Manon l'oscura

Luis G. Baietti

L'allestimento immerso nella penombra lascia perplessi (nonostante la cura della regia di Pier Francesco Maestrini) e non permette di godere appieno della prova d'attrice della protagonista, Maria Josè Siri, gloria lirica uruguayana chiamata a interpretare il primo successo pucciniano per il decennale dalla riapertura del teatro di Montevideo. Con lei avrebbe dovuto esserci il connazionale Carlos Ventre, costretto a rinunciare da un infortunio.

MONTEVIDEO, 17 agosto 2014 - Il Teatro Solís compie quest'anno il suo primo decennio dalla reinaugurazione dopo una prolungata chiusura e una ristrutturazione che lo ha quasi completamente rinnovato. Da quel momento si è sviluppata un'intensa e variegata programmazione che include non solo la consueta stagione della Comedia Nacional Uruguaya, che ha sempre avuto la sua sede principale nella sala, ma anche una serie di altri spettacoli, fra cui nuove produzioni autonome d'opera. Nello specifico, oggi, l'obbiettivo era festeggiare questo anniversario con un allestimento di alto livello che includesse nei ruoli principali due elementi di spicco del panorama lirico uruguayano che stanno facendo una importante carriera in Europa: Carlo Ventre e Maria José Siri. Il proposito è rimasto parzialmente deluso quando Ventre ha subito un incidente durante una recita che lo ha costretto a lasciare la scena in barella e a cancellare tutti gli impegni dei mesi seguenti per riprendersi. All'ultimo momento si è dovuto trovare un sostituto, il giovane tenore brasiliano Juremir Vieira, che si è esibito in diversi teatri d'Europa ed è stato membro stabile dell'Opera di St.Gallen dove ha cantato un ampio repertorio, compresi vari ruoli di lirico spinto. Manon Lescaut come è noto è stata il primo successo di Puccini, che con essa si aprì le porte della fama. Basata sulla medesima vicenda che ha ispirato la celebre Manon de Massenet, è stata però sviluppata selezionando episodi differenti del romanzo, fra i quali, in fondo, ne riconosciamo solo uno in comune: la scena iniziale nella locanda. I due momenti culminanti della partitura di Puccini sono invece inesistenti in Massenet: l'aria del tenore nel terzo atto ("No, pazzo son") e lo splendido finale nel deserto, la più bella e drammatica dell'opera, non hanno un parallelo francese, morendo la protagonista prima d'imbarcarsi per le Americhe.

Il Teatro Solís ha servito con gran qualità il testo di Puccini con una magnifica messa in scena di Pier Francesco Maestrini, rispettosa di argomento, epoca e personaggi, con la novità dell'inserimento fra gli atti di letture dal romanzo originale, che hanno contribuito (in particolare l'ultima) a render più chiara l'azione. Bellissime (ed economiche) le scenografie, basate principalmente su proiezioni, che hanno reso alla perfezione le atmosfere in cui si svolge l'azione. A voler essere pignoli si potrebbero criticare alcune soluzioni del terzo atto contrarie alla logica della scena. Ad esempio, Des Grieux circondato da guardie armate di pistole non avrebbe potuto mantenere il suo atteggiamento ribelle per nemmeno trenta secondi senza venir crivellato dai colpi. C'era, invece, un limite che va energicamente segnalato: le luci e la prevalenza di una penombra che ha reso a tratti impossibile distinguere i visi dei cantanti. Nello specifico, è una crudeltà scritturare un soprano che è anche una formidabile attrice drammatica e poi non permettere di vederla celando il suo viso in una tenebra totale. Musicalmente tutto si è svolto senza soprassalti, con una concertazione molto buona del maestro Martin Lebel, che forse dovrebbe moderare un poco le sonorità orchestrali, specie nel quarto atto, quando i cantanti non possono, per evidenti ragioni drammatiche, cantare a voce spiegata. Il teatro Solís e il Sodre soffrono del problema: non possiedono una vera buca dell'orchestra e questa è dunque acusticamente assai in evidenza.

Maria José Siri è in una fase splendente della sua carriera e il suolo, soprattutto nei primi tre atti, calza a pennello alla sua voce di soprano essenzialmente lirico con uno stupendo registro acuto e un grave più generoso del normale nella sua corda. È inoltre un'attrice consumata, dà veramente vita al suo personaggio in tutte le sue sfumature e metamorfosi. Ha cantato l'ultimo atto con gran forza espressiva e coinvolgimento emotivo, pur dovendo lottare con vari fattori avversi: l'orchestra troppo forte ha privato di efficacia le sue note gravi, la mancanza di autentica drammaticità nel suo partner, assai corretto ma non alla sua altezza, e la cattiva illuminazione che ha impedito di percepire l'espressione del suo volto. Juremir Vieira è il tenore che ogni dirigente di teatro lirico vorrebbe avere in compagnia stabile. Musicalmente sicuro, con buon fraseggio, accettabile recitazione, possiede acuti sicuri e gravi scarsi ma funzionali.  Con lui a disposizione non c'è pericolo che, in caso di sostituzioni dell'ultimo minuto, la recita non possa andare a buon fine. Non è esente da limiti: gli acuti sono metallici e non proprio carezzevoli, i gravi, come abbiamo detto, appena sufficienti, e le sue doti di attore corrette ma nulla di più. Proprio per questo la recita non si è infiammata a partire da "No, pazzo son" come ci si aspetterebbe e la scena finale non ha prodotto l'impatto dovuto. Federico Sanguinetti e Marcelo Otegui erano rispettivamente un Lescaut e un Geronte di lusso, con un'eccellente vocalità e un'ottima resa scenica, in particolare per come Otegui ha reso l'anzianità del personaggio che senza necessità qui tuttavia la regia esagerava rendendolo semi paralitico. È stato un piacere udire la bella voce tenorile di Andres Presno in un ruolo come Edmondo che gli permettesse di esibire il suo timbro naturale senza essere, come capita spesso, un caratterista. Ha destato parimenti una buona impressione come lampionaio un'altra bella voce di tenore, quella di Alfredo Belloni, pronto per ruoli di maggior rilievo. Alvaro Godiño è stato un importante sostegno con la sua sicuta interpretazione dell'Oste e del Sergente. Corretti gli altri comprimari, Julia Bregstein, Marcelo Sosa e Gonzalo Fletcher.

foto Pablo Bielli