Il trionfo di Anna

 di Andrea R. G. Pedrotti

Trionfa Anna Netrebko, protagonista, ma trionfa in tutto il suo splendore soprattutto l'Anna Bolena di Donizetti e Romani grazie a una produzione eccezionale che, con la diva russa, vede un Celso Albelo in forma straordinaria, un cast nel complesso ottimo, masse artistiche ai massimi livelli internazionali e un allestimento di qualità.

VIENNA, 17 aprile 2015 - Non sempre il venerdì 17 porta male, poiché proprio in questa giornata abbiamo avuto il piacere e l'onore di assistere a un'indimenticabile produzione di Anna Bolena. Non è stato, tuttavia, solo il trionfo di Anna - Bolena o Netrebko che sia -, ma il trionfo di un'intera produzione, di un pubblico e di un teatro, che, come sempre, si dimostra passionale e dedito all'eccellenza, caratterizzato dall'intramontabile Wiener Blut; quel sangue viennese che, oltre al titolo a un'operetta e a un celebre waltzer di Johann Strauss jr, tanto ha saputo dare al panorama culturale internazionale e tanto continua a dare ancor oggi. Pubblico, come s'è detto, calorosamente ordinato, felice di esser stato scaldato in una serata gelida, come quella mitteleuropea del 17 aprile.

Anna Bolena, sposa di Enrico VIII e madre della grande Elisabetta I, colei che seppe fare grandissima la sua patria, proprio in contrapposizione alla casata degli Asburgo, discendenti di Carlo V, i quali ebbero l'apice del proprio splendore, nella città che ci ospitava. In questo c'è un triplice anello di congiunzione: il nome Anna. Infatti tale appellativo fu difussissimo a Vienna fra le nobildonne e le regine, le dame borghesi e il popolo. Anna in Inghilterra e in Austria, ma non solo. Anna (Netrebko, in questo caso) partì dalla vecchia Unione Sovietica, per giungere trionfante nella patria di Gustav Klimt, come Anna di tutte le Russie. Non è sempre corretto insistere così sulla personificazione di uno spettacolo, ma, in questo caso, ci troviamo innanzi a una delle più grandi artiste di tutti tempi, la quale non può che meritare un posto d'onore nel nostro scritto.

La produzione era quella nota, già vista più volte alla Wiener Staatsoper, tuttavia caratterizzata dal ritorno nel ruolo eponimo della diva per eccellenza dei nostri giorni: Anna Netrebko. La regia è estremamente semplice e tradizionale, con costumi bellissimi, perfettamente conformi all'epoca storica, insiste interamente sull'oppressione di tinte scure, quali sfumature di blu e azzurro, con l'unico vero elemento di rilucente colore in un lampadario di cristallo appeso nelle stanze della regina d'Inghilterra. Delle semplici pareti mobili, creano gli ambienti necessari, dalla sala del trono, alle prigioni, fino al patibolo della sposa del re. I movimenti di regia sono appropriatamente misurati e consoni al dramma. L'arresto della Bolena, ma soprattutto la scena delle carceri del secondo atto, con un gioco di luci mirabile, e l'apparizione della piccola Elisabetta, sono i momenti più toccanti ed emotivi di tutto lo spettacolo. Spettacolo nel vero senso del termine.

Nessuna pecca nella compagnia di canto, con dei picchi di eccellenza nei due interpreti di Anna e Riccardo.

Come Enrico VIII, troviamo il bravo Luca Pisaroni, ben calato nella parte, regalmente fragile, come dovrebbe essere l'antico monarca Tudor. Forte e convinto regnate, ma anche circondato da donne, debolezze e consiglieri, pronti a volgerne il potere a proprio vantaggio. La voce di Pisaroni è calda, rotonda, omogenea e mai forzata. La figura del basso di orgini italiane è imponente e di ottima presenza. Discorso simile vale per Ekaterina Semenchuk, che raccoglieva la pesantissima eredità di Elina Garanča e Sonia Ganassi. La scorsa estate ascoltammo la Semenchuk nella Carmen areniana [leggi la recensione], esprimendo la curiosità di rivederla in un ruolo donizettiano. La speranza è stata esaudita e niente affatto delusa; infatti la cantante russa dimostra come sia proprio il compositore bergamasco l'autore più adatto alle suo corde, capace di farle sfoggiare il calore del timbro e l'ampiezza dello strumento vocale. Molto abile scenicmente è una credibile Giovanna Seymour, alla quale viene, saggiamente, schiarito solo di poco il colore dei capelli, per differenziare la tinta del suo crine da quello di Anna. Applauditissima, assieme alla Netrebko, nel duetto del secondo atto “Sul suo capo aggravi un Dio”.

