Si spegne in firmamento

 di Andrea R. G. Pedrotti

Verdi, Puccini, Gounod, Meyerbeer Leoncavallo, Giordano

Vincerò

arie da I vespri siciliani, Aida, La forza del destino, Il trovatore, Otello, La fanciulla del West, Tosca, Manon Lescaut, Turandot, Roméo et JulietteL’AfricainePagliacci e Andrea Chénier

Gregory Kunde, tenore

Ramon Tebar

direttore Orquesta Sinfónica de Navarra

Pamplona, agosto-ottobre 2016

CD UNIVERSAL 0028948152490, 2017

Sotto l'etichetta Universal è recentemente stato pubblicato l’ultimo disco del celebre tenore Gregory Kunde, dal titolo Vincerò.

La registrazione è stata effettuata nell’agosto e nell’ottobre del 2016, presso l’Auditorium Baluarte di Pamplona, con l’Orquesta Sinfónica de Navarra, diretta da Ramón Tebar.

Il programma vuole spaziare in tutto il nuovo repertorio del tenore americano, che, dal belcanto delle origini, si è riproposto da alcuni anni in ruoli più lirici, spingendosi fino al repertorio drammatico e verista.

Gli autori più affrontati in questo recital sono Verdi (I vespri siciliani, Aida, La forza del destino, Il trovatore, Otello) e Puccini (La fanciulla del West, Tosca, Manon Lescaut, Turandot), con esplorazioni in Gounod, Meyerbeer Leoncavallo e Giordano (Roméo et Juliette, L’Africaine, Pagliacci e Andrea Chénier). Un programma ambizioso per durata e tenuta, considerando che di Turandot e La fanciulla del West vengono eseguiti più brani –curiosamente staccati nella successione delle tracce. L’origine artistica rossiniana di Gregory Kunde dovrebbe far pensare a una precisione musicale assoluta e la preparazione non è in dubbio, ma i segnali d’usura dello strumento sono fin troppo diffusi: in “Celeste Aida”, per esempio, il Sib finale viene eseguito forte dal principio alla conclusione, senza seguire l’indicazione verdiana “morendo”, annotazione che il tenore americano aveva rispettato fedelmente in occasione del suo debutto areniano dell’agosto 2015 [leggi la recensione]. L’usura vocale porta Kunde a un’emissione non pienamente omogenea e a un notevole accorciamento nella tenuta del fiato, in confronto agli anni scorsi. Prendiamo ad esempio la cabaletta di “Ah, sì ben mio” da Il trovatore: qui Kunde opta per l'esecuzione integrale, con tanto di ripresa (nonostante non vi sia nessuna Leonora per il pertichino). Le quartine sono eseguite distintamente, ma in maniera aspirata e notevolmente disomogenea rispetto al resto del canto, quasi fossero un elemento autonomo dalla linea complessiva. Gli acuti sono luminosi, ma l’insieme del brano palesa un notevole affaticamento, che costringe il tenore a forzare troppo di frequente. Il do finale è bello, ma meno brillante delle altre puntature di questo stesso CD.

Convincono meno brani come “Ah, léve-toi, soleil!” dal Roméo et Juliette di Gounod, nei quali, anche considerati gli attuali limiti di Kunde e la promiscuità stilistica e di repertorio di questa fase della carriera, sarebbe necessaria una maggior pulizia e purezza del suono. La mancanza sostanziale di elegia (e qualche spoggiatura di troppo) si manifestano anche in “Donna non vidi mai”, dalla Manon Lescaut di Puccini: in quest’aria che dovrebbe presentare il profondo e travolgente amore del cavaliere Des Grieux per la giovane, si nota più un’attenzione continua a fare in mondo che la fatica non prenda il sopravvento sul canto, a scapito dell’espressività. Discorso simile, anche se in contesti completamente diversi, nell’esecuzione di “Non piangere Liù” dalla Turandot.

Migliorano le cose nei quattro pezzi più riusciti di tutto il disco, tratti da Tosca (“E lucevan le stelle”), La fanciulla del West (“Una parola sola/ Or son sei mesi”), Otello (“Dio! Mi potevi scagliar”) e Turandot (“Nessun dorma!”).

Non a caso si tratta di tre brani pucciniani e uno di un Verdi molto tardo. Il carattere più drammatico della scrittura si adatta meglio alle caratteristiche attuali di Kunde, che può puntare su un’accentazione più decisa (specialmente in Otello), in modo di mascherare alcuni limiti nei fiati far apparire meno stridenti le forzature, poiché il cantante americano palesa la sua notoria intelligenza musicale (sempre belle le sua variazioni), sfruttando l’affanno e alcuni suoni eccessivamente traballanti come armi espressive.

Discreta la direzione di Ramón Tebar, che appare ben strutturata, pur mancando di sfumature o intuizioni espressive. In sostanza accompagna bene, scolasticamente, ma bene.

Non è indicato quale coro abbia partecipato a questa registrazione: si suppone faccia parte dell’organico delll’Orquestra Sinfónica de Navarra; tuttavia ne è indicato il maestro, Igor Ljurra.