Et Satan conduit le bal!

 di Emanuele Dominioni

Lo strepitoso Méphistophéles di Ildar Abdrazakov galvanizza l'entusiasmo del pubblico in una produzione d'altissimo livello da ogni punto di vista, dalla direzione suntuosa di Gianandrea Noseda alla forza visionaria dell'allestimento di Stefano Poda, alle prove nel complesso notevoli e perfettamente affiatate di tutti gli interpreti.

La ricchezza di temi metafisici, umani e musicali che porta con sé un’opera come Faust rende l’azione del critico ancor più impervia se, come in quest'occasione, il grande affresco goethiano messo in musica da Gounod viene reso con maestria e coralità di intenti da parte di tutti i protagonisti dello spettacolo.

Tornando al Regio di Torino, il capolavoro di Gounod può fregiarsi di una compagnia di canto di prim’ordine, di una direzione musicale magniloquente, e di una regia che scava nel testo e ne asseconda i temi non rinunciando, però, a una teatralità di grande impatto visivo.

Stefano Poda costruisce una macchina scenica densa di elementi che rimandano alla natura metafisica dell’opera, in continua oscillazione fra realtà e sogno, fra cupa disperazione e vibrante umanità. Nel fare ciò l'elemento che maggiormente caratterizza e simboleggia questo equilibrio è il grande anello che occupa la scena fin dal principio, muovendosi e trasformandosi al suo interno in base alle esigenze del dramma. Un grande cerchio della vita in cui le stesse forze del male impersonate da Méphistophélès sono più pedine di un gioco senza regole che deus ex machina dell'azione. Citando il regista stesso, "esse fanno parte della metà proibita e inconfessata del cervello umano".

Attorno a questa forma circolare troviamo un apparato scenico popolato da strutture corrose e scabre e da figure pregne di forza primordiale e onirica. Il simbolismo di Poda investe a 360 gradi tutto lo spettacolo, in un contesto fatto di personaggi che dialogano fra loro e con se stessi ricreando una dimensione in bilico fra immaginazione e racconto. Lo scorrere del tempo che tormenta Faust è evocato dalle numerose clessidre sparse per il palcoscenico durante tutto il primo atto, e che torneranno alla fine dell'opera allorquando il patto satanico fra Faust e Méphistophélès viene meno grazie alla redenzione di Marguerite. Altri simboli sono parsi eloquenti e commoventi, come l'abito di fiori appassiti che Marguerite indossa all'inizio del quarto atto, speculare alla veste che Siebel le regala, fatta invece di fiori appena sbocciati.

Gli stessi movimenti coreografici di coro e comparse trovano una forza teatrale dirompente e ben contestualizzata nell'idea di fondo di un'umanità corruttibile e vanesia, che  Méfistophélès muove a proprio piacimento. Di grande dinamicità e forza cinetica i balletti del quinto atto,  che vedevano protagonisti nudi corpi coperti di grigio; figure come liberate dalla lava e scatenate nella folle danza della Nuit de Walpurgis.

Una spettacolo, quello di Poda, dalla forza visionaria solenne e grandiosa, privo di ogni retorica nell'accostarsi al tema filosofico-religioso del bene e al male e in ultima analisi dettagliatissimo nel far emergere il mondo inconscio dei suoi protagonisti attraverso immagini di indubbia forza teatrale.

Sul podio per una recita memorabile, Gianandrea Noseda. Il direttore, per sua stessa ammissione più avvezzo al repertorio Italiano e russo, si accosta da qualche tempo a quello francese, con esiti invero mirabili. Il risultato è un grande affresco di michelangiolesca forza. Ogni dettaglio è valorizzato attraverso un'orchestra capace di sollevare incensi e allo stesso tempo di gettarsi con passionale veemenza nelle selvagge sonorità demoniache. Il tutto con un'attenzione suprema alla concertazione. Noseda è esperto accompagnatore, e, nonostante qualche eccedenza del volume orchestrale rispetto ai cantanti, la sintonia col palcoscenico è totale; sentire, ad esempio, come prendono vita gli interventi strumentali durante le strofe del racconto di Marguerite ("Il était un roi de Thulé"), o la superba attenzione alle dinamiche durante "Salut demeure chaste et pure" o "Avant de quitter ce lieux". Allo stesso tempo il direttore milanese non rinuncia a conferire ai complessi del teatro un rilievo dai tratti quasi sinfonici, ottenendo anche dal coro Regio una performance di grande qualità sonora.

Ildar Abdrazakov ritorna a Torino, dopo la memorabile interpretazione di Filippo II, con il suo imponente Méphistophélès. La figura e la grande esperienza ormai maturata negli anni gli hanno permesso di disegnare un diavolo di grande pregnanza scenica e indubbio fascino. La voce tonante e il fraseggio assai mobile gli consentono altresì di essere incisivo, seducente e magnetico anche quando la dirompenza orchestrale pare sovrastarlo, come ad esempio nella ballata del secondo atto. Altrove l'ammaliante linea di canto sostenuta da una vocalità morbida e sicura lo hanno premiato a furor di popolo come migliore interprete della serata.

A fianco a lui Charles Castronovo dà sfoggio di un timbro brunito e accattivante, sorretto da un controllo dell'emissione davvero notevole. Il fraseggio è partecipe e la dizione francese pressochè perfetta. L'aria del terzo atto è cesellata con maestria e controllo davvero notevoli (con tanto di smorzatura sul do acuto eseguita da manuale). La presenza scenica del tenore americano poi è assai affascinante e assolutamente valorizzata dai costumi di Poda.

Nel ruolo di Marguerite troviamo Irina Lungu. La voce del soprano russo, con gli anni, ha acquisito liricità e gli acuti si mantengono sonori e ben proiettati delineando una linea di canto di per sé ineccepibile e sorretta da un'ottima tecnica. Ma la mancanza di note centrali sufficientemente corpose unite all'inerzia dell'accento hanno purtroppo gravato sulla performance complessiva. L'aria del terzo atto scorre con monotona scolasticità anche laddove, come nel rondò dei gioielli, dovrebbe invece brillare e arridere alla vocalità della Lungu. Altrove, come nell'arioso del quarto atto, o nel finale ultimo lo struggimento emotivo di Marguerite è ben reso scenicamente, ma, purtroppo, appannato da una carenza di spessore vocale.

Positiva invece la prova di Vasilij Ladjuk come Valentin. La morbida vocalità baritonale e la classe nel saper dosare dinamiche e colori gli hanno guadagnato scrocianti applausi alla fine dell'aria. Perfettamente a fuoco anche durante il duello del quarto atto, in cui lo scontro con Faust è parso molto coinvolgente e credibile.

Lo stesso dicasi per Ketevan Kemoklidze come Siebel, perfetta nei panni en travesti del giovane studente, e dotata di voce brillante e morbida, adattissima alla parte. Degne di nota anche le prove di Samantha Korbey come Martha e Paolo Maria Orecchia come Wagner, quest'ultimo dotato di voce invero assai sonora.

Grande successo da parte del pubblico torinese giunto a riempire il teatro in ogni suo ordine anche all'ultima recita del 14 giugno. Più di dieci sono state le chiamate per un cast particolarmente galvanizzato ed esaltato dall'entusiasmo degli spettatori.

foto Ramella Giannese