Trifonov e Nézet-Séguin: Rachmaninov bifronte

 di Roberta Pedrotti

 

S. Rachmaninov

Concerto per pianoforte n.2 e n.4

Suite dalla Partita per violino in Mi maggiore BWV 1006 di J. S. Bach

Daniil Trifonov, pianoforte

Yannick Nézet-Séguin, direttore

The Philadelphia Orchestra

registrazioni live effettuate a Philadelphia nell'ottobre 2015 (Concerto n. 4) e nell'aprile 2018 (Concerto n. 2 e Suite)

CD Deutsche Grammophon, 483 5335 GH, 2018

È fin troppo facile fermarsi alla superficie di Rachmaninov, rimanere abbagliati dal virtuosismo, ammaliati dall'accattivante inventiva melodica, sedotti dal desiderio di piacere e dalla volontà di successo del giovane talentuoso e sensibile reduce da problemi d'alcolismo e depressione. Meno immediata, ma più profonda e duratura, la soddisfazione nel guardare oltre la confezione luccicante l'altra faccia della medaglia. Via, allora, il sapore dolciastro, l'esibizionismo ostentato, il sentimentalismo esacerbato: Daniil Trifonov pare dalla biografia del compositore, da turbamenti, delusioni, dolori, da viaggi e stimoli, per ritrovarne gli echi nella musica. Non ne emerge un Rachmaninov scarnificato, travisato, scontroso, ma di certo un Rachmaninov sincero, consapevole, in cui la forma è sofferta e meditata conseguenza di un processo interiore e creativo. C'è tutta la bellezza sfolgorante del trionfo pianistico, ma non è una bellezza fine a se stessa; là dove, poi, si percepisce la costruzione della maschera dell'artista, il gioco non è indolore, la finzione scoperta, o perfino ironica, là dove, nel Quarto Concerto, il giovane russo asceso a straordinaria popolarità assorbe anche le suggestioni del Nuovo Mondo, dimostra d'aver ascoltato Gershwin e il jazz.

Per come tesse discorsi unitari e al loro interno ricama trine finissime, Trifonov fa balenare la scintilla del genio nel suo fraseggio, dosando con acuta intelligenza tutto l'armamentario messogli a disposizione da una tecnica superba. Così non c'è difficoltà di scrittura che non si trasformi in necessità espressiva, nessuna forma che non sia contenuto, sia nel dialogo e nell'elaborazione del ricordo della giovanile Romance nel Secondo Concerto, sia nell'orizzonte guizzante, compiuto e composito, del Quarto. D'altra parte, Yannick Nézet-Séguin, a capo dell'ottima Philadelphia Orchestra, è il partner ideale per questo tipo di lettura: un direttore che non frustra ambizioni edonistiche, ma regala slancio, sonorità rigogliose e adeguatamente colorite, fraseggio eloquente e suadente. Ma è soprattutto anche un direttore moderno e intelligente, che, come lo stesso Trifonov, non identifica nella bellezza del suono il mezzo e il fine, muovendosi invece con gusto, misura, intelligenza per bilanciare l'aspetto bifronte, morbido e tagliente, di Rachmaninov. Piace, alletta, seduce; ricorda, elabora, medita. È sentimentale ma anche ironico. Trionfa e soffre.

Fra i due concerti, Trifonov inserisce la Suite che Rachmaninov trasse dalla Partita per violino in Mi maggiore BWV 1006. Mania inveterata, quella dei russi di rimetter mano a Bach (Siloti, maestro e cugino di Rachmaninov, docet), ma bisogna ammettere che il pezzo è suonato divinamente, con una chiarezza impagabile nel dipanare i contrappunti e seguire le linee melodiche, con una visione d'insieme ineffabile. E, anche in questo caso, l'omaggio al Kantor di Lipsia non assume nessun alone romantico fuori luogo, ma si posa limpido sulla tastiera del pianoforte moderno.

Nelle note di copertina di Oscar Alan, altrimenti pregevoli e ricche di utili citazioni dello stesso Trifonov, si nota un curioso refuso: parlando di “relazione fallita” sembra si confondano Natalia Skalona, con la quale il fidanzamento non andò a buon fine, e la quasi omonima Natalia Satina, moglie invece del compositore dal 1902.