L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Una Carmen per Parigi

di Pietro Gandetto


Ritorna al Royal Opera House la Carmen di Francesca Zambello. Una Carmen ebbra di libertà, sensualità e passione, che ancora convince. La palma della serata alla protagonista Anita Rachvelishvili.

Londra – 14 novembre 2015.  All’indomani degli attacchi terroristici di Parigi, in un clima di generale sgomento, è andata in scena al ROH la ripresa della Carmen con la regia di Francesca Zambello (2006), coprodotta da Royal Opera House, Norwegian National Opera e Australia Opera, e la direzione di Alexander Joel.

A inizio spettacolo, la direzione del ROH comunica formalmente l’assenza dell’indisposto Jonas Kaufmann (sostituito all’ultimo da Andrea Carè) e ricorda con commozione i fatti di Parigi, invitando il pubblico a un minuto di silenzio e raccoglimento per quella stessa Parigi dove Carmen andò in scena in prima mondiale, all’Opéra-Comique, il 3 marzo del 1875.

Già dall’apertura del sipario si è subito avvertita la qualità della regia di Francesca Zambello (ripresa da Duncan Macfarland) e delle luci di Paule Constable.  Dopo le pur pregevoli Carmen siciliane e cubane in voga in questi anni, ne abbiamo apprezzato una che “semplicemente” sa di Spagna. La regia è calda, ampia, dà spazio al libretto e ai personaggi, che nella splendida cornice acustica e visiva del ROH hanno saputo offrire una performance di pregio. Una regia che dimostra come, per certi titoli, non ci sia bisogno di strafare, essendo già tutto scritto nella partitura e nel libretto. Abbiamo apprezzato soprattutto il realismo del mondo bohèmien e, al contempo, l’incisività della psicologia dei personaggi. Ben riuscita la scena della rissa tra le opposte fazioni della Manuelita e della Carmencita, dove i combattimenti non sono mera finzione, ma vengono accompagnati da vere e proprie percosse.  Altrettanto d’effetto la scena della Seguedille, dove cattura-liberazione di Carmen viene rappresentata con un sottile gioco di seduzione e di ironia.
Bene anche la scena delle carte, dove Carmen è fisicamente “staccata” dalle sue compagne Frasquita e Mercedes, evidenziando il contrasto tra la leggerezza delle amiche e la tragicità dei presagi di morte di Carmen.

Venendo ai cantanti, la palma della serata spetta senza dubbio alla pluristellata Anita Rachvelishvili, interprete di riferimento del ruolo, che mette d’accordo tutti i teatri del mondo sulla qualità della sua Carmen. Anche questa sera, Rachvelishvili ha fatto centro, offrendo un’interpretazione perfettamente in linea con le esigenze stilistiche di Zambello/Macfarland, che concepiscono la sigaraia di Siviglia come una donna sensuale e provocante, ironica e apparentemente frivola, ma tenace e grintosa.  Rachvelishvili canta come se raccontasse una storia e la recitazione è spontanea e informale, senza fronzoli o teatralità manieristiche. Sotto il profilo vocale, il timbro e la ricchezza di armonici sono, come di consueto, di pregio. Il colore brunito e scuro delle pagine drammatiche si alterna con elegante naturalezza a mezzevoci soavi nei passaggi di maggior lirismo.

Passando al Don José del tenore torinese Andrea Caré, prendiamo atto di una voce di buona qualità e calzante per il ruolo, sia in termini di volumi che di colore e fraseggio. Interpretativamente, il tenore è stato efficace nella ricerca di sfumature che non facciano di Don José una belva assetata di sangue, ma meno incisivo è apparso nelle scene drammatiche e di maggior impeto, come quella del duello con Escamillo o della morte di Carmen, dove è mancata - probabilmente anche in ragione delle poche prove - la dovuta convinzione attoriale.

Abbiamo poi apprezzato la Micaela di Sonya Yoncheva. Voce da lirico pieno, ben modulata nella tessitura acuta dove veleggia sfoggiando un buon legato. Una Micaëla decisa e risoluta (cui quasi va stretto il continuo richiamo alla madre di Don José) ben lontana dalle fanciulle tutte casa e chiesa in cui spesso degenera questo personaggio.

Convincente l’Escamillo del basso ungherese Gabor Bretz che fa il suo ingresso in scena a cavallo, si muove con destrezza e trasmette quell’energia che ci si aspetta da un vero matador spagnolo. La voce è profonda, elegante e fluida negli acuti. Di pregio lo Zuniga di Nicolas Courjal, dotato di vocalità brunita e sonora, dizione ineccepibile e buona espressività scenica. Apprezzabili la Frasquita di Vlada Borovko e la Mercedes di Rachel Kelly. Anche Dancaire, Remendado e Morales sono stati ben rappresentati da Adrian Clarke e Harry Nicoll e Samuel Dal Johnson.

La direzione di Alexander Joel non ha, invece, brillato per espressività: carente di trasporto, con colori indefiniti e accompagnamenti al canto ordinari. Non sono mancati momenti di scollamento tra l’orchestra e i cantanti, soprattutto nei morceaux d’ensemble del secondo  e terzo atto; i tempi iniziali della chanson de bohème sono stati eccessivamente dilatati a scapito di una resa scenica che a stento ha decollato (nella terza strofa). Un elogio al corpo di ballo che, con le coreografie di Arthur Pita, ha saputo esprimere e amplificare le emozioni della protagonista, trasferendo un messaggio di coesione nei confronti della capobranco gitana. Interessante la scelta di affidare il ruolo di Lillas Pastia a una donna, Caroline Lena Olsson, efficace nelle declamazioni che ben hanno rievocato gli aspetti più tribali della gang. Buona la performance del coro.

In conclusione, una produzione intensa e coinvolgente, come dimostrato dai generosi applausi tributati al termine dello spettacolo da parte di un pubblico visibilmente scosso dagli attentati parigini.


 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.