Un flauto moderatamente magico

 di Giuseppe Guggino

 

Piace e convince moderatamente questa ripresa della Zauberflöte mozartiana riproposta a Palermo nell’antico allestimento prodotto nel 2001 e recentemente omaggiato al Teatro Regio di Torino. Sul cast complessivamente omogeneo guidato da Gabriele Ferro svetta il Papageno dell’autentico mattatore Markus Werba.

Palermo, 21 ottobre 2015 - Sorprende non poco la modernità di Gabriele Ferro in queste recite palermitane nel cercare di restituire tutto il gioco di colori che è nella partitura di Die Zauberflöte; e il gioco riesce anche benissimo al settore dei legni (con una menzione speciale per il flautista Saladino), un po’ meno bene negli archi ridotti a 6+6+6+4+3 e talvolta troppo scoperti (nel terzetto dei geni No.16, ad esempio, e questa volta i bambini del Coro di Punturo sono meno lodevoli del solito), assecondato nei finali d’atto anche da una prova molto buona del Coro preparato da Piero Monti. Dell’approccio cameristico, risultato comunque affascinante, si giova anche il cast piuttosto giovane radunato per l’occasione, preceduta da una generale sold out (con secondo cast altrettanto giovane) organizzata dai “Giovani per il Teatro Massimo”; cast giovane sì, ma con punte di esperienza, prima tra tutti quella di Markus Werba che impersonava benissimo Papageno a Palermo già nel 2001 e che oggi può vantarsi d’aver raggiunto la perfezione nel ruolo, tanto lo canta bene e tanto la realizzazione teatrale s’è fatta strepitosa e insuperabile. Altrettanto veterana nel ruolo è Cornelia Goetz che, alla oltre 800esima recita della Köenigin, deve aver superato il rodaggio, pertanto può anche dedicarsi ad altro, giacché le rimangono dei buoni fa (di fischio) e poco altro nel corpo di una voce piuttosto esausta.

La coppia di predestinati è costituita da Paolo Fanale e Laura Giordano, gagliardo lui, dolcissima lei, che all’asciuttezza della vocalità di Pamina presta il proprio strumento parimenti asciutto, ottenendo così una realizzazione estremamente dolente e patetica del personaggio.

Molto apprezzabile è il Sarastro di Andrea Mastroni che copre abbastanza bene l’estensione della parte (con qualche occasionale sbiancamento in alto) ed esibisce freddezza nel riprendersi in totale autonomia, allorché la bacchetta lo perde per strada nell’aria del secondo atto.

Tra i comprimari si segnala Laura Catrani, che ci si augura di riascoltare presto in ruoli più corposi rispetto a Papagena, e Alexander Krawetz, che si rivela buon caratterista alle prese con Monostatos; un po’ appannato risulta Roberto Abbondanza come Primo Oratore e anche ai due armigeri di Cristiano Oliveri e Victor Garcia Sierra si sarebbe potuta domandare una maggiore messa a fuoco.

In direzione radicalmente opposta alla ricerca di complessità nelle strutture che viene dal podio, la parte visiva dello spettacolo predilige l’aspetto epidermico della fiaba. L’allestimento noleggiato dal Regio di Torino è in realtà una vecchia produzione di Roberto Andò con le scene di Gianni Carluccio e i costumi di Nanà Cecchi realizzata a Palermo negli anni d’oro, quelli nei quali si iscriveva la cartapesta in bilanci di carta-pesta, per importi anche di 7 miliardi, 202 milioni e 624˙823 lire in un anno (nello specifico il dato è del 2001, l’anno di questa Zauberflöte) in ragione dei futuri utili che gli allestimenti avrebbero (potenzialmente) procurato. Utili ovviamente nulli, ché il futuro è sempre più cattivo delle ottimistiche previsioni, giacché proprio questo allestimento fu regalato al Regio di Torino dalla recente gestione commissariale del Massimo come contropartita per il noleggio della Traviata di Pelly resosi necessario per il rimpiazzo del il Ring di Vick (assieme con altro spettacolo di Andò). Andò così l’allestimento a Torino che, con due mani di vernice, lo usò e subito lo noleggiò al Lirico di Cagliari, cosicché anche a Palermo tornò l’irrefrenabile voglia di rimontarlo, proprio appena dopo averlo ceduto, ma – si sa – il mondo del teatro, in fondo, è fatto di inspiegabili stranezze. Certo, qui di teatro vero e proprio, fra qualche azzeccata suggestione visiva frammista a recitazione in aura di ingenuità e profondità drammaturgica nulla, non è che ve ne sia molto; ma per quello l’appuntamento compensativo è con la prossima opera del cartellone palermitano che da metà dicembre – salvo ulteriori rinvii per crack, bancarotte, sciagure e cataclismi, veri o immaginarî – vedrà il ritorno dell’agognato Graham Vick con il suo Ring.

foto Rosellina Garbo