L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L'anima del canto

di Roberta Pedrotti

Anima rara

G. Puccini, R. Leoncavallo, P. Mascagni, J. Massenet, U. Giordano, G. Verdi, A. Catalani

arie da Madama Butterfly, La bohème, Iris, Sapho, Mefistofele, Lodoletta, Manon, Siberia, La traviata, L'amico Friz, La Wally

soprano Ermonela Jaho

direttore Andrea Battistoni

Orquestra de la Comunitat Valenciana

registrazione effettuata a Valencia nel Novembre 2019

CD OperaRara ORR253, 2020 

Rosina Storchio fu la prima Cio Cio San alla Scala, nel febbraio 1904. Fu una serata accidentata, lo sappiamo, ma l'opera poi prese ugualmente il volo e il soprano la manterrà sempre in repertorio, anche se, ovviamente, aggiornata alle versioni successive approntate da Puccini. Rosina Storchio fu senz'altro sfortunata nella vita – un beffardo scherzo del destino vuole la vita della prima interprete di Madama Butterfly segnata da una maternità difficile: un figlio avuto da Toscanini nel 1903, disabile e spentosi appena adolescente – e, poco più che cinquantenne, abbandonò le scene per la vita religiosa come terziaria francescana. Forse, però, anche queste sofferenze contribuirono ad acuire una sensibilità d'artista tale da farne, lei che da soprano lirico versato all'agilità era anche un'assidua Norina, Amina e Rosina, una musa di Puccini, Leoncavallo e Giordano, un'interprete di riferimento per i titoli del secondo Ottocento e della Giovane Scuola.

Oggi, l'omaggio che le dedica Ermonela Jaho per OperaRara, si può leggere e apprezzare a più livelli.

Innanzitutto, il programma, tutto incentrato sul repertorio non belcantista di Storchio, fra titoli tuttora frequentatissimi (Madama Butterfly, La traviata, Manon di Massenet), altri comunque familiari almeno per le arie principali (se La Wally o Mefistofele non si danno tutti i giorni, “Ebben ? Ne andrò lontana” e “L'altra notte in fondo al mare” restano celeberrime), via via verso pagine decisamente meno battute (“Nel suo amor rianimata” da Siberia di Giordano). Ci si muove, dunque, in un percorso ben strutturato fra il conforto della familiarità e la curiosità dell'ascolto più raro, nel cosmo variegato quanto ancora trascurato dell'opera italiana e francese a cavallo fra XIX e XX secolo. Abbiamo il simbolismo esotico di Iris, che nell'aria detta “della piovra” descrive sostanzialmente la stampa di Hokusai Il polpo e la pescatrice, che in occidente era già nota con il titolo Il sogno della moglie del pescatore. Abbiamo i ritratti che reciprocamente si dedicano le protagoniste femminili della Bohème di Leoncavallo ammiccando vispe all'operetta e al café chantant (Storchio fu la prima Mimì, ma incise l'aria di Musette). Abbiamo il crepuscolare Catalani, lo scapigliato Boito, il naturalismo francese di Massenet, quello italiano fra l'idillio mascagnano e il romanzesco avventuroso e passionale caro a Giordano. E se La traviata è stata scritta qualche anno prima e per molti versi si legherebbe più alla temperie belcantista, l'inserimento di “Addio del passato” non è solo un omaggio al cavallo di battaglia di Storchio, ma anche un trait d'union storico e stilistico, una chiave di volta nell'opera ottocentesca, il passaggio dal dramma borghese d'ascendenza semiseria a quello naturalista, come chiarisce l'interpretazione di Ermonela Jaho, coerente al clima dell'intero programma.

Proprio nella cifra impressa dal soprano albanese consiste l'ulteriore livello d'interesse, che è poi quello determinante, ché anche il programma più interessante si spegne se non c'è un pensiero, un'idea, un'anima della realizzazione. Come Storchio, Jaho viene dal belcanto, e anche se nei suoi impegni si è diradato non è scomparso (nel luglio 2019 è stata ancora Anna Bolena, nella primavera 2021 l'aspetterebbe Marguerite nel Faust, che senza agilità non si può cantare). Come Storchio, la natura è quella di un soprano lirico e non la tradisce in un approccio giocato più sullo stile, sulla parola, sul senso intimo del canto scenico. Il richiamo ideale si concretizza in una lettura della lettera della Traviata, e nei successivi recitativo e aria, che senz'altro guardano allo spirito del primo Novecento, per esempio nella lieve enfatizzazione delle consonanti, ma non trascende mai i limiti di un gusto moderno, non scimmiotta modi demodé, bensì vi allude e li rivive per contestualizzare questa Violetta accanto a Iris e Cio Cio San, fra naturalismo ed estetismo. Nondimeno, proprio in Cio Cio San sentiamo un fraseggio misurato con una cura minuziosa e che pure non diventa mai lezioso, anzi, si ripiega in se stesso in una lettura che rivela, nella ricerca spasmodica di accenti dolci e speranzosi, il dolore immenso della piccola geisha: perfino in “io con sicura fede l'aspetto” la voce non fiorisce trionfante, ma sembra racchiudere fra petali un poco gualciti un'infelicità pronta a esplodere. L'altra geisha, Iris, invece, esprime l'ansia della descizione dettagliata dell'immagine perturbante prima di irrompere nel terrore represso del piacere identificato con la morte. Le arie di Massenet non mancano d'anima e di fuoco (il recitativo di Manon), ma portano in evidenza il gusto del soprano albanese per il legato e per filati che s'increspano nel dipanarsi del discorso, la capacità di sfumare giostrata sempre con esattezza. L'infelice Lodoletta e la più fortunata Suzel ci fanno intendere un lirismo mascagnano franco, spossato o liliale, per nulla zuccheroso o enfatico, perché proprio questo è il succo fondamentale del CD: come il Belcanto annega se si limita a esibizione di virtuosismo, tutto quel che ruota intorno all'etichetta di Verismo precipita nell'enfasi. L'artista deve cercare sempre il senso nel linguaggio specifico dell'opera, senza ragionare per blocchi schematici, ma lavorando nella musica, nel testo, nel rapporto fra azione, drammaturgia, parola e suono. Sentiamo, così, come Ermonela Jaho sussurra le parole allucinate della Margherita di Boito, fa sentire il crescendo straniato, poi fisicamente il freddo del carcere, la fuga nell'onomatopea virtuosistica e la ridiscesa a note gravi, quasi parlate, terrigne implorando pietà. E basta sentire, per contro, la vivacità spensierata delle due bohèmienne di Leoncavallo per intendere quante diverse sfaccettature possa incarnare un canto intelligente che innervi ogni suono e sappia animarlo con un'intima vibrazione.

Andrea Battistoni offre un valido contributo come guida ispirata e misturata dell'Orquestra del la Comunitat Valenciana.

Il libretto è curatissimo nelle note della stessa Jaho, nel profilo di Rosina Storchio curato da Ditlef Rindom, nell'introduzione dettagliata a ogni brano, come nella migliore tradizione OperaRara.


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