Il mito e il lamento

di Roberta Pedrotti

Giuseppe Verdi: "Va', pensiero"
a cura di Alberto Mattioli
60 pagine
ISBN 978-88-11-81685-0
I piccoli grandi libri Garzanti, 2021

Librino lo definisce l’autore (anzi, secondo copertina, il curatore) e in questo caso le 57 (60 con le note) pagine non possono smentirlo, né lo fa la collana Garzanti “Piccoli grandi libri”. Alberto Mattioli racconta “Va’ pensiero”, forse il coro più famoso del mondo, e tanto basterebbe a parlare di volumetto divulgativo rivolto a un pubblico relativamente ampio che per qualche bizzarra stortura formativa può avere una buona cultura generale ma d’opera è pressoché digiuno: chissà perché, infatti, se ci si aspetta che chi esce dalle scuole superiori sappia chi siano Leopardi e Petrarca, Caravaggio e Picasso, non appena si parla di Verdi e Monteverdi, Felice Romani e Lorenzo Da Ponte tutto sprofonda in una densa nebbia. 

Però, sarebbe un peccato sottovalutare queste cinquantasette pagine divulgative, perché la divulgazione bisogna saperla fare e già Callimaco raccomandava di non valutare un libro dalla mole (anzi: «μέγα βιβλίον μέγα κακόν», megà biblìon, megà kakòn, grande libro, grande male). 

Qualche anno fa, in tempi in cui l’invio di files di grosse dimensioni era meno agevole di oggi, mi raccontarono di uno studente universitario che, dopo aver ascoltato “Va’ pensiero” all’inaugurazione dell’anno accademico, chiese a un collega esperto d’opera di mandargli un Nabucco via mail. “Non so se riesco, è un po’ pesante come allegato”, “Ma come? Non dura cinque o sei minuti?”, con conseguenti doverose spiegazioni. Ecco, forse c’è bisogno di raccontare cos’è Nabucco e cos’è “Va’ pensiero”, perché è così famoso e come è stato usato e interpretato (fra i testi collaterali non può mancare Alle fronde dei salici di Quasimodo, né il comune riferimento biblico). Val la pena per questi ragazzi curiosi ma del tutto digiuni del contesto, ovvio, ma magari anche per chi all’opera va da una vita affidandosi a tradizioni orali tramandate nei loggioni. Può sempre giovare una rinfrescata storica e un aggiornamento libero da luoghi comuni e aneddoti di dubbia attendibilità. Apparati leggendari che val la pena di conoscere per capire la storia e la fortuna di un brano, ma da prender con le pinze di fronte ai fatti accertati dagli studiosi. Dalla mitologia ottocentesca, dalla costruzione del personaggio di Verdi padre della patria (a cui Mattioli è devoto, ma non certo nel senso agiografico e rassicurante) il passo alla cronaca recente e attuale è breve, ora gustoso ora deprimente, fra retoriche mutiane e strumentalizzazioni politiche. O allegre rivisitazioni pop: storca il naso chi vuole, ma anche in questo si misura il mito e, in un certo senso, il genio di una pagina che travalica anche la sua stessa, perfetta collocazione drammaturgica. Tanto che, terminata la lettura, vien voglia di prendere un Nabucco registrato in studio, senza ovazioni e bis, ma con un bel “Chi piange? Di femmine imbelli chi solleva lamenti all’eterno” a incalzare subito dopo “ed infonda al patire virtù”.