La leggenda di Carmen

 di Pietro Gandetto

Ritorna al Teatro alla Scala la Carmen di Emma Dante: una Carmen ebbra di libertà, passione e indipendenza che ancora convince ed emoziona.

MILANO, 6 giugno 2015 - A seguito delle recite delle idi di marzo, durante il mese di giugno il Teatro alla Scala ha riproposto la ripresa dell’allestimento di Carmen firmato Emma Dante, che aveva inaugurato la stagione scaligera 2009/2010. Una sorta di banco di prova per questo spettacolo, che ancora divide ed emoziona e in cui la qualità dell’idea registica, delle scenografie, dei costumi e di tutto l’ensemble è stata nuovamente testata dinnanzi all’esigente pubblico scaligero. Talvolta la ripresa di produzioni già note è l’occasione per una vera e propria consacrazione dello spettacolo che negli anni diventa un unicum, un classico da esibire con orgoglio alle generazioni future. E la Carmen di Emma Dante (quanto meno quella interpretata da Anita Rachvelishvili) sembra proprio destinata a diventare leggenda.

L’idea registica sottesa a questa produzione – che, com’è noto, negli anni continua a suscitare nel pubblico reazioni contrastanti – non ci sembra caratterizzata (come spesso si dice) da quegli eccessi o parabole anacronistiche che invece contraddistinguono molte Carmen contemporanee. Le soluzioni stilistiche proposte dalla raffinatissima regista palermitana così come le apprezzabili scenografie di Richard Peduzzi sono tutto sommato piuttosto “tradizionali”. A ben vedere, poi, le idee più contestate finiscono per essere le più originali ed apprezzabili: i militari che durante la marcia, invece dello zaino, si tengono aggrappato il loro “io” bambino, la processione con il carro nero che trasporta una nera sagoma di santa, il corteo di nere prefiche che seguono Carmen, il prete dal nero cappello largo che affianca Micaela, il crocifisso che si frantuma, le gigantografie della corrida che celebrano le gesta di Escamillo. Al di là di queste note di ‘colore’, quello che sempre affascina di questo allestimento è proprio l’opposto dell’eccesso, vale a dire la capacità di tenere il pubblico sospeso in equilibrio tra sensibilità e cinismo, colore e grigio, religione e laicità, fedeltà e tragressione, amore e morte; il tutto veicolato da una vis drammatica autentica e veritiera e da una tensione spirituale e metafisica costante che pone in primo piano i personaggi.

Detto questo, e ad onor del vero, la reale leva di quest’allestimento - a giudizio di chi scrive - non è stata tanto la qualità, pur elevata, della regia in sé e per sé considerata, quanto il fatto che la Carmen concepita da Emma Dante assuma le sembianze e  la voce di Anita Rachvelishvili. Una regia perfetta per quest’interprete e un’interprete perfetta per questa regia.

Al cospetto di un pubblico ancora memore della meravigliosa perfomance che, venticinquenne, offrì nel dicembre 2009 – e che le consentì di diventare in brevissimo tempo un “nome” del firmamento lirico internazionale – la cantante georgiana ha dimostrato ancora una volta di meritare i fasti e gli onori che il pubblico le ha tributato in questi anni. Senza incorrere in retoriche e banali affermazioni, si può tranquillamente dire che Anita Rachvelishvili sia più Carmen di Carmen stessa e che, se fosse possibile viaggiare nel tempo, si potrebbe credere che Bizet abbia scritto questo ruolo per lei.

