Il primo lume dei violinisti

di Roberta Pedrotti

C.A. Lonati

Sinfonie

ensemble Giardino di Delizie

registrazione effettuata nel dicembre 2017

2 CD Brilliant 2019, 95590

Vissuto a cavallo fra il XVII e il XVIII secolo (le date approssimative sono 1645-1712), a Roma era soprannominato "il gobbo della Regina" per la sua struttura fisica e per il rapporto con Cristina di Svezia, la sovrana che si convertì al cattolicesimo, abdicò al trono e finì i suoi giorni nell'Urbe come impareggiabile mecenate. Carlo Ambrogio Lonati fu un personaggio di un certo spicco nel panorama musicale del suo tempo, compositore, ma anche impresario e anche cantante che sulle scene operistiche sfruttava la cifosi caratterizzando buffi servitori e poteva perfino esibire le sue doti di virtuoso del violino. Era nato a Milano, visse a Napoli, Roma, Genova, Mantova, senza trascurare puntate all'estero, sicuramente Londra, probabilmente Madrid. 

"Gobbo della regina" e "Gobbo del violino", di musica vocale, comprese opere e oratori, ne scrisse parecchia, ma è per lo strumento soprattutto che venne ricordato, se ancora nel 1760 Francesco Maria Veracini nel trattato Il trionfo della pratica musicale lo definì “il primo lume dei violinisti”, se Geminiani è considerato suo allievo e lo stesso Corelli potrebbe alludere a lui quando scrive dei "più valorosi Professori musici di Roma" grazie ai quali si sarebbe perfezionato. Eppure, della musica strumentale italiana e soprattutto romana antecedente a Corelli ci si occupa poco, fuori da ristrette cerchie specialistiche. Così, quel fervido ambiente di cui Lonati fu esponente di spicco e nel quale Corelli stesso si formò rischia di rimanere nell'ombra di qualche elenco d'archivio, di qualche paragrafo accademico. Ed è un peccato.

Provate ad ascoltare queste dieci Sonate a tre, le sue sinfonie che, con le dodici per violino solo e continuo, costituiscono il corpus strumentale - quantomeno quello superstite - di Lonati. Quest'incisione del Giardino di Delizie, sofisticato ensemble femminile italo-polacco, è un'occasione ghiotta per apprezzare appieno la ricchezza contrappuntistica della scrittura unita alla capacità non comune di distendere la trama erudita anche nel respiro melodico o nello slancio virtuosistico, sicché l'indubbia densità e ricercatezza diventa il veicolo di una brillantezza ben fondata e mai fine a se stessa, di un'articolazione dinamica ben calibrata nell'ispirazione cantabile. Si riconosce il preciso disegno teorico unito a una padronanza dello strumento che ne delinea le caratteristiche idiomatiche. 

Ewa Anna Augustynowicz, direttrice artistica, si alterna con Katarzyna Solecka come primo violino, Cristina Vidoni suona il violoncello e Diana Fazzini la viola da gamba mentre Lucia Adelaide di Nicola siede al cembalo e all'organo. Si tratta, dunque, di esecuzioni a parti reali. La leggerezza, la chiarezza, l'agilità dell'organico essenziale si sposano però qui con una morbidezza, una rotondità di suono che non è sempre facile riscontrare e che avvince e ammalia. Restituisce il prezioso contrappunto di Lonati, il gioco delle parti, le tensioni e le risoluzioni, ma in questi anche il colore, il chiaroscuro, il fascino dello strumento e lo slancio espressivo. Non dimentichiamo che Cristina di Svezia, alla cui ombra nacquero con ogni probabilità queste sonate, fu promotrice della nascita dell'Accademia d'Arcadia, di un richiamo, fondato sulla ragione, all'affetto rispetto all'effetto. E la ragione, l'affetto, si collocano in piena età barocca, nello sfolgorante Seicento romano, epoca di chiaroscuri, prospettive vertiginose, linee e composizioni sorprendenti, teatralità diffusa in ogni arte. Questa è la cifra che riconosciamo netta nel fraseggio e nella fisicità del suono impressi dall'ensemble a un'esecuzione scrupolosissima, a un bell'amalgama limpido e affinato. Quale miglior viatico per un repertorio ancora in larga parte da scoprire?