Barocco bizantino

 di Roberta Pedrotti

A. Vivaldi

Il Giustino

Galou, Baráth, Gäng, Cangemi, Gonzalez Toro, Vendittelli, Giangrande, Maas

Ottavio Dantone, direttore e primo cembalo al continuo

Accademia Bizantina

3 CD Naïve, OP 30571, 2018

Benedetto Marcello, nel suo Teatro alla moda, cita l'Orso, come ruolo pressoché alla pari di quello di primadonna, come effetto non inferiore a tempeste e terremoti, come scena topica insieme a pazzie, carceri, venefici. Il Giustino, musicato prima di Vivaldi (1724) da Legrenzi (1683) e Albinoni (1711) poi da Haendel (1737), ci permette di incontrare finalmente una famigerata scena “dell'Orso”, con la fiera che assale Leocasta e viene uccisa dal protagonista. Si tratta, però, solo di uno fra i molteplici elementi avventurosi e spettacolari di un libretto intricatissimo, che infarcisce le già più che romanzesche vicende storiche dell'Impero bizantino con tempeste, mostri marini (esplicita la citazione del mito di Andromeda e dell'Olimpia ariostesca), voci dall'aldilà, apparizioni sovrannaturali. La contesa per il trono, naturalmente, è complicata anche da fraintendimenti, gelosie, da un giovanotto che si finge un'ancella e tenta di violentare la padrona (e futura cognata, ma nel frattempo saranno intercorsi ravvedimenti e agnizioni). L'opera eleva in massimo grado la vocazione al meraviglioso e al sorprendente, al colpo di scena e all'incalzare mozzafiato dell'intreccio, ma Vivaldi non soccombe a una materia potenzialmente confusionaria – o quantomeno esteriore – anche in virtù di una compagnia di canto eccellente. La committenza romana, infatti, gli mette a disposizione cinque fra i migliori castrati sulla piazza: Giacinto Fontana, Paolo Mariani, Girolamo Bartoluzzi, Giovanni Ossi e Carlo Pera, cui vanno ad aggiungersi i tenori Antonio Barbieri e Francesco Pampani. Non si tratta solo di cantanti dai mezzi vocali eccezionali e affinati da anni di studio intenso, ma anche di interpreti e musicisti preparatissimi, capaci di assolvere alle esigenze teatrali del dramma e di esaltare la propensione vivaldiana a una scrittura strumentale anche per le voci.

Il rapporto fra canto e strumenti è stretto, la ricerca timbrica sofisticata e a tratti perfino sperimentale, come nell'aria che chiude il secondo atto, con salterio concertante. I lussureggianti mezzi romani si sposano felicemente alla vivida teatralità veneziana, e sembra quasi che Vivaldi si diverta a far sfoggio delle sue abilità, o dei suoi pezzi forti, ripescando pagine scritte in precedenza, fra cui – la più evidente all'ascoltatore moderno – il tema della Primavera ad accompagnare l'ingresso della Fortuna. L'adesione ai colori e agli effetti del turbinoso melodramma, però, non si limitano a un esercizio pirotecnico, penetrando nel profondo la tessitura drammaturgica fino a suggerire richiami tematici che conferiscono unità e consequenzialità all'opera. Lo evidenzia benissimo Ottavio Dantone, che con la sua Accademia Bizantina conosce benissimo le peculiarità e le esigenza del Vivaldi strumentale e sa, soprattutto, tradurle in concretezza scenica senza timore di dar corpo sonoro a tutti i più stupefacenti effetti di belve, battaglie, tuoni, fulmini e saette.

Il cast risponde alla perfezione alle intenzioni del concertatore, autore anche delle variazioni, alla ricerca di quella teatralità strumentale che è il cuore dell'opera vivaldiana e che esige una ferrea preparazione musicale. E, infatti, Delphine Galou, seppur non dotata di mezzi eclatanti, risulta inappuntabile nell'eleganza con cui articola la linea delle arie di Giustino, nell'abbandono pastorale quasi ipnotico come nell'esultanza irridente del trionfo. Emőke Baráth presta aristocratica lucentezza all'imperatrice Arianna, mentre Veronica Cangemi, Leocasta, ha mezzi meno freschi per rispondere all'incalzare delle colorature vivaldiane, benché musicalità e intenzioni ne confermino la classe nei pazzi più patetici o graziosi. Silke Gäng è un contralto di colore chiaro e nobilmente espressivo per l'imperatore Anastasio, esattamente come Arianna Vendittelli sembra divertirsi nel far brillare la pungente ambizione dell'usurpatore Amanzio. L'unico contraltista della compagnia è, forse ironicamente, interprete di quell'Andronico che per buona parte dell'opera veste i panni dell'ancella Flavia: Alessandro Giangrande, efficace nel registro contraltile, si traveste anche vocalmente e, questa volta spavaldo tenore, sostiene anche la parte di Polidarte. Un gioco decisamente ben riuscito. Solo tenore è, invece, Emiliano Gonzalez Toro, che offre un convincente ritratto di Vitaliano anche a onta di qualche suono nasale.

Rahel Maas, con timbro diafano e canto duttile, interpreta l'aria della Fortuna, mentre non è dato di sapere a chi appartenga la voce baritonale che, per poche ma fondamentali battute di recitativo, sorge dalla tomba di Vitaliano Seniore a decretare Giustino fratello perduto di Andronico e Vitaliano Junior.

Il libretto comprende, oltre al libretto e ai curricula degli interpreti, un'intervista a Ottavio Dantone, la presentazione del progetto discografico vivaldiano e un bel saggio di Reinhard Strohm, autore dell'edizione critica. Tutti i testi sono presentati in quattro lingue (italiano, inglese, francese e tedesco): un merito non indifferente, fra tanti, per l'etichetta parigina.