Convenienti inconvenienze

 di Francesco Bertini

Decisamente pregevole la proposta, frutto di una coproduzione internazionale, della commedia donizettiana a Treviso. La comicità gustosa e intelligente delle Convenienze ed inconvenienze teatrali era ben servita dal cast di giovani capitanato dall'ottima Mamma Agata del più esperto baritono Michele Govi.

TREVISO, 22 novembre 2015 - Dopo l’inaugurazione con Don Giovanni, il Teatro Comunale di Treviso si lancia in una sfida decisamente encomiabile: in una coproduzione internazionale con il Theater Biel Solothurn viene inscenata la farsa in un atto Le convenienze ed inconvenienze teatrali di Gaetano Donizetti. Come per Olivo e Pasquale, rappresentato al Teatro Valle di Roma il 7 gennaio 1827, così per l’opera in questione, battezzata al Teatro Nuovo di Napoli il 21 novembre dello stesso anno, Donizetti trasse ispirazione dal padovano Antonio Simeone Sografi. Il drammaturgo nacque nel 1759 nella città del Santo dove conseguì la laurea in legge che gli consentì di esercitare l’avvocatura: tanta era però la passione letteraria da indurlo a coltivare, contemporaneamente, un’ampia attività come attore e scrittore. A Venezia, luogo in cui si spostò per lavorare, ebbe modo di conoscere i più rilevanti autori dell’epoca, dando sfogo alla propria versatilità creativa. Grande successo gli arrise dopo la stesura del libretto Gli Orazi e i Curiazi per Cimarosa e, soprattutto, in seguito alla pubblicazione della commedia Le convenienze teatrali nel 1794 e del suo seguito Le inconvenienze teatrali nel 1800.

Quando Donizetti si appropriò del soggetto, comprese immediatamente le potenzialità dell’ironica critica alle consuetudini teatrali, si badi bene, non scritte. Essendo stato nominato, dal celebre impresario Domenico Barbaja, direttore dei teatri partenopei, al bergamasco erano accordate alcune “beneficiate” ossia serate a carico dell’impresa per le spese vive e con l’intero incasso a vantaggio dell’autore. Egli pensò bene di “acchiappare” il pubblico con un’opera breve e divertente che, mettendo alla berlina il mondo del teatro, suscitasse la più schietta ilarità. Vi riuscì appieno traendo ispirazione da Sografi e portando avanti la lunga tradizione farsesca, coltivata abbondantemente dal suo maestro, Giovanni Simone Mayr, e da Gioachino Rossini. Quando poi ci rimise mano, unendo e impastando entrambe le commedie del padovano, l’opera venne apprestata in due atti e tornò in scena al Teatro della Canobbiana, a Milano, il 20 aprile 1831.

La versione adottata a Treviso è una commistione delle due che aggiunge, come consuetudine ottocentesca, pezzi da lavori dello stesso Donizetti o di altri compositori. Nel caso specifico compaiono “Ah donate il caro sposo”, aria di Sofia da Il Signor Bruschino di Rossini, e “Ah! non giunge uman pensiero”, finale d’opera affidato ad Amina nella Sonnambula di Bellini. L’accortezza donizettiana di valorizzare appieno le doti degli interpreti a disposizione, inserendo elementi comici e ammiccamenti alla commedia dell’Arte, trovava pieno riscontro nelle piazze veneziane e napoletane (dove ancora la farsa reggeva in cartellone) e trova ancor oggi grande vitalità. In quest’ottica, l’idea di inserire una voce baritonale per dar corpo a Mamma Agata, madre della seconda donna, è assolutamente innovativa e rintracciabile, prima d’allora, perlopiù nel campo della prosa. Le battute più ghiotte, miste all’inventiva estemporanea, sono a lei riservate e richiedono un cantante-attore completo. Michele Govi, il veterano della produzione trevigiana, veste i panni dell’attempata genitrice con incredibile naturalezza. Mai, durante lo spettacolo, si abbandona a interventi gigioneschi, scontati o volgarmente comici. Anche le invenzioni e gli artifici stilistici risultano sempre apprezzabili e degni di un consumato artista. Gli astanti sorridono e mostrano di gradire l’umorismo, intelligente, del baritono che, peraltro, sfrutta anche le proprie potenzialità vocali per giocare con le più svariate emissioni. Un plauso alla sua freschissima lettura del personaggio.

Il resto del cast, fatti salvi altri due ruoli, è costituito da allievi del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, nell’ambito del progetto Opera Studio. L’iniziativa, seguita da un illustre donizettiano quale Francesco Bellotto, ha come scopo l’avvio alla professione lirica attraverso coproduzioni con importanti centri di diffusione operistica come La Fenice, il Comunale di Treviso, la Fondazione Biennale e il Consorzio regionale dei Conservatori veneti. L’omogeneità riscontrata nei giovani che hanno partecipato all’esecuzione testimonia il positivo lavoro volto ad approfondire e preparare nei dettagli lo spettacolo. Si distingue Paolo Ingrasciotta che possiede un innato senso teatrale e musicale: il suo Procolo è spigliato e vocalmente credibile. Valida anche Erika Tanaka la quale, nei panni della peperina Daria Garbinati, affronta con energia le bizze della primadonna. Ilenia Tosatto, Luigia Scannagalli, seconda donna, si lancia nell’esecuzione di Sonnambula dove esibisce un certo volume, abbinato alla giusta dose di brio scenico, capace di reggere il confronto con l’indiavolata madre. Askàr Lashkin ha il suo punto di forza nella vivida interpretazione attoriale del tartassato maestro Biscroma Strappaviscere. Il tenore tedesco, dal cognome difficilmente pronunciabile, Guglielmo Antolstoinoloff è affidato ad Andrea Biscontin, disinvolto nella caricaturale pronuncia germanofona. Vi sono inoltre Valeria Girardello, nel ruolo en travesti del primo musico Pippetto,e Diego Rossetto, quale Ispettore.

Oltre a Govi, anche Francesco Basso, Cesare Salzapariglia poeta e droghiere, e Michele Soldo, Impresario, sono estranei al progetto Opera Studio.

Il Coro, preparato da Marina Malavasi, offre una prova idonea negli interventi richiesti. L’Orchestra del Consorzio tra i Conservatorio del Veneto, ben affiatata, trova in Franco Trinca una guida in grado di cogliere le sfumature della partitura, pur con qualche limite nella scelta delle dinamiche.

Lo spettacolo, interamente curato dal francese Pierre-Emmanuel Rousseau, si rifà al teatro ottocentesco, come tributo all’ambiente originale in cui agivano i personaggi trattati. Le sue trovate calzano bene all’allestimento, tradizionale ma mai antiquato. La vena divertita che pervade la narrazione non cede il passo alle idee facili e d’effetto: tutto appare ben congegnato e il divertimento è raggiunto con grazia e buongusto. L’impianto scenico gioca con l’aspetto metateatrale, tanto durante le prove per la rappresentazione dell’opera seria Romolo ed Ersilia, quanto durante il tentativo di messinscena. Da segnalare l’apporto di Roberto Gritti, light designer. L’ampio successo finale ha omaggiato tutti, con una particolare menzione per Michele Govi.

È davvero un peccato che una produzione piacevole e riuscita non possa essere apprezzata in altri teatri italiani. Ci si augura che, nelle programmazioni future, qualcuno rammenti questa allegra e fortunata operazione.

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