Gioachino canta con il suo pianoforte

 di Roberta Pedrotti

G. Rossini

Arie da camera

Maxim Mironov, tenore

Richard Barker, pianoforte

CD Illiria, 2018

Si sarà anche definito pianista di quarta classe, ma la sua produzione cameristica è di primissimo livello e rivela tutta l'essenza musicale di Rossini nell'intimità del rapporto con la tastiera. A Parigi, soprattutto da quando si allontana dal teatro e si dedica a un'attività talmente privata da convogliare le attenzioni di tutti gli intellettuali di passaggio nella capitale, il Pesarese ha modo di approfondire la conoscenza di uno strumento in continua evoluzione tecnica, di concedere la sua preferenza e la sua amicizia alla casa Pleyel. La concorrente Erard, d'altra parte, garantiva la potenza e il virtuosismo appariscente per le sale da concerto, mentre Pleyel privilegiava le più morbide sfumature cantabili: insomma, si sposava all'ideale del “cantar che nell'anima si sente” imperante nel salotto rossiniano.

Dopo un primo album dedicato a Bellini con arie da camera accompagnate da pianoforti d'epoca [La ricordanza, leggi la recensione], nel centocinquantesimo dalla morte di Rossini Maxim Mironov e Richard Barker non potevano non regalarci un bis nel nome di Gioachino e di un Pleyel d'epoca in tutto simile a quello posseduto dal compositore.

Il giovane russo ci ricorda così che tenore e intelligente non costituiscono per forza un ossimoro: lo dice lo spirito con cui declina le sfumature dell'inquieta musa rossiniana, quasi indifesa senza maschere teatrali e luci della ribalta a dissimularne ambiguità e contraddizioni con il disincanto. La chanson du bébé, zeppa di allusioni a Offenbach, non è solo un divertissement buffonesco, è sicuramente un gioco sfacciato, ma che cela sottotesti più fini e profondi, compresa una sorta di autoironia sfrontata e un po' amara. La complicità fra la voce e il pianoforte aiuta a sviluppare tutte le ambigue sfumature di questo Rossini salottiero, il suo umore mutevole, sulfureo, brillante, melanconico, perfino catatonico nelle arie su una sola nota. Lo strumento di Mironov entra in sintonia con il colore e gli armonici del Pleyel e addirittura stupisce chi associ il tenore russo a un canto contraltino: il timbro si fa naturalmente più brunito, dà corpo al registro grave e centrale, ma sempre nella classica levigatura del legato, di un canto perfettamente articolato nel senso e nella comprensibilità del testo. Vien da chiedersi quanti madrelingua sappiano dar vita alla poesia musicale in italiano o in francese come Maxim Mironov; di certo, soppesa questo repertorio con l'impegno e il gusto che merita: non un eccesso melodrammatico, non una nota presa alla leggera, non un dettaglio trascurato, né tantomeno imbolsito dalla maniera. Si ascolti la naturalezza con cui ammicca all'ebbrezza in musica nell'Orgia, l'eleganza che non prosciuga il succo saporito della Danza, ma anche l'ispirazione autentica infusa nelle arie amorose e malinconiche, la nobile disperazione di Romèo, l'abbandono immoto nei pensieri di morte.

Il confine fra verità e ironia, al di là da ogni tentazione bozzettistica anche nel quadretto del Fanciullo smarrito, è amministrato con sapienza grazie a una musicalità limpidissima, che non spreca nessun segno rossiniano, dipanandone piuttosto la necessità, la perfetta consequenzialità. Allora prende vita anche un sapido gioco di rubati, accenti e colori fra il tenore e il Pleyel suonato da Richard Barker con rara sensibilità alle ragioni del canto e della poetica rossiniana (si pensi a come non si sprechi una nota ad avvolgere e sostenere la voce dell'Esule). È un vero e proprio duetto, il loro, in piena comunione d'intenti, tutto al servizio di Rossini.

Chiude la racconta il saluto dello stesso compositore ai viennesi dopo i successi della tournée del 1822. Un pezzo d'occasione, come tanti ne aveva e ne avrebbe scritti, magari anche retorico e ironico, ma nel suo pullulare di luoghi comuni rossiniani (per tutti, il “crescendo di sospiri”), di gesti vocali tipici della sua scrittura fa qualcosa di più che giocare sullo stereotipo: ci ricorda che nella sua scrittura belcantistica, in ogni minuzia solo apparentemente decorativa o compiacente, è l'anima di Rossini, la sua anima ambigua e sfuggente, molteplice e profonda, tanto in evidenza in queste pagine dense e delicate.

Una vera perla discografica, per la quale val la pena segnalare l'esistenza di un'altra perla che rischia di passar inosservata: il libretto con testi, alcuni spartiti (Amori scendete (Beltà crudele) è nella revisione degli stessi Mironov e Barker), approfondimenti dettagliati per alcuni brani è disponibile on line (https://www.illiria.de/questoerossini) in sei lingue. La benedizione della Fondazione di Rossini, testi di Reto Müller, materiali messi a disposizione da Sergio Ragni, Michael Aspinall fra i traduttori: un parterre che parla da solo.