La risata inafferrabile

 di Roberta Pedrotti

Francesco Scrofani Cancellieri

Musica Ridens

Espedienti umoristici in 500 anni di composizioni

pp. X+254 - f.to cm. 15x21 

collana I racconti della musica

Zecchini Editore, 2015

ISBN 978 88 6540 136 1

Ridere è una cosa serissima, trattare dell'umorismo e della comicità ancor di più, ché poche cose possono avere la profondità e la complessità dell'ironia, della leggerezza e del sarcasmo.

Non è facile, anche riconosciuta l'importanza dell'argomento, parlarne, questo va riconosciuto, sicché non stupisce troppo la curiosa lacuna denunciata in apertura dall'autore di questo volume di una bibliografia specifica in merito all'umorismo musicale. Le difficoltà, d'altra parte, vengono al pettine anche in questo caso, nonostante il nobile intento di organizzare il discorso con ordine, enumerando strumenti di imitazione, citazione, contrasti e incongruenze, i casi di relatività nella percezione del comico da parte del pubblico, le forme musicali direttamente connesse all'ironia, quelle legate a una rappresentazione e quelle “indipendenti”, effetti, ruolo dell'interprete e casi di umorismo involontario. A dire il vero la struttura logica della catalogazione fra capitoli e paragrafi non sempre risulta rigorosa e impeccabile, ma l'argomento si presta a eccezioni, divagazioni, ambiguità tali per cui non si può certo fare una colpa a Scrofani Cancellieri di essersi cimentato in un progetto affascinante quanto ambizioso, perché la volontà di abbracciare un sì vasto tema appare ponderata più che tracotante.

Il problema che rende alla fine la lettura un po' ripetitiva, enciclopedica, come se più di un saggio ci trovassimo di fronte un manuale di consultazione, è il fatto che lo schema elaborato dall'autore vien poi più che altro riempito di aneddoti ed esempi nei quali la descrizione divertita prevale sull'analisi più articolata, dalla quale si sarebbero potute auspicare più stimolanti riflessioni. Nulla di male, è ovvio: un catalogo ragionato e ben organizzato può avere dignità maggiore di un saggio ambizioso ma raffazzonato.

Per esempio, quando si tratta del Viaggio a Reims rossiniano risulta quantomeno discutibile che si ascriva a una forma di comicità la proposta degli inni inglese e tedesco con parole diverse (e, peraltro, assai solenni), quando, semmai, il sarcasmo è insito nella fatuità della vicenda (che pure doveva risultare ai contemporanei ben altrimenti significativa, per esempio nell'allegoria delle relazioni fra Russia e Polonia) in rapporto all'importanza dell'occasione. Si dimentica, poi, che l'inno conclusivo “Viva il diletto augusto regnator” è composto sull'effettivo inno borbonico della Francia monarchica “Vive Henri IV”, mentre l”immancabile accenno alla Marsigliese” a cui fa accenno Scrofano Cancellieri non fu assolutamente inserito da Rossini, trattandosi di un falso clamoroso congegnato da Claudio Abbado (quindi, sarebbe stato da inserire nel paragrafo sull'umorismo interpretativo), come ha raccontato Gianfranco Mariotti proprio all'Ape musicale: “Nessuno sa, ad esempio, quante decine di gag e scenette, non solo visive ma anche musicali, furono introdotte durante le prove del Viaggio e cambiate poi ad ogni recita – pur senza ledere la partitura – soprattutto ad opera di Enzo Dara e dello stesso Claudio. Una sola di queste non fu mai scoperta e rimase stabilmente al suo posto: quella della tromba che accenna le prime note della Marsigliesenel momento in cui Trombonok invita Folleville e Belfiore a intonare la loro “canzonetta francese”. Nessuno fra i paludati critici e musicologi presenti sospettò che la cosa non fosse farina del sacco di Rossini (figuriamoci: un giacobino fuori tempo annidato nell’orchestra come un giapponese nella foresta!) ma un innocente scherzo di Abbado. E c’è qualcuno che lo crede tuttora…” [leggi l'articolo completo]

