Incontro a Veracruz

 di Roberta Pedrotti

 

Contrabandista

arie e duetti di M. Garcia, G. Rossini, N. Zingarelli

Javier Camarena, tenore

Cecilia Bartoli, mezzosoprano

Gianluca Capuano, direttore

Les musiciens du prince - Monaco

registrato a Girona, 8-15 gennaio 2018

CD Decca Mentored by Bartoli 4833958 DH, 2018

Che Javier Camarena sia uno dei più grandi tenori in attività è cosa nota, perlomeno fra quei teatri che, giustamente se lo contendono. Forse è meno nota in Italia, dove l'occasione di ascoltarlo pare più unica che rara: giovanissimo e semisconosciuto solista con Abbado a Bologna nel 2012, protagonista di un concerto a Pavia nel 2018 [leggi la recensione]. Nient'altro, e chissà se dietro questa assenza ci siano tentativi e trattative non andati a buon fine – come nel caso di un ventilato debutto nel Barbiere di Siviglia all'Arena di Verona – o se le nostre direzioni artistiche abbiano preso davvero il granchio colossale di perder di vista un talento tanto splendido.

Sia come sia, almeno la discografia ci consola e lo onora come merita, grazie anche al sodalizio artistico con Cecilia Bartoli, partner scenica in tante occasioni e madrina di un raffinato CD che inaugura una nuova etichetta Decca, “Mentored by Bartoli”, appunto. E anche chi non apprezzi la voce dell'artista romana, non potrà negare il suo genio, il suo intuito, e non potrà non gioire ogniqualvolta la sua popolarità e la sua influenza siano così ben messe a frutto come per questo progetto dedicato alla figura straordinaria di cantante, compositore, impresario e didatta che fu Manuel Garcia, anzi Manuel del Popolo Vicente Rodriguez, nato a Siviglia nel 1775 e spentosi a Parigi nel 1832.

Temperamento sanguigno, ardente, artista formidabile dalla vita avventurosa, dopo una parentesi a New York, piazza ancora provinciale dove l'opera era accolta per lo più come raffinata curiosità, approda in Messico, dove vive alterne e romanzesche vicende, ma trova perlomeno un pubblico ben altrimenti preparato e ricettivo. Duecento anni dopo, nativo proprio dallo stato di Veracruz dove approdò e da cui ripartì la compagnia familiare di Garcia, arriva Javier Camarena e rende omaggio al tenore che scrisse pagine fondamentali nella storia del belcanto – e non meno ne ispirò al figlio omonimo e trattatista – e che segnò anche la storia operistica del suo Paese.

Il programma è per metà consacrato proprio a composizioni di Garcia, tre delle quali in prima incisione assoluta. Infatti, è relativamente conosciuto l'irresistibile one man show El poeta calculista (1805), in cui Camarena libera tutta la sua innata simpatia fra la più celebre “Yo que soy contrabandista” e l'istrionica “Formaré mi plan con cuidado”. Sono invece grate scoperte “Cara gitana del alma mia” da El gitano por amor e soprattutto due pagine francesi “Vous dont l'image” da La mort du Tasse (1821) e “O ciel! Ma juste furie” da Florestan ou Le conseil des dix (1822). Qui non ascoltiamo solo la vena abile e felice che sintetizza tradizione iberica e opera italiana, e, almeno nel 1828 del Gitano por amor, rossiniana; Garcia all'Opéra dimostra di aver perfettamente assimilato lo stile francese, sensibile anche a nuove istanze romantiche. Il canto del poeta è ispirato, delicatamente poggiato su pizzicati evocativi. La scena dello schiavo moro nella Serenissima adeguatamente nobile e impetuosa.

Camarena passa con disinvoltura dalla sua lingua madre all'idioma parigino, dalla vis comica più accattivante all'elegia e alla fierezza eroica. Padroneggia il gusto di melodie e ritmi iberici come le leggi del belcanto e dell'Opéra, dando così la più plausibile incarnazione all'opera del musicista tenore.

Il fatto che Garcia dovesse essere un tenore centrale, con inflessioni baritenorili che rendevano più agevoli gli approcci a Don Giovanni o all'Almaviva mozartiano, non costituisce un limite per l'omaggio di Camarena, celebre per i suoi acuti folgoranti. L'emulo è abbastanza intelligente per non forzarsi a essere mediocre epigono e come Garcia, secondo il gusto dell'epoca, sapeva ben scalare le vette più acute e sfoggiare cadenze spericolare, Camarena possiede timbro piacevolmente virile, ampiezza di canto e d'accento, sicurezza per emergere parimenti in tessiture centro-gravi.

