L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Classica fedeltà

 di Emanuele Dominioni

Allestimento tradizionale, concertazione apollinea e un cast di riconosciute certezze del panorama mozartiano e belcantista. Così il Regio di Torino ripropone Le nozze di Figaro sulle sue scene.

TORINO, 22 febbraio 2015 - Nella scelta di un soggetto scottante e innovativo come quello esposto nel Mariage de Figaro di Beaumarchais, Mozart e Da Ponte dovevano aver ben presente da un lato la complessità narrativa dell'intreccio, dall'altro la sorprendente e irrinunciabile possibilità che la commedia traeva seco di investigare l'animo umano nelle sue diverse e contrastanti sfaccettature.

Senza dubbio la rappresentazione dell'elemento erotico emerge come punto cardine e strutturale della psiche di tutti i personaggi - non solo dei protagonisti - e ne alimenta in modo iperbolico l'intero agire. Se il nodo chiave della vicenda sono appunto le nozze di Figaro cui si contrappongono i desideri e le pulsioni sessuali del conte d'Almaviva verso Susanna, comprendiamo appieno l'entità e l'importanza cruciale della sfera amorosa nell'opera.

Parallelamente, è innegabile e palese che i contrasti personali (o amorosi) attorno cui ruota la vicenda siano in primo luogo contrasti di natura sociale. Non per nulla le molte riserve da parte della censura dell'epoca verso questo soggetto nascevano soprattutto in relazione al carattere di denuncia e irrisione presenti in modo a dir poco eminente nella commedia di Beaumarchais. È grazie soprattutto alla genialità  di Mozart che la complessa commedia d'intrigo e le esigenze di dinamismo e rapidità della drammaturgia moderna riuscirono a trovare perfetta e funzionale sintesi.

In questo senso la regia di Elena Barbalich rimane complessivamente fedele alla partitura. In un contesto di stampo assolutamente tradizionale e monocromatico, ciò che cattura e muove la curiosità dello spettatore è il gioco frizzante, dinamico ed elegante fra i protagonisti. Nella perfetta macchina scenica ricreata dalla Barbalich, cogliamo appieno le sfumature psicologiche insite nella complessa drammaturgia mozartiana grazie allo sfavillante talento interpretativo dei cantanti e a un disegno registico mai ridondante o manieristico.

Alle poche aggiunte a livello scenico che la regista mette in campo (alcuni servitori e dei bambini, presumibilmente figli della coppia nobile) si affianca ed emerge il perfetto gioco di luci ricreato da Giuseppe Ruggiero, capace di plasmare, sia pur in una cornice scenografica classica, ambienti e scorci visivi invero molto suggestivi.

Solo il quarto atto (privato delle due arie di Marcellina e Basilio) ha risentito di più della già citata fissità di apparati scenici, per il quale avremmo gradito qualche idea leggermente più ardita volta a mettere in risalto l'azione. Bellissimi e di pregiata fattura sono anche i costumi di Tommaso Lagattolla, capaci di restituirci visivamente un gioco cromatico sempre vivo e assai mobile.  

Nel cast selezionato per questa produzione troviamo grandi voci mozartiane fra le più note nel panorama lirico italiano del momento.

A vestire i panni di Figaro è Mirco Palazzi, basso già apprezzato a Torino nel Guglielmo Tell della passata stagione. La vocalità salda e insieme flessibile del basso riminese gli permette di risolvere appieno alle esigenze della parte, disegnando un Figaro astuto e tenace. La liricità del timbro lo pone idealmente a fianco dei grandi bassi del passato che si sono accostati al ruolo, facendone un banco di prova per tutti i cantanti di questa corda.                           

Susanna era Ekaterina Bakanova, soprano russo che abbiamo già ammirato in passato nei panni di Lucia di Lammermoor e che ritroviamo qui in grande spolvero. La voce è luminosa e pregnante, e riesce a rispondere magistralmente al fraseggio dinamico e sempre cangiante della parte. Nell'aria del quarto atto, seppur cantata da manuale, avremmo gradito tuttavia maggiori chiaroscuri, laddove l'estasi lirica del brano ne avrebbe solo giovato.

Vito Priante sostituiva Ildebrando D'Arcangelo come Conte d'Almaviva. La presenza scenica elegante e imponente, e la qualità dello strumento dal colore e linea tipicamente mozartiani hanno compensato appieno alla mancanza del peso vocale avvertita quà e là durante l'opera, e soprattutto nella grande aria del terzo atto. Priante si conferma comunque cantante sopraffino e di grande mestiere nell'arte di porgere la parola e nel fraseggio molto curato.

Accanto a lui troviamo Carmela Remigio. Soprano lirico di cui sono universalmente noti i meriti artistici e la carriera internazionale, la Remigio si riconferma qui una Contessa a tutto tondo e di grande pregio. La voce che in alcuni punti cruciali della scrittura ha forse perso in armonici e volume,  ritrova però rotondità e calore costanti. Il fraseggio curatissimo e sempre partecipe e la figura scenica perfettamente calzante si riconfermano doti precipue della cantante.

Grande apprezzamento di pubblico ha ottenuto la performance di Paola Gardina come Cherubino. Cantate che abbiamo potuto seguire fin dagli esordi nei panni del Romeo belliniano prodotto dall'Aslico, si conferma qui grande interprete e vocalista di ottima levatura. Scenicamente ha impersonato con grande credibilità e cura i panni del fanciullo innamorato alle prime armi; nondimeno le due celebri arie, cesellate con grande raffinatezza, le sono valse scrocianti applausi.

Di valore anche la prova di Abramo Rosalem come Bartolo, basso-baritono dagli accenti tonanti e dalla presenza scenica molto carismatica. Lo stesso dicasi per Alexandra Zabala come Marcellina e Arianna Vendittelli come Barbarina. Censurabile invece Bruno Lazzaretti come Basilio, la cui vocalità stentorea, rasente il parlato e ai limiti dell'intonazione ci è parsa del tutto fuori luogo rispetto al livello complessivo del cast.

Sul podio troviamo Yakata Sado. Il direttore giapponese da una lettura del capolavoro mozartiano dalle sonorità madreperlacee e apollinee e dai tratti narrativi più sinfonici che operistici. Se da un lato l'attenzione alla concertazione e al dettaglio timbrico sono parsi invero lodevoli, non sempre la scelta dei tempi ha giovato alle performance canore soprattutto del protagonista maschile. Il passo assai rilassato delle tre arie di Figaro infatti ha messo a dura prova Mirco Palazzi che ha scontato più di tutti queste scelte agogiche. Altrove (ad esempio in "Dove sono i ben momenti") l'effetto estatico prodotto dalla dilatazione dei tempi ha saputo creare momenti invero magici.

Prima dell'inizio della recita pomeridiana del 22 febbraio di cui riferiamo, è stato rispettato un minuto di silenzio in ricordo di Luca Ronconi, scomparso il giorno prima e assai noto al pubblico torinese.

foto Ramella Giannese


 

 

 
 
 

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