Lo spettacolo nascosto

 di Roberta Pedrotti

 

Johnny Volpe

Animali da palcoscenico

pp. IV+180 - f.to cm. 15x21 - illustrato

Zecchini Editore, collana I Racconti della Musica 2015

ISBN 978-88-6540-141-5

Si abbassano le luci, si alza – quando c'è – il sipario. Comincia il concerto, o l'opera. Poi, si spera, applausi, giù il sipario, su le luci. E un mondo resta dietro le quinte, nelle giornate di prove, nelle operazioni di chiusura dopo la performance, in tutto quell'universo misterioso che rimane celato all'appassionato tranne per quelle scintille di gossip che, nel pubblico, qualcuno recisamente rifiuta, qualcun altro avidamente brama. Ma la vita vera del microcosmo musicale che sta dietro all'opera o al concerto è ignota ai più. Al massimo la si fa trapelare quando c'è bisogno di sensibilizzare le masse alla buona causa dei diritti dei lavoratori e dei fondi per la cultura, sacrosanta missione che mostra però sempre un'ottica parziale, e non necessariamente in maniera faziosa, ma perché – come è anche giusto che sia – ci sarà sempre l'ombra del sipario a nascondere qualcosa, nel bene o nel male, di spassoso o di malinconico, qualcosa che va toccato e vissuto, sentito da vicino.

Tanto è però ricca l'aneddotica, tanto è caratteristica la fauna che a vario titolo abita le istituzioni musicali, che l'apparizione di un volume dedicato a questo mondo visto dall'interno non solo non stupisce, ma sembra semplicemente inevitabile.

L'autore si fa chiamare Johnny Volpe e camuffa le sue esperienze, anche importanti, come archivista e amministrativo in diverse istituzioni mescolando un po' le acque, talora riferendo precisi (forse) dettagli autobiografici, talora accorpando le orchestre in una sola che raduni, come in un giardino zoologico, tutte le tipologie umane incontrare negli anni. Non fa nomi, ma ci si diverte a riconoscere questo o quell'artista citato dagli indizi disseminati fra un aneddoto e l'altro. Il gioco è anche divertente, e chi abbia qualche amico che lavori in teatri o istituzioni concertistiche non sarà difficile sentir echeggiare racconti pittoreschi inanellati magari davanti a una buona birra.

Certo, bisogna dire che la definizione di “romanzo” riportata anche in quarta di copertina sembra un po' forzata, ché una continuità narrativa, uno sviluppo, una conclusione, un qualcosa che possa dare a questo simpatico libricino il respiro tradizionalmente attribuito al genere è difficile da ravvisare. Ciò nondimeno, si scorre con complicità, ammiccando al pensiero di tutte quelle punte di iceberg che vediamo affiorare fra una quinta e un camerino. Quel che gli manca è, però, il salto di qualità del narratore che vada oltre la simpatia della chiacchiera con chi ne ha passate tante. Lo stile occhieggia – il soggetto si presta eccome! – atmosfere fantozziane, ma lo spirito resta colloquiale senza tenerti incollato alla pagina. Questo, per esempio, perché possono risultare pesanti e stucchevoli alla lettura le numerosissime virgolette sparse a piene mani anche dove non ve ne sarebbe ragione alcuna (“percussioni”, “piano prove” tornare “a mani vuote” e via di questo passo, fra locuzioni d'uso comune e termini che saranno anche di settore ma appartenenti al normale lessico italiano) o l'uso di gravare le citazioni fra paragrafi rientranti, virgolettati e corsivi (quella della ridondante abbinata di virgolette e corsivi è pratica aborrita ancora ai tempi non antidiluviani della mia laurea, ma oggi sempre più diffusa).

L'autore non è un ragazzino, è chiaro, e una certa cultura traspare dalla reiterata formula leopardiana dello “studio matto e disperatissimo”, per cui immaginiamo che quel raccapricciante “un'archivista” riferito a un collega maschio sia un malnato errore di trascrizione in assenza di un correttore di bozze attento (attendiamo ancora la santificazione laica del revisore Raimundo Silva creato da José Saramago nella Storia dell'assedio di Lisbona). Oppure, perché no, un lapsus inserito ad arte a suggerirci che il “buffo personaggio” fosse in realtà una Lei. Comunque sia, impossibile negare che per qualche pagina quell'apostrofo dispettoso abbia trasmesso un certo malumore. Poi ha la meglio il gioco dell'individuazione di figure e situazioni fra esperienze e conoscenze di prima o seconda mano. Perché, è vero che lo spettacolo ufficiale è quello sul palco, a luci spente e sipario alzato, ma tutto quello che avviene prima, dopo e fra le quinte è il vero “più grande spettacolo del mondo”.