L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Alidoro in cabina di regia

di Francesco Bertini

Dopo aver vestito tante volte i panni del filosofo deus ex machina della fiaba rossiniana, Lorenzo Regazzo cura la sua prima regia lirica proprio con La cenerentola in scena al teatro Comunale Mario del Monaco di Treviso e in coproduzione con il Comunale di Ferrara. Un esordio assai riuscito il suo, per uno spettacolo che musicalmente ha potuto contare soprattutto sull'Angelina della giovane Chiara Amarù, di pura classe rossiniana.

TREVISO 31 gennaio 2014 - Sta diventando sempre più consueto trovare nei cartelloni dei teatri di tradizione alcuni titoli lirici che altrove tendono a essere raramente rappresentati. Il comunale di Treviso, da qualche anno dedicato a Mario Del Monaco, è ricco di iniziative interessanti e animato da una stagione, musicale e teatrale, di prim’ordine. Tra gli eventi di maggior rilievo spicca la produzione di La Cenerentola che nasce nella città veneta per poi raggiungere, con il sistema delle coproduzioni, il Teatro comunale di Ferrara. Motivo ulteriore d’interesse dello spettacolo trevigiano è il debutto registico di un fuoriclasse come Lorenzo Regazzo che si cimenta in questa prova facendo tesoro degli insegnamenti derivanti dall’intensa attività canora.

La sua lettura della celebre fiaba di Charles Perrault non tralascia gli spunti offerti dallo scrittore francese ed al contempo strizza l’occhio alle innumerevoli interpretazioni, specie quelle cinematografiche tanto influenti sul grande pubblico. Regazzo stesso si ritaglia la parte di un maggiordomo, praticamente muto salvo pochissime battute, per presentare agli spettatori, attraversando silenziosamente, ma con grande efficacia attoriale, il palcoscenico, gli oggetti legati alla fiaba: dalla scarpetta, alla zucca.

L’efficace idea registica sposta la vicenda negli ultimi decenni del secolo scorso. Le sorellastre sono due giovinastre, belle robuste, che ascoltano musica in cuffia, guadano riviste stile playgirl, amano mangiare (biscotti, tavolette di cioccolato, ecc.) e maltrattare perfidamente la sorellastra; Don Ramiro, prima di tornare a vestire i panni principeschi, è una guardia del corpo con tanto di auricolari per gestire la sicurezza del finto padrone, mentre Dandini è un nobile pomposamente nonché ridicolmente vestito; Don Magnifico rappresenta il trionfo della macchietta: non ha alcun tratto di compostezza paterna, anzi potrebbe rassomigliare ad un teenager tanto è influenzato, durante l’intera opera, dal suo mito, Elvis Presley, che si ripercuote sul modo di vestire, di portare i capelli, di atteggiarsi. Cenerentola, solitamente dimessa, è in questa produzione leggermente più volitiva e non lesina, in seguito alle angherie subite, alcune occhiatacce nei confronti delle sorellastre. Deus ex machina dell’intera vicenda è Alidoro il quale assume il compito di regista sovrintendendo all’intera vicenda.

Tutte le feconde idee di Regazzo hanno come degna interlocutrice Gaia Buzzi che, oltre ai riusciti costumi, si occupa delle coloratissime scene. Lo spazio del palco trevigiano è incorniciato dal sipario, che diviene elemento scenico, e si divide in due parti: da un lato la camera da letto di Clorinda e Tisbe, poi trasformata nella sala del principe, dall’altro prima il luogo di lavoro per Cenerentola (intenta alle faccende domestiche), quindi una sorta di ingresso alla dimora di Don Ramiro. La Buzzi coglie le intenzioni del regista accostando intelligentemente ingredienti fiabeschi a situazioni cinematografiche. Lodevole anche il lavoro di Roberto Gritti, light designer.

Il versante musicale si è rivelato un po’ claudicante. Su tutti si è distinta la protagonista Chiara Amarù la quale ha profondamente umanizzato la maltrattata Angelina. L’interpretazione del mezzosoprano palermitano si apprezza per la pastosità del timbro, il fraseggio curato e la capacità di affrontare con intelligenza gli abbellimenti della scrittura rossiniana. Molto persuasive e scenicamente encomiabili le due sorellastre: Caterina Di Tonno è una Clorinda assai disinvolta e Elisa Barbero una Tisbe divertentissima, in particolare per la perfetta simbiosi con il personaggio. Recentemente udito in Il furioso all’isola di San Domingo, il tenore cinese Lu Yuan, Don Ramiro, conferma le proprie carenze tecniche. La dizione è ostica, il fraseggio scarsamente approfondito, l’intonazione perfettibile e la presenza scenica poco credibile. L’emissione, compromessa da queste problematiche, sembra opaca anche nel registro acuto e sopracuto, punto forte nelle recite bergamasche. Clemente Daliotti, abbigliato a mo’ di stravagante star canora anni settanta, è un Dandini estroso che riesce simpatico e risolve con accortezza alcune difficoltà (emissione non sempre a fuoco). Il veterano Umberto Chiummo, Don Magnfico, sfodera il proprio talento attoriale per mascherare qualche disagio nel sillabato rossiniano. La sua prova è nondimeno efficace, soprattutto per la dimestichezza con il repertorio e la forte vis comica. Fabrizio Beggi, pure da poco ascoltato in occasione di Il matrimonio segreto, trova nella parte di Alidoro la possibilità di esibire la naturalezza scenica già ampiamente riscontrata. La parte tuttavia è ingrata per complessità (basti citare la scomoda aria “Là del ciel nell’arcano profondo”) e il giovane cantante la risolve come meglio può, appoggiandosi soprattutto al fraseggio accurato.

Purtroppo la prestazione dell’Orchestra Città di Ferrara non brilla per precisione, coesione e affinità col repertorio operistico. Problematiche queste poco lenite dalla direzione dello spagnolo Sergio Alapont. Il concertatore rende la partitura rossiniana con scostanti scelte agogiche e dinamiche che non paiono dettate da una visione personale, più o meno condivisibile, del lavoro. Alapont sembra piuttosto denotare una scarsa affinità con l’opera in generale, tanto più con la delicatissima scrittura del pesarese. Si perdono i raffinati ed estrosi ammiccamenti di Rossini, benché qualche punto venga recuperato nel secondo atto, ma, in particolare, si percepisce un certo disagio dei cantanti i quali si trovano spesso senza una guida precisa.

Il Coro Voxonus, preparato da Alessandro Toffolo, si disimpegna positivamente.

Durante la serata non sono mancate alcune udibili risate del pubblico che ha apprezzato l’allestimento tributando, al termine, un caldo successo a tutti gli esecutori.

 


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