È La rondine uno strano augello

 di Joseph Calanca

 

Vola anche al Teatro Verdi di Pisa La Rondine coprodotta con il Teatro del Giglio del Lucca, il Teatro Goldoni di Livorno, il Teatro Pavarotti di Modena e il Teatro Alighieri di Ravenna. Un’esemplare comunione di forze che riesce solo in parte a restituire piena dignità alla malinconica commedia di Giacomo Puccini.

PISA, 17 gennaio 2015 - I fatti sono noti: nell’ottobre 1913 Giacomo Puccini è a Vienna per seguire le prove della Fanciulla del West. Qui riceve dai dirigenti del Carltheater (sala per la quale furono creati celebri lavori come Boccaccio di Franz von Suppé e Wiener Blut di Johann Strauss II e oggi non più esistente a causa di un irrimediabile bombardamento durante il Secondo Conflitto Mondiale) la commissione di un’operetta. Il compositore, dubbioso sul soggetto proposto e disorientato da un genere musicale che prevede nette cesure tra canto e recitazione, rifiuta con sdegno: “Io, operetta non la farò mai!”. Ma la somma in gioco è enorme e Puccini, probabilmente anche felice di potersi finalmente misurare con un mondo in cui non erano ammesse tragiche morti e pianti inconsolabili, alla fine cede. Il lavoro non procede facilmente e, scrivendo a Giuseppe Adami incaricato di tradurre e modificare il libretto approntato in tedesco da Maria Willner e Heinz Reichert, arriva a definire il suo nuovo lavoro “una solenne porcheria”. Divampa nel frattempo la Grande Guerra e la prima rappresentazione viene spostata in territorio neutrale, all’Opéra di Montecarlo. Quella che va in scena il 29 marzo 1917 non è però un’operetta ma una vera e propria commedia lirica (come L’Amico Fritz e Falstaff, per citare le più note) molto più affine nel suo ininterrotto fluire musicale alla sensibilità di Puccini. La soddisfazione, nonostante un vivo successo, resta comunque lontana e il compositore continua a lavorare, approntando una seconda versione (rappresentata finalmente a Vienna nel 1920 in tedesco) e una terza, mai andata in scena e prevista per Montecarlo. I più vistosi cambiamenti si concentrano nel terzo atto e sembrano voler motivare ulteriormente lo scioglimento della vicenda e forse giustificare l’innegabile superficialità della protagonista. Credo che proprio qui, in questo zoppicante soggetto da Traviata edulcorata, possa in fondo risiedere il più evidente limite al successo di questo titolo che, nonostante un intenso ritorno in scena degli ultimi anni (ricordo Torre del Lago e San Francisco nel 2007, Venezia e Trieste nel 2008, New York e Bologna nel 2009, Londra nel 2013), fatica a conquistare l’affetto del grande pubblico.

Questo spettacolo, creato dal Teatro del Giglio di Lucca nel 2008 per festeggiare il 150° anniversario della nascita del più illustre operista cittadino, dimostra una reverenziale ubbidienza nei confronti del libretto. La controllata regia di Gino Zampieri, che posticipa la vicenda dal Secondo Impero agli anni Venti del Novecento, rispettando quindi le successive indicazioni dello stesso compositore che suggeriva “di lasciar da parte l’odiosa crinolina e rimettere l’opera in veste moderna stilizzata”, si avvale delle accurate scene e dei piacevoli costumi di Rosanna Monti. Bello è il salotto liberty del primo atto, in cui abbondano le decorazioni fitomorfe tipiche del gusto liberty e suggestivo è il padiglione sulla spiaggia del terzo atto, con le sue tende mosse della brezza marina.

Ascoltando l’Orchestra della Toscana diretta da Massimiliano Stefanelli non può non tornare in mente la profetica precisazione di Giacomo Puccini: “è opera leggera a tinte tenui, e le orchestre hanno sempre appesantito tutto”. Dalla buca del Teatro pisano, nonostante un organico di ridotte dimensioni rispetto ad altre opere del Lucchese, sale infatti un suono greve e tonante a cui ben poco beneficia la scelta di dilatare liricamente i tempi e che costringe chi si muove sul palcoscenico a cantare quasi sempre in forte. Esempio calzante è il Prunier di Andrea Giovannini, valente tenore e ottimo caratterista ma, per quanto appena detto, obbligato troppo spesso a “spingere” per passare l’imponente muro orchestrale.

Maria Luigia Borsi, veterana pucciniana e già protagonista della Rondine in non poche occasioni, è una Magda sempre partecipe e scenicamente molto credibile. La voce però dimostra, fin dalla struggente aria del primo atto, vistosi segni di affaticamento a cui si vanno aggiunti, spiace segnalarlo, suoni fissi e gravi innaturalmente gonfiati. Risalta al suo fianco il canto sempre squillante, anche negli eterei pianissimi, della deliziosa Lavinia Bini, pepata Lisette. Leonardo Caimi, new entry in questa produzione, è un Ruggero degno rappresentante della folta schiera di tenori dalla maschia presenza e dal canto un po’ brado, ma comunque adatto nell’esprimere tutta la sincera passionalità del ragazzotto di Montauban mai stato nella sfavillante Parigi e per la prima volta alle prese con le disillusioni dell’amore. A fianco dell’elegante Rambaldo di Francesco Verna completano il cast Andrea Zaupa nel doppio ruolo di Perichaud e Rabonnier, Marco Voleri (Gobin), Alessandro Calamai (Crebillon), Mirella Di Vita (Yvette), Alessandra Meozzi (Bianca), Chiara Brunello (Suzy) e Alessandro Bilott (Un maggiordomo).

Foto Giulia Ponti