Fuoco senza fiamma

 di Suzanne Daumann

 

Splendido l'allestimento di Robert Carsen per l'opera mozartiana all'Opéra di Parigi: chiaro, coerente, elegante e profondo. L'esecuzione musicale, pur pregevole, tarda però a prendere il volo e animarsi di autentico fuoco.

PARIGI, 30 aprile 2015 - Die Zauberflöte di Mozart è, malgrado il libretto un po' ampolloso, una delle opere più amate dal pubblico, da tutti i pubblici. Non c'è da stupirsi: il messaggio è universale e passa attraverso la musica.

Per questa coproduzione con il Festspielhaus Baden-Baden del 2014, Robert Carsen ha preso il partito del simbolismo della moderna psicologia come prosecuzione del simbolismo massonico. I suoi simboli (scene di Michael Levine) sono semplici, sobrie ed efficaci: sul fondo una video proiezione di una foresta di betulle in differenti stagioni, a rammentarci che il tema dell'opera è semplicemente la natura, la natura umana. Tobe aperte sulla scena parlano da sé e quando Tamino fa il suo ingresso uscendo da una di esse, si comprende subito che è appena nato, nato dalla morte, che vita e morte sono un tutt'uno. Logicamente il tempio delle prove del secondo atto è rappresentato da un sepolcro sparso di bare. I costumi di Petra Reinhardt rafforzano efficacemente l'intelligibilità della messa in scena: semplice abito bianco per Tamino, veste bianca per Pamina, entrambi a piedi nudi – innocenza, aspirazione alla luce. I sacerdoti sono altrettanto semplicemente in nero, come la Regina della Notte e le sue dame. Solo Papageno e più tardi Papagena si distaccano: niente piume per gli uccellatori – zaino, sacco a pelo, completo da allegri vagabondi illustrano desiderio di libertà, anticonformismo, una vita vicina agli elementi naturali, in breve, la parte terrena della vita umana.

Il colpo di genio, per me, è l'apparizione dei tre fanciulli, che riprendono di volta in volta i costumi degli uni e degli altri e si intuisce che tutti questi personaggi collegati altro non sono che volti dell'animo umano: Papageno e Papagena l'aspetto corporale, la sessualità, la fecondità; Sarastro e la Regina della notte dunque logicamente le forze esterne che ci guidano; e, quel che soprattutto mi ha affascinata, il concetto di bene e di male si mescolano, come Yin e Yang. Così le falle logiche del libretto che divaga, i personaggi che cambiano orientamento dal bene al male, dal male al bene sono qui neutralizzate, e tusso si fa coerente. Il messaggio di questo doppio simbolismo è allora chiaro, ed è un messaggio simbolico d'attualità per la nostra epoca che mette una rassicurante comodità davanti a tutto: è affrontando le nostre paure, i nostri demoni e fantasmi che li superiamo e giungiamo alla vera libertà.

Musicalmente, non sono stata del tutto appagata_ ottimo cast, belle voci, direzione di Constantin Trinks impeccabile e attenta – ma senza quel sacro fuoco che fa di una rappresentazione un momento magico che avvince qui e ora.

La Pamina di Jacquelyn Wagner è adorabile nella sua innocenza, la sua voce ampia e generosa assai piacevole. Mauro Peter, voce di tenore comunicativa e naturale ma un tantino metallica, realizza un Tamino leggermente naïf, di fronte al Papageno di Edwin Crossley-Mercer, lui sì un furfante affascinante e pieno di risorse. Crossley-Mercer vive il suo personaggio con spirito e abbandono e con Elisabeth Schwarz quale Papagena la coppia ci conquista. Tuttavia, il duetto Pamina – Papageno del primo atto resta accademico, esattamente come le arie di Tamino e anche quelle della Regina della notte interpretata da Jane Archibald. Non è che dagli interventi dei tre fanciulli che si cominciano ad avvertire autentiche emozioni. Sono adorabili, questi tre solisti degli Aurelius Sängerknaben di Calw, e padroneggiano la scena come adulti. Ante Jerkunica, con la sua voce vellutata di basso, è un Sarastro dignitoso e benevolo.

Infine, verso la metà del secondo atto, con l'aria di Pamina “Ach, ich fühl’s “, anche noi cominciamo a condividere le emozioni dei personaggi e l'incontro fra i due giovani – confesso d'avere un debole per questo scambio “Tamino mein, o welch ein Glück!” - “Pamina mein, o welch ein Glück !” - suscita infine un leggero fremito. A partire da questo momento la rappresentazione prende decisamente vita: il fuoco che Tamino e Pamina devono attarversare se ne impossessa e alla fine applausi e acclamazioni sono rivolte a una compagnia che ha finito per trovare se stessa.

foto © Elisa Haberer