Tra parafrasi e fantasia 

 di Roberta Pedrotti

A. Bazzini

Complete Opera Transcriptions

Anca Vasile Caraman, violino

Alessandro Trebeschi, pianoforte

registrazioni effettuate nel novembre 2017

5 CD Brilliant Classics, 2018, 95674, 2018

Fra tanti anniversari, il 2018 ha visto celebrare anche quello di Antonio Bazzini (Brescia 1818- Milano 1897), certo, in tono minore e più locale rispetto agli omaggi globali a Rossini, Bernstein, Gounod e Debussy, rispetto anche a quelli un po' più discreti a Boito. E, tuttavia, si è saputa cogliere con intelligenza l'occasione per rispolverare una figura che, altrimenti, sarebbe rimasta relegata agli studi dei violinisti, con occasionali apparizioni nei fuori programma dei concerti con la virtuosistica Ronde des Lutins. Stimato da Schumann, che trovava la sua musica “italiana nel miglior senso della parola”, incoraggiato da Paganini, solista di grande successo internazionale, aveva studiato anche a Lipsia e, docente al Conservatorio di Milano, ebbe fra i suoi studenti Giacomo Puccini e Alfredo Catalani. Della sua unica opera, Turanda, si attende ancora una riscoperta, ma non mancano testimonianze discografiche dei suoi lavori cameristici, specie per violino e pianoforte. Non era però noto, né tantomeno inciso, il corpus completo delle sue trascrizioni operistiche, che compaiono ora in un cofanetto, punta di diamante di un lavoro di rivalutazione di Bazzini portato avanti ormai da anni, con caparbietà, dal pianista Alessandro Trebeschi, con concorsi di canto e violino intitolati al compositore bresciano, concerti, giornate di studi e spazi anche nella Festa dell'Opera del capoluogo lombardo.

In cinque CD, per circa cinque ore di musica, troviamo trascrizioni, parafrasi, fantasie e souvenir da Bellini (Norma, La sonnambula, Beatrice di Tenda, Il pirata, I puritani, I Capuleti e i Montecchi, La straniera), Donizetti (Lucia di Lammermoor, La fille du régiment, Lucrezia Borgia, La favorite, Anna Bolena) e Verdi (La traviata, Attila, I masnadieri), ma anche dall'Esmeralda di Mazzucato, dalla Saffo di Pacini e dall'Oberon di Weber. Pagine che ci permettono di saggiare perfettamente quel senso di “italianità” amato da Schumann e che altro non è che il senso del canto, del melos che incantava oltralpe nel nome dei due geni prematuramente scomparsi a distanza di un secolo, Pergolesi e Bellini. E per il virtuoso italiano che aveva studiato Bach e Beethoven a Lipsia, forse la predilezione per il biondo catanese non sarà forse casuale, bensì segno di un'affinità elettiva con il suo linguaggio violinistico. La tecnica di stampo paganiniano non trova, infatti, un'espressione demoniaca e trascendentale, ma si piega all'emulazione della duttilità del belcanto, si condensa nell'evocazione della linea vocale e dei suoi significati poetici, ma non per questo si semplifica. Anzi, in forma forse meno appariscente, la scrittura violinistica è tanto fitta di trilli a ogni altezza, appoggiature, passaggi al ponticello, accenti, sforzati, legature da presentare passaggi d'estrema difficoltà. Difficoltà tecnica ed espressiva, sobbarcandosi in somma parte il ruolo di primadonna, mentre al pianoforte spetta il compito, non meno complesso, di evocare l'orchestra, il coro, i pertichini. I lavori di Bazzini sono piccoli distillati salottieri di teatro in musica, ma amano la forma tripartita del concerto classico e, nel piegare all'elaborazione strumentale del canto le estreme risorse tecniche del virtuoso, giungono a soluzioni anche sorprendenti per la finezza e la modernità dell'articolazione. Il linguaggio di Bazzini, insomma, è organizzato in modo relativamente semplice, nella suddivisione delle voci e nell'alternanza dei movimenti, ma si rivela acuto e quasi visionario nel trattamento del materiale musicale e nello sfruttamere le potenzialità dello strumento.

Duo consolidato da un affiatato sodalizio e da un'assidua attività concertistica in gran parte, negli ultimi tempi, consacrata proprio alla riscoperta di Bazzini, Alessandro Trebeschi e Anca Vasile affrontano questo programma con entusiasmo palpabile. Emerge quindi il senso del canto insito in queste trascrizioni, la teatralità in sedicesimo che lascia in evidenza le passioni di Odabella e di Violetta, di Amina e di Beatrice (o di Filippo Maria Visconti per Agnese del Maino, ché l'evocazione dell'Introduzione e della cavatina del baritono “Quanto t'adoro, o quanto” ha un trasporto che non lascia indifferenti); emerge anche la spregiudicatezza tecnica che molto chiede e poco concede. Non basta essere virtuosi, ché queste non son pagine esuberanti e pirotecniche; bisogna esser musicisti per rendere il senso di questa scrittura, senza sconti, in una poetica che è fatta anche di estremi e di contrasti. E, con un'interpretazione così meditata e sincera, nonché godibile, non possiamo che dirci del tutto soddisfatti. Anzi, non possiamo che augurarci una maggior presenza di Bazzini nei programmi di concerto, ricordando che le trascrizioni operistiche, Liszt docet, non sono un genere minore, un divertissement da salotto, ma possono essere punto di partenza per sofisticati approdi sulle rotte dell'arte della variazione, dello scambio di melos e virtuosismo fra voce e strumento.

L'unico appunto è editoriale: peccato che le note (che pure, con quella di Peter Quatrill, portano la firma italiana di Fulvia Conter) siano solo in inglese e che almeno un refuso sia sfuggito (Lammeroor per Lammermoor). Simpatica, per contro, l'idea di utilizzare due ritratti di Bazzini realizzati da un'artista (e pianista) contemporanea, Debora Kora.