La penna di Bellini

 di Antonio Caroccia

Vincenzo Bellini. Carteggi

edizione critica a cura di Gabriella Seminara

Firenze, Leo S. Olschki editore, 2017

Historiae musicae cultores, 131

619 pagine

ISBN 978-88-222-6487-9.

Dopo circa vent’anni, vedono finalmente la luce i Carteggi belliniani. Le basi di questo lungo percorso di ricerca furono gettate nel 1999 dal musicologo Pierluigi Petrobelli, in occasione della costituzione del Comitato nazionale per le celebrazioni del bicentenario della nascita di Vincenzo Bellini; opera, poi, continuata da Fabrizio Della Seta con la creazione del Centro di Documentazione per gli Studi Belliniani dell’Università degli Studi di Catania a cui nel 2009 si è aggiunta la Fondazione Bellini. Un Centro di documentazione destinato a raccogliere in formato digitale tutte le fonti del compositore siciliano.

La nuova edizione critica di tutte le lettere di e a Vincenzo Bellini secondo criteri prettamente filologici e linguistici è stata curata dalla ricercatrice catanese Graziella Seminara. Finora, l’edizione critica dell’epistolario belliniano curata da Luisa Cambi nel 1943 costituiva un punto di riferimento per conoscere la personalità, le vicende biografiche e artistiche di Vincenzo Bellini.1 Anche se non sono mancati prima e dopo questa data altri tentativi di raccolta della corrispondenza belliniana, come le edizioni curate da Francesco Pastura2 e Carmelo Neri.3 Dobbiamo, però, a Francesco Florimo (1800-1888), condiscepolo e amico fraterno di Bellini, la prima raccolta e la pubblicazione delle lettere dell’artista catanese.4 «Mio caro Florimo la nostra amicizia sarà d’invidia ai presenti, ed alla nostra morte sarà lodata quando di noi si ricorderanno i vecchi».5 Così scriveva Vincenzo Bellini a Florimo il 24 maggio 1828. In effetti ancora oggi descrivere il sentimento d’amicizia che legava i due è cosa ardua se non impossibile. Essi furono talmente intimi, che dopo la prematura morte del compositore catanese, Florimo non seppe rassegnarsi sino a quando non riuscì a riportare in patria le spoglie dell’amico. E non ancor appagato, volle far innalzare alla sua memoria un monumento nell’odierna piazza Bellini di Napoli, a pochi passi dal Conservatorio.

I due si conobbero nel Conservatorio di San Sebastiano; l’amore per la stessa arte, la lontananza dalla famiglia, la simpatia reciproca, contribuirono a intensificare il loro rapporto benevolo. A Florimo, Bellini confidò anche le ansie, le paure, le gioie e i dolori, come la morte dell’amata Maddalena Fumaroli «La novella della morte della povera Maddalena m’afflisse oltremodo» (Parigi, 7 giugno 1835).6 Purtroppo, a onor del vero, Florimo distrusse, anche, una parte di queste lettere; probabilmente per celare ai posteri alcune vicende intime, che forse potevano compromettere il buon nome del compositore catanese. Molte altre, invece, dallo stesso Florimo furono regalate ad artisti e signore del tempo, a mo’ di cimelio. Diverse altre, secondo la Seminara, furono manomesse da Florimo, come ad esempio la celeberrima lettera del 26 dicembre 1831 che Bellini scrisse a Florimo poco dopo la prima rappresentazione della Norma: «Ti scrivo sotto l’impressione del dolore, di un dolore, che non posso esprimerti, ma che tu solo puoi comprendere. Vengo dalla Scala; prima rappresentazione della Norma. Lo crederesti?... Fiasco!!! fiasco!!! solenne fiasco!!!»,7 oppure la missiva diretta a Felice Romani del 24 agosto 1832, in cui Bellini descrive il trionfo della Norma al Teatro Ricciardi di Bergamo.8 Pertanto, queste come altre lettere non sono state incluse nel volume, poiché «la finalità principale della nuova edizione critica» a detta della curatrice è «quella di render conto di tutte le acquisizioni documentarie della corrispondenza belliniana finora attestate».9 Per quanto possibile, la Seminara ha consultato sempre le fonti originali, ossia gli autografi, ammettendo che laddove impossibilitata si è dovuta rifare a riproduzioni fac-similari.