Sempre in tema operistico lascia perplessi come a pagina 151 si faccia correttamente riferimento alla Serva padrona in quanto intermezzo concepito per Il prigionier superbo, sempre di Pergolesi, mentre poco prima, a pagina 141, nel distinguere recisamente la farsa dall'intermezzo, si affermi che “la farsa più celebre […] rimane La serva padrona di Giovanni Battista Pergolesi”. Si fa anche un po' di confusione storica e terminologica, ché le origini etimologiche della farsa (da farcire) rammentano effettivamente una primitiva destinazione simile a quella dell'intermezzo, ma nel teatro antico, non nel teatro musicale moderno, nel quale ha una fisionomia propria e ben definita. Scrofano Cancellieri scrive che “A differenza dell'intermezzo, nelle strutture e nelle trame delle farse, nonostante si mantenga un certo grado di realismo, trovano maggiore dimora personaggi e situazioni stravaganti, e si registra una diffusa tendenza a rimarcare gli aspetti grotteschi e irrazionali”, ma in realtà la farsa in musica è semplicemente un'opera in un atto, generalmente a lieto fine ma non di per sé buffa né tantomeno grottesca. Adelina di Pietro Generali, per esempio, è la storia di una ragazza madre sedotta e abbandonata che torna a casa dopo una fuga d'amore, Adina di Rossini racconta di un incesto mancato e vede il tenore scampare in extremis da una condanna a morte.

Non si condivide facilmente nemmeno la definizione umoristica di “gustosi abbellimenti” per quelli del Rondò alla turca dalla Sonata K331 di Mozart, sostanzialmente mezzi imitativi degli strumenti orientali, per cui non l'ornamento, semmai, sarebbe gustoso quanto, invece, l'allusione alla moda esotica.

Suscitano parecchi dubbi anche le divagazioni sulla storia del teatro, peraltro non corroborate da una qualche bibliografia specifica. Che la pantomima nel mondo classico avrebbe “assunto un carattere spiccatamente comico in seguito all'approdo, avvenuto dopo l'espansione dell'impero, su suolo gallico” è affermazione quantomeno opinabile, che non tiene conto delle antichissime tradizioni teatrali del popoli italici preromani, per esempio.  Allo stesso modo, dire che la “netta virata verso l'umoristico è stata intrapresa grazie all'intervento della scuola mimica novecentesca francese” lascia non poco perplessi, proprio perché il teatro del XX secolo avrebbe, invece, aperto al mimo ben altri orizzonti poetici e sperimentali. Nessuna citazione per il genere coreografico floridissimo fra Settecento e Ottocento del balletto-pantomima, ma, d'altra parte, non è nemmeno afferibile al teatro comico, spaziando per lo più fra soggetti sentimentali o storico-tragici.

Sempre sul versante storico, ci si chiede da dove sia tratta la notizia secondo cui le origini dell'arte circense andrebbero “ricondotte all'antica arte dei menestrelli”, cancellando tutta la schiera di saltimbanchi, buffoni, illusionisti, giocolieri e quant'altro attivi prima del Medioevo.

Da punto di vista formale si nota qualche refuso qua e là (l'insistenza nella grafia “sottoforma” si auspica sia da annoverare fra questi), una curiosa capriola lessicale per la semplice struttura di aria tripartita (“aria caratterizzata da una triplice alternanza tra una sezione languida […] e un'altra più spigliata”) o quando si dicono “spezzati” gli accordi arpeggiati del basso albertino. Si nota, altresì, un abuso di triplici punti esclamativi: scelta stilistica personalissima, che però si consiglia di limitare perché abbassa il registro espressivo con sottolineature superflue (un aneddoto spiritoso muoverà al sorriso più facilmente se chi lo racconta non lo evidenzia con tale insistenza).

Insomma, bene ha fatto Scrofani Cancellieri a rompere il ghiaccio per una riflessione organica sulla “musica ridens”, ma c'è ancora parecchia strada da fare e, per un'eventuale seconda edizione, anche per questo volume si consiglia un'attenta revisione.