Sette personaggi in cerca d’autore

 di Joseph Calanca

 

Un allestimento semplice e funzionale per inaugurare la stagione lirica 2015 del Teatro Comunale Claudio Abbado e per salutare festosamente il ritorno, dopo ventotto anni di assenza, del Turco in Italia a Ferrara.

Come accade a certi bambini taciturni, soverchiati dall’esuberanza di prorompenti fratelli, così Il Turco in Italia per anni è vissuto all'ombra dell’incessante successo della maggiore Italiana in Algeri e del più giovane Barbiere di Siviglia. Già la prima scaligera del 1814, nonostante vantasse la presenza di fuoriclasse come il basso Filippo Galli e il tenore Giovanni David, non ottenne esiti memorabili. A pochi giorni dal debutto era corsa voce che la nuova fatica del ventiduenne compositore fosse un pastiche riciclato dal precedente dramma giocoso di tema esotico e probabilmente il pubblico milanese entrò in sala già ostile e prevenuto. Secondo qualche studioso, un'altra causa dell’insuccesso può essere addebitata al temperamento donato da Felice Romani alla sua capricciosa protagonista. Il libretto è una rielaborazione di quello scritto da Caterino Mazzolà per un’opera di Franz Seydelmann andata in scena a Dresda nel 1788; se Oltralpe la leggera volubilità di Fiorilla poteva sortire effetti comici, le Italiane avrebbero invece avuto di che offendersi (per quanto a quest’altezza storica appaia piuttosto anacronistico parlare di patriottismo). In fondo però la causa fondamentale di questa scarsa fortuna, durata almeno fino alle recite romane e alla successiva incisione discografica firmata dal duo Callas/Gavazzeni nel 1950 e nel ’54, è nel carattere stesso della testo: opera buffa in cui alla comicità schietta e solare si sostituisce un umorismo più sottile e raffinato. Si è passati, per citare Alberto Zedda, “dal riso al sorriso”.

L’aspetto più moderno di questo testo ambiguo sta nel potente gioco metateatrale: un poeta (ma potremmo dire librettista) in cerca di un argomento per un nuovo dramma buffo finisce per diventare protagonista della sua stessa creazione. Impossibile non scorgere un’anticipazione della poetica di Luigi Pirandello, ulteriormente ribadita in questa produzione: Lorenzo Regazzo (Prosdocimo) legge, con riprovevole atteggiamento antifilologico e scarso effetto comico, un brano dal saggio L’umorismo. È comunque un deus ex machina di gran lusso quello tratteggiato dal basso veneziano che, dopo avere in precedenza affrontato il ruolo di Selim, ora si rivolge con spavalda sicurezza e intelligente arte scenica alla parte del Poeta, qui occhialuto intellettuale, con dolcevita e moleskine.

Il nuovo allestimento ferrarese, firmato da Federico Bertolani in collaborazione con Teatri e Umanesimo Latino, società gestrice del Teatro Comunale di Treviso, e con un ulteriore contributo da parte dell’Opéra-Théâtre de Metz Métropole e della Fondazione Teatri di Piacenza, posticipa infatti l’azione agli anni Cinquanta del Novecento, immergendola in una colorata atmosfera da “commedia all’italiana”. Una scenografia minimanale ideata da Giulia Zucchetta, illuminata a tinte sgargianti da Roberto Gritti e realizzata, così come i costumi di Federica Miani, dall’Accademia di Belle Arti di Venezia che definisce gli spazi con pochi e simbolici elementi. Un po’ come nel teatro shakespeariano delle origini, la splendida capitale borbonica è per esempio evocata da toponimi scritti su semplici pannelli bianchi: Stazione Marittima, Piazza Plebiscito, Mergellina.

Abbigliato come Alberto Sordi nel felliniano Sceicco bianco, il croato Marko Mimica è un prestante Selim dall’occhio ceruleo e dalla calda voce sensuale anche se, probabilmente a causa della giovane età, l’interpretazione risulta leggermente generica. È invece pienamente convincente Cinzia Forte (Donna Fiorilla), nonostante qualche incertezza nelle tante quartine di cui è farcita la parte. Rossa come Rita Hayworth e intraprendente come un personaggio di Sophia Loren, canta sempre con estrema musicalità, regalando variazioni magari non funamboliche ma comunque di ottimo gusto. Assieme a Giulio Mastrototaro, tonante e divertente Don Geronio, firma il momento più riuscito della serata: lo spassoso duetto “Per piacere alla signora”, ambientato tra i tanti lenzuoli stesi al sole di una terrazza napoletana. Mentre David Alegret (Don Narciso) finisce per essere notato più per l’inerzia scenica ed espressiva che per la facilità con cui, dotato invero di voce particolarmente esile, sale al registro acuto, Cecilia Montanari, anche se annunciata lievemente indisposta, ridona a Zaida il ruolo di degna rivale della primadonna. Non troppo soddisfacente la prova del Coro Lirico Amadeus, spesso scollegato dall’Orchestra Città di Ferrara, diretta da Francesco Ommasini con interessanti variazioni dinamiche. Il direttore veneziano ha inoltre l’enorme pregio di aver scelto di eseguire un’edizione pressoché integrale. Per una volta infatti, oltre alla sortita di Don Narciso “Un vago sembiante”, è stato possibile ascoltare l’aria di Albazar “Ah! Sarebbe troppo dolce”, qui cantata dallo squillante Pietro Adaini, tra i più applauditi dal festante pubblico ferrarese, assieme a Cinzia Forte, Lorenzo Regazzo e Giulio Mastrototaro.