Nel giardino delle fiabe

 di Andrea R. G. Pedrotti

Compagnia alternativa per il Barbiere di Siviglia all'Arena, con la Rosina di Hulkar Sabirova, il Bartolo di Omar Montanari, il Basilio di Marco Vinco e, unico punto debole, il conte d'Almaviva  di Juan José De Léon. Invariato rispetto alla prima l'interpete di Figaro, un ottimo Mario Cassi

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VERONA, 28 agosto 2015 - Correva l'anno 1975, quando un imprenditore di Peschiera del Garda ebbe l'intuizione di costruire un grande parco giochi, poco distante dalla città di Verona. Quasi l'intero nord-est d'Italia rammenta con un po' di nostalgia gli inizi che ebbe Gardaland, prima che la sua aurea di magia venisse sciupata dall'inevitabile espansione economica del progetto. All'interno del parco esisteva un'attrazione, ormai scomparsa, chiamata “Il villaggio degli elfi”, una giostra che prevedeva un percorso su piccole vetture variopinte fra grandi insetti e mondi incantati, come in una sognante favola. Non scordiamo che la storica mascotte del parco gardesano fu ideata da un Pesarese, perciò conterraneo di Gioachino Rossini.

Questo è l'impatto che rende la regia del Barbiere di Siviglia di Hugo de Ana, con giganteschi insetti, percorsi nel mezzo di muraglie di siepi degne dei parchi delle poco distanti ville venete, con il disciplinato, quanto elegante, corpo di ballo della Fondazione Lirica Arena impegnato in movenze da elfi, spiritelli, fate e gnomi. Il confronto dello spettacolo con i romanzi fantastici di Lewis Carroll, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, è alquanto riduttivo, poiché essi rappresentano esclusivamente uno schema comunicativo, presumibilmente ricalcato, ma non necessariamente ispiratorio. Permane l'ottimale utilizzo dei grandi spazi del palco, senza che alcun movimento risulti dispersivo, caricaturale, o non utile alla riduzione d'un'opera teoricamente non adatta a uno spazio come quello dell'Arena di Verona.

Deludente il Conte d'Almaviva di Juan José de Leon, in palese difficoltà in tutta l'ampiezza della scrittura musicale; il tenore evidenzia notevoli problemi nelle agilità, molti suoni risultano eccessivamente nasali, il fraseggio è poco curato, così come la dizione. Erra o scorda attacchi (specialmente nel finale I) in più parti, la proiezione risulta inesistente, così come lo squillo. Di rado il suono gira correttamente, ma questo appare esclusivamente un caso, viste le continue mancanze tecniche. Saggiamente viene omesso il rondò “Cessa di più resistere”.

Buono il Bartolo di Omar Montanari, abbastanza sicuro vocalmente, anche se ci aspettiamo una maturazione da parte dell'interprete nell'equilibrio fra cantante e attore. Infatti, per quanto la parte esclusivamente musicale risulti di buon effetto, dobbiamo riscontrare una certa staticità, forse dovuta al debutto in Arena. Curiosamente non esegue il salto della corda, che abbiamo sempre visto sino a oggi nelle edizioni che si sono susseguite del medesimo allestimento. Tutto sommato possiamo definire la sua prova positiva, ma con evidenti margini di miglioramento.

Incisiva la Rosina di Hulkar Sabirova. Ella dimostra gran personalità e buona interpretazione. I registri sono omogenei e la voce pastosa, il fraseggio è curato, facendo di lei un personaggio civettuolo e impertinente. Molto brava nelle colorature e nelle agilità, tende solo ad aprire troppo il suono nel registro acuto, ma siamo convinti che sia un problema che l'artista potrà risolvere proseguendo nello studio. Con lei torna l'esecuzione della tradizionale aria “Contro un cor che accende amore”, a differenza di quanto accaduto in occasione delle recite affidate a Jessica Pratt, che eseguì l'aria di baule di Einrich Proch “Deh! Torna, mio bene”.

Migliore del cast è sicuramente lo straordinario Figaro di Mario Cassi. Più sicuro che nella recita del primo agosto, è senz'ombra di dubbio l'interprete maggiormente carismatico della compagnia. Paradossalmente il volume risulta decisamente superiore rispetto a quanto abbiamo ascoltato nei recenti Carmina Burana, quando era presente un'amplificazione. La proiezione è pressocché perfetta, l'attenzione alle agilità ineccepibile, i registri equilibrati per colore e impostazione. Alla sua prima esperienza areniana, il baritono aretino si impone nell'immediato come uno dei migliori interpreti ascoltato nel grande spazio scaligero. Bravissimo attore, strappa risa quando occorre e cattura l'attenzione degli undicimila presenti senza sforzo. Restiamo, tuttavia, dell'opinione che l'etichetta di baritono brillante gli vada, ormai, troppo stretta, essendo giunto a possedere con sicurezza tecnica e colore adatti a un repertorio che ne possa esaltare le attuali qualità.

Bene anche il Basilio di Marco Vinco, protagonista di una prestazione certamente migliore, rispetto a quella offerta lo scorso aprile al Teatro Filarmonico. Se possiamo riscontrare una certa avarizia nella gamma cromatica del suono, di contro notiamo una bella interpretazione sia tecnica, sia interpretativa.

Degna di nota la brava Alice Marini (Berta), che acquista misura e stile nella recitazione, senza far venir meno la giusta comicità, affrontando il ruolo con buona personalità e una bella esecuzione dell'aria “Il vecchiotto cerca moglie”.

Nicolò Ceriani, è impegnato nuovamente nel doppio ruolo di Fiorello e Ambrogio, mentre Un Ufficiale è Victor Garcia Sierra.

Giacomo Sacripanti si dimostra, ancora una volta, concertatore di buone idee dinamiche, ma poca personalità esecutiva. Le sezioni sono sufficientemente equilibrate, con qualche difetto in legni e ottoni. Il rapporto fra buca e palco non è sempre affinato e manca spesso il necessario gusto rossiniano, tuttavia possiamo considerare la sua una prestazione sufficiente, anche se non molto di più.

Discreta la prova del coro della Fondazione, la cui direzione è affidata, come di consueto, a Salvo Sgrò. Belle, come accennato in precedenza, le coreografie di Leda Lojodice. Direttore del Corpo di ballo è Renato Zanella.

foto Ennevi