Buona anche la prova di Dan Paul Dumitrescu (Lord Rochefort), che copre egregiamente il ruolo dell'incestuoso (per l'accusa) fratello della Bolena. Smeton era il giovane mezzosoprano Margarita Griskova. Visivamente risulta un personaggio molto credibile; solo nella cavatina “Ah, parea che per incanto” sicuramente migliorabile - pur non demeritando, nemmeno in quell'occasione. Il suono è bello e la voce corre sicura in tutta la sala.

Seppur in un piccolo ruolo, notiamo con piacere la prova di Carlos Osuna, come Sir Hervey.

Come d'obbligo il posto d'onore va ai due trionfatori della serata: Celso Albelo è un ottimo Lord Riccardo Percy, con sfumature, mezzevoci pregevoli e uno squillo - a tratti - impressionante. La facilità di emssione del tenore spagnolo lascia perennemente esterefatti per la perfetta proiezione.

A questo va ad aggiungersi un fraseggio curato ed espressivo, in tutti i dettagli psicologici del personaggio, non molti invero, ma certamente marcati con decisione dall'autore. Straordinaria la sua interpretazione della scena “Vivi tu, te ne scongiuro”, il cui esito non poteva essere altro che una meritatissima ovazione da parte del numeroso pubblico.

Infine Anna Netrebko, a pieno titolo la più grande cantante del mondo, è una protagonista perfetta, nata per stare sul palcoscenico. Ogni suo piccolo gesto è regale ed elegante, ogni accento imperfettibile. Il soprano russo è attrice mirabile, sia nel misurato gesto dell'allontanarsi dalla scena con la corte, dopo la cavatina “Come, innocente giovane”, sia nella scena della pazzia “Al dolce guidami”. Vocalmente nessuno può discutere la tecnica della Netrebko, che, nonostante il cambio di repertorio, rimane una delle più grandi Bolene dei nostri tempi e non solo. L'omogeneità dei registri è completa, così come il suono emesso senza sforzo. Tutti gli acuti sono perfettamente centrati e la proprietà di fraseggio indimenticabile. Si potrebbe pensare che la cabaletta “Coppia iniqua” sia il momento di maggior effetto, ma non riusciamo, nella prova di Anna Netrebko, a trovare un istante che superi gli altri, vista l'eccezionale continuità e il suo ineguagliabile magnetismo scenico, con il pubblico a tributarle un autentico tripudio, al termine dell'opera.

Ottima anche la direzione di Andriy Yurkevych, alla guida di una dei migliori compessi del mondo. Molto spesso, quando si parla di orchestre, si evidenzia come queste possano avere dei punti di forza, ma nel caso di quella della Wiener Staatsoper, non si può parlar d'altro se non di un insieme di punti di forza. Le sezioni hanno una qualità del suono unica, che non conosce il concetto di sbavatura. Il fraseggio musicale è splendido, tanto che verrebbe il desiderio di riscoltare all'infinito la non bellissima sinfonia di Anna Bolena. Ci sentiamo di fare il medesimo discorso per il coro del più importante teatro viennese, per suono ed espressione. Ovviamente questo vale sia per gli uomini, quanto per le donne. La pienezza musicale è degna di quella dei professori d'orchestra, in un connubio ineguagliabile. Il nostro convinto plauso va al Chorleitung Thomas Lang. L'esecuzione è aiutata nella sua realizzazione dall'acustica della Wiener Staatsoper, che permette una propagazione del suono pressocché perfetta. Peccato solo per qualche piccolo taglio di troppo, senza il quale avremmo goduto maggiormente il capolavoro donizettiano.

La regia era di Eric Génovèse, le scene di Jacques Gabel e Claire Sternberg, i costumi di Luisa Spinatelli e le luci di Bertrand Couderc.

Fa molta impressione vedere code interminabili per assistere a uno spettacolo lirico, maxischermi in piazza e la gente per le strade a conversare normalmente di musica con competenza e passione; passione che avvince in catarsi artistica tutto l'ordinato pubblico in sala, tanto compito nel prendere posto, quanto caloroso nel concedere ovazioni ai propri beniamini. Un pubblico bulimico di arte, che si reca a teatro con amore, senza pregiudizi o isterie di sorta.

foto Wiener Staatsoper / Michael Pöhn