Don Giovanni ritrovato

 di Federica Fanizza

 

Al Teatro Verdi di Trieste, un allestimento tradizionale, ma con una forte direzione musicale di Gianluigi Gelmetti e teatrale di Allex Aguillera, ha saputo coinvolgere il pubblico alla riscoperta del Don Giovanni di Mozart.

TRIESTE 4 novembre 2015 - Chi è Don Giovanni, personaggio creato dalla penna dello scrittore e frate spagnolo Tirso de Molina nel 1630 nella commedia El burlador de Sevilla? Cinico ingannatore di donne o anima e portabandiera dell’uomo libertino che vive al di fuori di ogni legame della morale e dell’etica, la cui esistenza è dominata dal disprezzo dell’eterno e della morte?

Quella di Don Giovanni è una vicenda esemplare e acquisisce immortalità fin dal suo apparire sul teatro e deve solo al palcoscenico la sua ragion d'essere.

Don Giovanni Tenorio, questo è il nobile casato, emerge nella sua arroganza e nel suo fascino giovanile, nella sua cinica audacia sensuale. Possiede innate doti di seduzione, superbo e bugiardo, fiero hidalgo andaluso. Ma la sua natura impulsiva e la sua sensualità lo portano all’amore perverso, compiaciuto del peccato e del disonore, dell'inganno, della crudeltà e del possesso. Miscredente e libertino,amorale e privo di scrupoli sfida l'austera moralità della Spagna asburgica con la novità della filosofia libertina. Esemplare deve essere il suo castigo, quindi: ecco che la statua del Commendatore, ucciso a tradimento, lo richiama al pentimento e, al suo diniego, lo trascina agli inferi, ma alla fine sarà proprio Don Giovanni a riuscire vincitore, e per l’eternità.

Del mito si appropria Molière, nel 1665, inserendo alcuni elementi della Commedia dell’Arte, quali il servo complice e le situazioni di contrasto tra mondo popolare e nobiltà; lo riprende Carlo Goldoni che nel suo Don Giovanni Tenorio del 1735 inserisce un elemento femminile attivo poi preso a modello da Laclos per il suo Les liaisons dangereuses, manifesto del libertinaggio illuminista.

Alla fine del Settecento il mito di Don Giovanni permeava la letteratura dei liberi pensatori illuministi e a rilanciarlo come personaggio al di là del bene e del male fu proprio l’opera che Mozart gli dedicò, rappresentata per la prima volta a Praga nel 1787.

Tanto del successo del titolo, Mozart lo deve al librettista Da Ponte: non è improbabile che questi abbia utilizzato come fonte primaria Il Convitato di pietra di Bertati musicato da Gazzaniga e rappresentato a Venezia qualche mese prima. Ma nel Don Giovanni di Da Ponte si rimescola tutto: il gusto dei travestimenti e degli inganni, feste in maschera e banchetti, ville e palazzi, servo (Sganarello si trasforma in Leporello) che partecipa alle avventure e alle macchinazioni del suo signore; si impongono le donne, Donna Anna, Donna Elvira e la giovane Zerlina. Don Giovanni è un'opera buffa? Un dramma giocoso, in cui elementi assolutamente seri si mescolano a quelli comici fino all'epilogo intonato dai superstiti: “Resti dunque quel birbon | con Proserpina e Pluton, | e noi tutti, buona gente, | ripetiamo allegramente | l’antichissima canzon. | Questo è il fin di chi fa mal; | e de' perfidi la morte | alla vita sempre ugual."

Nella messa in scena del Don Giovanni di Mozart che il Teatro Verdi Trieste ha presentato in apertura della stagione d’opera 2015 – 2016 tutti questi elementi e riferimenti erano riconoscibili. Già dalle scene curate da Philippine Ordinaire, presentava la ricostruzione di un palazzo d’epoca incompiuto; alcuni elementi mobili, una cancellata e strutture scorrevoli modificavano lo spazio del palcoscenico trasformandolo negli spazi d’azione: in un cortile, in una affaccio su strada, in un cimitero con statue funerarie, ambientazione dell’inizio e della fine della vicenda musicale.

I costumi coloratissimi creati da William Orlandi, contestuali all'epoca mozartiana, e il taglio delle luci di Claudio Schmid evocavano già il senso della vicenda, ora gaia e spensierata, come nella festa di nozze di Zerlina e Masetto, ora cupa, come nelle ultime scene.

La regia del giovane sudamericano Allex Aguilera, formatosi alla scuola del Grand Théâtre di Ginevra sotto la guida di Robert Carsen e Benno Besson, ha voluto mantenersi nelle convenzioni storiche, lavorando sul rapporto tra la parola e musica, non soltanto come descrizione didascalica dei movimenti dei personaggi, ma in senso lato in tutti gli aspetti dell'espressione e della voclaità. Progetto condiviso con la direzione musicale di Gianluigi Gelmetti che, supportato anche dalla preparazione tecnica dell’orchestra e coro della Fondazione del Teatro Verdi, è riuscito a dar respiro al gioco della parti d’intesa tra palcoscenico e golfo mistico facendo ben emergere le sonorità del mondo mozartiano.

I protagonisti si presentavano di fatto come un collettivo: ciascuno con la propria personalità vocale ma all’interno di un progetto condiviso, dando così vita a un Don Giovanni specchio di un'epoca, oltre che un topos comportamentale. Un lavoro scandito nei modi e nei tempi, si direbbe, del teatro di prosa, che fa fatto funzionare il continuo gioco delle coppie tra la rabbia e vendetta di Donna Anna e l’ambiguità di Donna Elvira, la gelosia di Masetto per il supposto tradimento di Zerlina, tra le alleanze tessute da Don Ottavio, quasi succube suo malgrado della volontà di vendetta di Donna Anna, e il realismo di Leporello che con la lettura del catalogo a Donna Elvira cerca disilludere la donna sul conto del suo padrone.

Ecco che tutti gli interpreti, dal Don Giovanni di Nicola Ulivieri (baritono) alla Donna Anna di Raquel Lojendio (soprano) e al Leporello di Carlo Lepore (basso), dalla Donna Elvira di Raffaella Lupinacci (mezzosoprano) fino al Don Ottavio di Luis Gomes (tenore) al Masetto di Giampiero Ruggeri (tenore) e alla Zerlina di Diletta Rizzo Marin (soprano), con Andrea Comelli (basso) nel ruolo infido del Commedatore, hanno saputo ben rendere, con i loro meriti, esperienze, qualità e caratteristiche vocali, questa idea di Don Giovanni collocato nel proprio tempo e nel proprio spazio e a restituire nel contempo, con il gioco teatrale e l'interpretazione musicale, l’immortalità della creazione mozartiana.

Certamente la presenza di Nicola Ulivieri, nel pieno della sua maturità interpretativa per quel che concerne il Burlador, e di Carlo Lepore, impeccabile nel dare anima a Leporello, ha offerto un elemento in più per il successo della rappresentazione.

Lo spettacolo ha il suo culmine nel momento finale della dannazione, quando sono le stesse statue cimiteriali che contornano il monumento del Commendatore che, prendendo vita, si richiudono come un’urna sepolcrale sulla caduta agli inferi del nostro protagonista. Certo, idea non nuovissima, ma di grande effetto per chi ha affollato, anche in giorno feriale, gli spazi del teatro decretando e confermando il successo di questa produzione.