Labirinto di specchi

di Roberta Pedrotti

Reimagining Opera

Dario Savino Doronzo flicorno

Pietro Gallo pianoforte

Michel Godard serpentone

arrangiamenti di Dario Savino Doronzo e Pietro Gallo (con M. Paternoster e G. Giannatempo)

CD Digressione, DCTT96, 2019

Molto, molto prima che nascesse il jazz, la tecnica dell'improvvisazione era già patrimonio fondamentale d'ogni virtuoso di canto o strumento degno di questo nome. E che si trattasse di contrafacta, di contrappunti o variazioni sull'aria, di reminescenze o fantasie, la rielaborazione di temi preesistenti non è una novità del XX secolo. Nel caso dell'opera, poi, il gioco talora altissimo (basti pensare alle parafrasi di Liszt) ha una motivazione pratica quando – in assenza di tecnologie di registrazione e riproduzione – risulta una delle pochissime occasioni per riascoltare i brani favoriti nel proprio salotto. Oggi, però, è cambiato tutto. L'opera vive in teatro, ma la possiamo rivedere e riascoltare all'infinito in innumerevoli interpretazioni con CD, DVD, file digitali, piattaforme web. Non c'è più bisogno di ricercare l'aria preferita sul pianoforte di casa (per chi l'avesse).

Allora, cambia anche il gioco delle parafrasi, diventa un po' un labirito, un po' un nascondino, fra mascheramenti, ammiccamenti, allusioni. Lo si avverte subito con il pezzo d'apertura di questo album (dal titolo assai operistico, Ouverture), un omaggio all'Otello (ma nella lista delle tracce si evoca il nome di Verdi, nelle note di copertina quello di Shakespeare, quasi a lasciare all'ascoltatore l'esplorazione dell'enigma) privo ci citazioni esplicite ed evidenti, ma che si avvolge in climi notturni che ricordano la discesa in mare della “Pleiade ardente” o lo sfumare tragico nel nulla di “un bacio... un bacio ancora... un altro bacio...”. Allusioni sfuggenti, in un sinuoso duetto in cui pianoforte e flicorno evocano l'abbraccio languido fra amore e morte.

Altrove, la riconoscibilità evidente del tema si apre ad altri richiami, come nella scelta dell'arietta “Se tu m'ami”, che già Stravinskij, credendola di Pergolesi, aveva riarrangiato nel suo Pulcinella, o in “Nessun dorma”, in cui l'enunciazione dell'incipit celeberrimo si scioglie poi in un solo pianistico libero, ma ciclicamente riagganciato a frammenti melodici o intervalli caratteristici dello standard pucciniano, rimanendo più nel clima notturno, fra melodia accattivante ed esotismo à la Debussy, che trionfale. “Nel cor più non mi sento” dalla Molinara di Paisiello, invece, guizza più elastica nel suo gioco ritmico e nei contrasti d'umore rimpallati fra flicorno e pianoforte, che già avevano duettato scambiando il lavorìo nelle linee melodiche dell'Intermezzo di Cavalleria rusticana.

Dario Savino Doronzo al flicorno e Pietro Gallo al piano suonano, d'altra parte, davvero bene. La fluida articolazione ritmica si fonde con la piena padronanza di un'ampia tavolozza trimbrica che senz'altro giova all'idea centrale del Cd, un incontro fra il lirismo “all'italiana”, identificato sotto il vessillo dell'opera ma esteso anche a madrigale e romanza da camera, e un jazz contemporaneo di formazione classica.

Per l'ultimo brano e unico non arrangiato dai due interpreti principali, poi, si aggiunge un ospite d'onore, Michel Godard, che imbraccia un serpentone di suggestione barocca per il suo Fruccia d'ali ispirato al sensualissimo duetto “Pur ti miro, pur ti godo” dall'Incoronazione di Poppea. Una suggestione iniziale dall'incipit scatena l'intreccio dei fiati, facendo apprezzare ancor più la scelta degli strumenti, fra fusioni e contrasti timbrici, incontri, botta e risposta. Ancora un gioco di specchi che si rinnova e s'intreccia da un'ispirazione lontana che non smette d'essere vitale, nascondendosi e riemergendo in mille forme.