Interessante, ad esempio, è il caso del ritrovamento e della pubblicazione di nuove lettere belliniane, come l’epistola indirizzata a Giovanni Battista Perucchini del 28 gennaio 1832,10 oppure altre comparse in biblioteche italiane, straniere, oppure in cataloghi di case antiquarie o conservate da privati. Non è poi del tutto improbabile che tante altre lettere belliniane emergeranno nei prossimi anni. La nuova edizione dei Carteggi belliniani si basa su criteri conservativi della scrittura belliniana ricalcando già i modelli consolidati delle edizioni degli epistolari di Verdi o di Puccini. Di per sé, la corrispondenza belliniana aderisce alle convenzioni della “grammatica epistolare” ottocentesca e all’insieme di convenzioni grammaticali in uso al tempo. Utili le analisi fornite dalla curatrice nell’introduzione del volume sullo stile epistolare utilizzato da Bellini con i differenti corrispondenti e i diversi registri espressivi utilizzati dal compositore a secondo dell’interlocutore a cui scriveva. Di grande interesse appaiono, poi, le sezioni dedicate al “lessico melodrammatico” e alla “ricostruzione del processo compositivo”. Nella prima, la curatrice, analizza il lessico belliniano e i vocaboli tecnici utilizzati dall’artista, con molteplici esempi ricavati dalle lettere; nel secondo caso, invece, la ricostruzione del processo creativo ci consente di conoscere meglio le preziosissime indicazioni di lavoro che l’artista via via indica nelle sue lettere.

La corrispondenza belliniana, inoltre, ci consente di conoscere meglio la personalità artistica e umana del compositore. Sappiamo bene come Bellini non scrisse più di un’opera all’anno, in virtù di una ferrea disciplina creativa del proprio lavoro: esigente verso se stesso ma, anche, verso i suoi collaboratori «Voglio sperare ora, essendo tu impiegato regio, non vorrai accollarti tanti impegni per compor libri. Scrivi per Torino o per altrove, scrivi per me solo, domanda il doppio che sin’ora ài ricevuto per paga» (lettera a Felice Romani del 7 ottobre 1834),11 non disdegnano tra l’altro di dispensare giudizi nei confronti dei suoi colleghi «[...] qui lo strumentare bene è veramente comune: sono come in Germania, studiano gli effetti dell’orchestra, ed il tenerla sempre ben nutrita; ma ciò che è canto non sono capaci di mettere insieme un duetto, né un canto [...]» (lettera a Florimo da Parigi il 1° luglio del 1835).12

La pubblicazione dei Carteggi belliniani ha permesso anche l’identificazione di alcuni corrispondenti che risultavano ignoti nelle precedenti edizioni, come il caso della lettera scritta il 27 aprile del 1835 custodita nello Stadtarchiv di Hannover e indirizzata a Luigi Naselli. Delle cinquecentodiciassette lettere di cui si compone il volume, la maggior parte sono indirizzate a Francesco Florimo e tra i corrispondenti belliniani troviamo, poi, Felice Romani, Giuditta Turina, Alessandro Lamperi, Giovanni Battista Perucchini, Giovanni Ricordi, Vincenzo Ferlito, Saverio Mercadante, Johann Simon Mayr e tanti altri che conobbero e stimarono il “cigno catanese” e di cui oggi possiamo leggere e conoscere meglio vicissitudini e fortune, rispetto alle edizioni precedenti. Ciò che forse veramente manca a questo volume, che come abbiamo detto è degno di nota, è un’analisi della corrispondenza tra Bellini e Florimo. Due personaggi che a loro modo furono dei sicuri punti di riferimento per l’Ottocento musicale come trapela, anche, dalla lettura di queste missive. Ma questa è un’altra storia...

 

1# Luisa Cambi, Bellini. Epistolario, Milano, Mondadori, 1943.

2# Francesco Pastura, Le lettere di Bellini, Catania, Totalità Editrice, 1935.

3# Carmelo Neri, Caro Bellini... Lettere edite e inedite a Vincenzo Bellini, Catania, Prova d’autore, 2001 e Vincenzo Bellini. Nuovo Epistolario 1819-1835, Catania, Editoriale Agorà, 2005.

4# Francesco Florimo, Bellini. Memorie e lettere, Firenze, Barbèra, 1882.

5# Vincenzo Bellini. Carteggi, edizione critica a cura di Gabriella Seminara, Firenze, Leo S. Olschki editore, 2017, p. 129.

6# Ivi, p. 516

7# Florimo, Bellini cit., p. 736.

8# Ivi, pp. 400-402.

9# Vincenzo Bellini. Carteggi cit., p. 12.

10# Ivi, pp. 254-256.

11# Ivi, p. 405.

12# Ivi, pp. 539-542.