La scelta dei brani del repertorio di Garcia è, peraltro, ben indirizzata dalla vocalità del tenore messicano. “Là dai regni dell'ombre, e di morte” da Giulietta e Romeo di Zingarelli offre un bel saggio di vocalità neoclassica, che Camarena legge con gusto moderno, senza trascurare una cadenza vertiginosa, ma che non si propone di rievocare il gusto già più carico e virtuosistico attribuito a Garcia (ed ereditato dalla fantasia vulcanica della figlia Maria Malibran).

Di Rossini si ascolta una sola creazione, l'Almaviva del Barbiere, ma l'autorevolezza di questo trionfante “Cessa di più resistere” paga la rinuncia al ghiotto Leicester dell'Elisabetta: come di rado s'ascolta, Camarena rispetta, infatti, il segno scritto e intona la scaletta ascendente sulla U di “crudeltà”. Molti colleghi optano per vari gruppetti sulla E successiva e se sotto il profilo della prassi esecutiva l'accomodo su una vocale più agevole è ammissibile, quel moto verso l'acuto sulla prima sillaba conferisce subito ad Almaviva, che per la prima volta canta nei suoi propri aristocratici panni, la statura del Grande di Spagna.

Fra le opere rossiniane del repertorio di Garcia Otello è il grande assente giustificato, giacché Camarena è uno splendido Rodrigo ma non affronta il ruolo eponimo, mentre sono preferite pagine inserite in concerti o, La cenerentola, eseguite nella tournée messicana. Poiché il messicano Javier Camarena è uno dei migliori Don Ramiro in attività e al Metropolitan di New York è stato costretto a concedere il bis di quest'aria, “Sì ritrovarla io giuro” sembra un inevitabile trait d'union fra il non più giovane Garcia transitato da Veracruz e il divo odierno che da Veracruz è partito. Inutile dire che la resa dell'aria è spettacolare da tutti i punti di vista.

Allo stesso modo “S'ella m'è ognor fedele” da Ricciardo e Zoraide scova nei programmi concertistici londinesi di Garcia l'occasione per farci ascoltare Camarena che ricama belle variazioni in tessitura acutissima, fraseggiando con gusto compito e fascino latino. Sempre a Londra, nel 1824, avrebbe intonato il duetto “Amor, possente nome” da Armida, e la notizia è propizia per far apparire Cecilia Bartoli nei panni della seducente maga. La sintonia artistica fra gli interpreti è palpabile: nel Rinaldo di Camarena avvertiamo un candore cavalleresco, in sincero senso del dovere da cui traspaiono sentimenti pudichi poi sempre più appassionati; nell'Armida della Bartoli si riconosce un'alterità rispetto al mondo maschile dei crociati e al loro sistema di valori che subito concretizza la portata emotivamente sovversiva del suo ingresso in scena. La stretta è animata con pregevoli variazioni che impreziosiscono l'apparizione della diva che assume, come Pallade Atena nei confronti di Telemaco, i panni di Mentore.

Peccato che, però, Cecilia Bartoli sia l'unica ospite ad affiancare Camarena. È vero che l'aria di Ricciardo fu cantata da Garcia in contesti in cui, con tutta probabilità, non c'era il pertichino del secondo tenore, ma senza gli interventi di Ernesto il pezzo perde d'equilibrio. Non ci sono, peraltro, giustificazioni filologiche, ma solo – evidentemente – pratiche alla soppressione del coro nelle arie di Ramiro e Almaviva. Un vero peccato, anche perché senza essere magnetica e fantasiosa, la direzione di Gianluca Capuano, a capo dei Musiciens du Prince, stacca i tempi con chiarezza e dipana colori appropriati che si sposano in perfetta armonia con le voci e le caratteristiche dei brani in programma.

L'edizione De Luxe del CD, infine, è un vero e proprio volumetto comprendente i testi cantati, una ben assortita iconografia storica e moderna fra Camarena e la famiglia Garcia, un articolato ed esauriente saggio di Markus Wyler che approfondisce le biografie artistiche di Manuel sr e dei suoi figli Josefa, Manuel jr, Maria (Malibran) e Pauline (Viardot). Solo un appunto: nel 2018 non è più corretto dire che “Cessa di più resistere” sia per lo più tagliata per la sua difficoltà. Al contrario, ormai ogni Almaviva che si rispetti s'impegna a cantarla. Certo, non sarebbe stato possibile senza l'impegno altro tenore, ancora una volta, legato a Garcia e devoto alla sua scuola come Rockwell Blake.