Come nella sua Amneris scaligera dello scorso febbraio, il mezzosoprano georgiano ha confermato le sue doti di raffinatissima interprete facendo buon uso di un materiale vocale di rara bellezza e sfoggiando una voce morbida, piena e sonora e un timbro scuro e vellutato. Una buona tecnica del fiato che le consente di ottenere suoni ben timbrati, omogenei e ricchi di armonici in tutti i registri: dalle note gravi quasi contraltili a quelle del registro medio, fino agli acuti, il tutto espresso con una vasta gamma di colori, nuances e smorzature di sicuro impatto emotivo. Sotto il profilo scenico e interpretativo, Anita Rachvelishvili è stata in grado di esprimere quel fascino e quella sensualità un po’ esotica, quella morbidezza e quella espressività bohèmienne indispensabili per il ruolo di Carmen. La duttilità del fraseggio, la perentorietà del gesto scenico e la naturalezza nei movimenti hanno letteralmente “stregato” il pubblico, che al termine della rappresentazione le ha tributato una vera e propria standing ovation.

Altrettanto buono il Don José di Francesco Meli, che – fresco dalla recente Carmen firmata David Livermoore al Teatro Carlo Felice di Genova (Leggi la recensione) – ha confermato di saper dominare con disinvoltura e perizia uno dei ruoli più impegnativi del repertorio tenorile. Dotato di una voce luminosa e cristallina, invidiabile per colore, brillantezza e proiezione del suono, il tenore genovese è stato sicuramente molto efficace nel lirismo del duetto con Micaela e nell’aria della Fleur, eseguita con elegantissimi piani e sempre alla ricerca di sfumature che non facciano di Don José una belva assetata di sangue; meno incisivo è apparso invece nelle scene più drammatiche e più movimentate dell’opera, come la scena del duello con Escamillo o il finale.

In questo cast d’eccezione, altra interprete sicuramente di spicco è stata il soprano georgiano Nino Machaidze, nel ruolo di Micaëla. La voce è più scura rispetto agli anni passati, ma conserva intatta la consueta morbidezza e rotondità alle quali ci ha abituati. Un materiale vocale di altissima qualità a servizio di una sensibilità scenica e di una raffinatezza interpretativa davvero rare, che rendono ogni sua prova una delizia per l'udito e per la vista. Una Micaëla mite e devota, in contrasto con la laicità e l’intransigenza di Carmen, in linea con l’impianto dualistico di questa produzione, fatta di contrasti, chiaroscuri e ambiguità anche psicologiche dei personaggi.

Buona anche l’esecuzione di Massimo Cavalletti nel ruolo di Escamillo. Dotato di una vocalità piacevole all’ascolto e di una buona tecnica, sotto il profilo scenico il baritono toscano non è stato in grado di offrire spunti interpretativi originali e idonei a dare carattere ad un personaggio, quello di Escamillo, sicuramente impegnativo vocalmente, ma abbastanza neutro sotto il profilo psicologico.

Voce squillante e buona presenza per la Frasquita di Hanna Hipp e altrettanto incisiva la performance di Sofia Mchedlishvili che ha dato il giusto colore e la giusta verve a Mercedes. Apprezzabili il Dancaïre di Michal Partyka, il Moralès di Alessandro Luongo e lo Zuniga di Gabriele Sagona.

Abbiamo poi apprezzato la direzione di Massimo Zanetti. Escluse alcune imprecisioni nel coro, forse dovute anche ai tempi talvolta eccessivamente accelerati, l’orchestra è apparsa compatta, dinamica e molto variegata nella modulazione della partitura, molto vicina e in sintonia con la linea del canto, rispetto alla quale si è notata una perfetta simbiosi nei tempi, nelle dinamiche e nei numerosi crescendo e accelerando.

Un elogio va anche agli attori della “Compagnia Sud Costa Occidentale”, diretta da Emma Dante, che ben hanno saputo esprimere e amplificare le emozioni della protagonista, trasferendo un messaggio di forte coesione sociale e di totale dedizione nei confronti di Carmen.

In conclusione, un’opera intensa, fresca e coinvolgente, assolutamente da vedere e rivedere, soprattutto da parte del pubblico più giovane, come dimostrato dai copiosi applausi tributati al termine dello spettacolo in una sala colma di persone.

foto Brescia/Amisano