna e i bambini del Coro di voci bianche del Teatro Comunale di Bologna, guidati dal maestro Alhambra Superchi. Dieci di loro erano solisti, gli altri nelle file del coro, evidentementente al debutto sul palcoscenico, ma fanno ben sperare in un futuro per il quale l’impegno non potrà che premiarli. Un’ottima impressione ha fatto Diego Bolognesi, interprete di Pepiček: cantando con semplicità non ha permesso che si perdesse una sola delle parole pronunciate. Brundibàr era Niccolò Donini, giovane basso agli esordi della carriera, dal carisma in evoluzione e dalla voce promettente. Stefano Chiarotti ha diretto la rappresentazione dal podio, in frac nonostante l’occasione pomeridiana, per la gioia di tutti i piccoli tra il pubblico, che al momento degli applausi erano in visibilio alla vista di un “vero” direttore d’orchestra.

Dopo gli applausi cala un sipario bianco, tela di proiezione di un documentario sul campo di Terezìn girato nel 1964. Se i bimbi a questo punto non hanno potuto continuare a prestare attenzione, sono stati i grandi a essere colpiti dall’inumanità perversa delle azioni naziste. Il documentario, costruito su una serie di interviste ai sopravvissuti, raccontava di come quel campo fosse una facciata costruita ad hoc per essere esibita alle delegazioni della Croce Rossa come modello di città “regalata” dai nazisti agli ebrei.

A fine proiezione, una terza suggestione per riflettere: le voci dei sopravvissuti sono state nel corpo di sei attori, illuminati da fasci di luce bianca sul palco nero. I brani recitati erano tratti da Primo Levi e altri che poterono lasciare righe e testimonianze dai campo delle stragi naziste. Quello che è rimasto nell’aria erano immagini e descrizioni di atrocità e ingiustizie, ma anche esempi della forza con cui tutte le vittime le hanno affrontate.