L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Sognare la realtà

 di Roberta Pedrotti

 

Nel cast si alternano soprano eponimo e primo tenore, ma la Jenůfa al Comunale si conferma uno degli spettacoli di punta della stagione e dei più riusciti degli ultimi anni.

Leggi la recensione della prima

BOLOGNA 18 aprile 2015 - Tanto di cappello al Comunale di Bologna, che in Jenůfa ci propone una di quelle produzioni che si apprezzano di più a ogni nuova visione.

Anche con un cast parzialmente rinnovato i risultati, infatti, non cambiano e si fanno apprezzare, per motivi diversi, sia la protagonista alternativa, Ira Bertman, sia il secondo Laca, Jan Vacik.

Come la Dankova, ascoltata alla prima, la Bertman è ottima attrice e interprete intensa. Se qualche durezza nei forti e negli acuti si può avvertire, tuttavia la resa vocale resta complessivamente efficace e coinvolgente, con momenti davvero suggestivi. Vacik sarà forse meno dotato naturalmente in saldezza e squillo del collega Gunnell, ma ha buon gusto musicale e intenzioni davvero apprezzabili. Soppesate tutte le possibili considerazioni, non si potrebbe davvero stabilire uno scarto qualitativo fra le due compagnie, promosse entrambe a pieni voti per l'impeccabile gioco di squadra al servizio del teatro e della musica, che lasciano scivolare in secondo piano eventuali limiti individuali.

Si conferma l'efficacia declamatoria e attoriale dello Števa di Ales Briscein, così come l'intensissima, intelligente prova di Angeles Blancas Gulin, impegnata in un autentico tour de force con sei recite in sette giorni nei panni della Kostelnička, ruolo in cui appare convincente e coinvolgente come non mai.

Ribadita l'impressione positiva anche sul nutrito gruppo di comprimari, con l'affettuosa Starenka di Gabriella Sborgi, il deciso mugnaio di Maurizio Leoni, il sindaco bonario di Luca Gallo, il guizzante Jano di Sandra Pastrana, la petulante Pastuchyna di Arianna Rinaldi con le pure brave Roberta Pozzer e Grazia Paolella. Perfette nel fraseggio, appropriato e piccante, ma vocalmente un po' più deboli si confermano Monica Minarelli (moglie del sindaco) e Leigh-Ann Allen (Karolka). Sempre puntuale il coro.

Se tutto funziona così bene e si fa apprezzare sempre più, allettando il gusto di delibare ogni dettaglio con visioni e ascolti che approfondiscano l'impatto già assai positivo della prima, lo si deve soprattutto alla messa in scena di Alvis Hermanis e alla direzione di Juraj Valčuha.

Non si può che lodare l'intelligenza di una visione teatrale pensata in ogni dettaglio, curatissima nelle scelte estetiche, ricca di simboli e sfumature, profonda, perturbante, accattivante, sì da non sfumare, bensì acquistare ulteriore valore alla seconda visione. Con Hermanis, anche scenografo, non possiamo non rinnovare le lodi per tutti i suoi collaboratori, a partire dalla coreografa Alla Sigalova (e da Anais van Eycken che ha ripreso il suo lavoro): non ci si stancherebbe mai di osservare i moti delle danzatrici, sorta di scenografia umana, radicata nelle più antiche origini del teatro, ora figurativa, a rappresentare le macine del mulino o i flutti del fiume, ora psicologica, corale, eminentemente musicale. Significative e astratte insieme. Così, splendide le luci di Gleb Filshtinsky, perfetti nella fantasia e nel realismo i costumi di Anna Watkins e i video di Ineta Sipunova. Inutile dirlo, l'apporto drammaturgico di Christian Longchamp è determinante, chiaro e profondo: talora in Italia si sostiene che il dramaturg sia figura superflua, ma, in fondo, un tempo si diceva lo stesso di registi e direttori, mentre tutto dipende dal valore del loro lavoro. Se uno spettacolo è riuscito come questo, ben vengano tutte le figure che l'hanno reso tale.

Allo stesso modo non si può non confermare il valore della bacchetta di Juraj Valčuha, non ci si può non compiacere delle sfaccettature di una concertazione così sobria e pure ricca, così intimamente partecipe dello spirito della partitura. Respiriamo un'atmosfera brumosa, caliginosa, allucinata, che sembra inghiottirci più ci avventuriamo, ad ogni ascolto, nel suo mondo. Trasmette il dramma reale del secondo atto come la finzione inquietante del primo e del terzo, conferisce sempre unitarietà allo spettacolo pur rispecchiando le due facce teatrali che lo rendono così affascinante. E più si ascolta l'Orchestra del Comunale suonare in questo modo, più si sorride di soddisfazione.

E la soddisfazione è al colmo anche constatando la confortante partecipazione del pubblico alla seconda recita (turno C) sia in termini di quantità sia di qualità, con applausi calorosissimi al termine e saluti festosi a Valčuha all'inizio del terzo atto.

Se un unico difetto si può trovare, si consiglierebbe in futuro di mantenere un'omogeneità di grafie e traduzioni per quanto concerne i personaggi in locandina e nel programma di sala (nel quale, purtroppo, manca il testo originale). Il consiglio vale anche da augurio perché Jenůfa segni un più assiduo ritorno dell'opera slava a Bologna, dove, ai tempi in cui Vladimi Jurowski era direttore ospite, applaudimmo memorabili produzioni di Čajkovskij, Rimskij-Korsakov, Smetana.


 

 

 
 
 

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