Gli angeli e i demoni di Giovanna d’Arco

 di Pietro Gandetto

Trionfo per la prima della Giovanna d’Arco di Verdi all’apertura della stagione del Teatro alla Scala. Corali consensi per la bacchetta di Riccardo Chailly e la regia di Leiser e Caurier, calorosi applausi per tutto il cast e per il coro e ovazioni per la star Anna Netrebko. Nel souk del foyer della Scala, parterre di volti noti della politica dell’arte e dello spettacolo.

MILANO, 7 dicembre 2015 - In una Milano blindata e in massima allerta sicurezza, si è celebrata ieri la prima della Giovanna d’Arco di Verdi. Piazza Scala bonificata dagli artificieri, tra tiratori scelti ed elicotteri, settecentocinquanta agenti e militari e metal detektor all’ingresso: sembrava davvero di accompagnare la Pulzella D’Orléans alla guerra dei Cent'anni. Verso le 17,00 il tempio dell’opera ha spalancato le porte ai suoi ospiti tra cui numerosi esponenti della politica, dell’arte dello spettacolo, come segnale di coesa reazione al clima di terrore ingenerato dai recenti attacchi terroristici.

Per riassumere la serata in una frase, basta citare Riccardo Chailly: “Verdi, dando valore al nostro passato, da un senso al nostro presente”. In un’epoca culturalmente difficile e controversa come la nostra, condivisibile la scelta di aprire la stagione con un’opera verdiana assente dalla Scala da 150 anni. Una scelta in linea con il progetto di valorizzazione della tradizione del Teatro, per proporre titoli che alla Scala sono nati e favorirne la diffusione in una rinnovata veste musicale e scenica.

Giovanna d’Arco, qui rappresentata nell’edizione critica a cura di Alberto Rizzuti per Ricordi/University of Chicago Press, è la settima opera di Giuseppe Verdi (1845) e la quinta scritta per la Scala. Il libretto di Temistocle Solera è ispirato al dramma di Friederich Schiller Die Jungfrau von Orléans (1801) cui attinse anche Čajkovskij nel 1881.

La firma di Riccardo Chailly lascia il segno e dà il giusto peso drammatico alla partitura. Il profondo rapporto tra il Maestro e la musica di Verdi non aveva certo bisogno di Giovanna per ricordarci quanto saldo e appassionato sia. Semmai, si è meglio chiarito che l’intento della direzione Pereira-Chailly non è quello di proporre agli specialisti un repertorio di nicchia, ma di offrire al pubblico opere che non ha senso definire “minori”, essendo invero il frutto, nel caso di Giovanna, di un genio musicale che lascia un’inconfondibile traccia in tutto ciò che scrive.

Se Verdi non avesse scritto Rigoletto e Il trovatore, cosa sarebbe oggi Giovanna d’Arco? L’opera è un passaggio fondamentale nell’evoluzione stilistica di Verdi, una miniera di preziosi dettagli che aiutano a comprende il modo di sentire dell’autore. La musica è fresca, generosa e trasmette l’impeto compositivo di un giovane autore che a soli trentadue anni (1845) già aveva in mente l’embrione contenutistico delle opere a venire. Le numerose romanze e cabalette, con i copiosi duetti, racchiudono una bellezza straordinaria, conseguenza di una vocalità che, da un lato, deriva da Ernani (1844) e, dall’altro, sfocerà in Rigoletto (1851), La traviata (1853) e nei successivi capolavori della maturità. In Giovanna ci sono, infatti, anticipazioni di Macbeth (1847), Don Carlos (1867), e di Aida (1871). Lo squillo introduttivo degli ottoni nel “Te, Dio, lodiam”, anticipa chiaramente il motivo del “Gloria all’Egitto, a Iside” di Aida, così come l’introduzione della cabaletta di Giacomo “Franco son io” richiama la celebre aria di Ernani e sarà poi ripresa nella “Pira” del Trovatore. L’attacco del secondo atto anticipa lo scoppio del Dies Irae del Requiem del 1874. E così via potremmo proseguire, diventando però didascalici.

Quando si parla di direttori come Chailly, è arduo limitarsi a un’aggettivazione prettamente musicale perché, quando dirige, non sembra solo un direttore, ma un vero generale, che istruisce il proprio esercito anche solo con lo sguardo. La capacità di Chailly di indagare i testi verdiani e la sua eclettica preparazione musicale e culturale gli consentono di ottenere ottimi risultati dall’orchestra della Scala, nei cui cromosomi scorre l’essenza delle sonorità verdiane. A eccezione di qualche momento di lieve scollamento tra il coro e golfo mistico, piena sintonia d’intenti con i cantanti, ben coesi con la compagine orchestrale grazie a una direzione attenta alle esigenze delle voci. Su invito del Maestro Chailly, apprezzabile il ripristinato uso del frac fra i professori dell’orchestra.

Passando alla regia di Moshe Leiser e Patrice Caurier, esprimiamo soddisfazione per un’idea al contempo moderna e tradizionale. La presunta debolezza del libretto di Solera non è qui un mero pretesto a scapito della musica, quanto l’occasione per ribaltare in modo originale tali incongruenze nell’animo della protagonista. La Giovanna di Leiser-Caurier è una donna incastrata nelle sue psicosi e dilaniata dai propri conflitti. Rispetto al personaggio storico, qui Giovanna non combatte sul campo, ma lotta contro sé stessa, dividendosi tra l'ardore religioso, l'anelito alla guerra santa e alla purezza, e quello terreno, nell'amore di Carlo VII.

Giovanna s’inserisce nel filone delle eroine dalla psicologia anfibia, mistiche-streghe, sante-dannate, pie-ribelli. Alla fine cede all’amore di Carlo e per questo sarà punita dal padre che nel II atto le chiederà “Pura e vergine sei tu?” (frase che la censura mutò in “Non sacrilega sei tu?”, considerando meno scabroso il tema demoniaco di quello sessuale). Un’imprecazione che Giacomo rivolge a Giovanna con tono autoritario e ossessivo, per ben tre volte, ogni volta salendo di un semitono, così anticipando la scena del giudizio di Aida. Giovanna tace perché già si sente in colpa. Le visioni di Giovanna sono visioni di rimorso e pentimento, con le quali si autoaccusa, e viene accusata e nei suoi deliri; Giovanna intravede quindi la sua morte, fino a morire effettivamente, consunta dal dolore e dal disagio psichico.

Una regia raffinata e concettuale, plasmata sulla psiche della protagonista. Tutto ciò che si vede è nella mente di Giovanna, come una continua sequenza onirica che si mescola con la realtà esterna della sua camera e del padre. Le scene di Christian Fenouillat collocano la vicenda in una stanza da letto medio borghese che si apre per accogliere le “visioni” di Giovanna, qui raffigurate con le efficaci proiezioni di Etien Guiol e le luci di Christophe Forey. Quando Giovanna sogna di fuggire dalla sua stanza (simbolo dell’oppressione della società) compaiono video di battaglie; quando sogna di amare Carlo, appaiono raffinati amplessi erotici che ricordano le scene d’amore del film di Luca Guadagnino Io sono l'amore; quando inizia a intravedere la sua morte compaiono angeliche nuvole azzurre.

La cattedrale di Reims, alta otto metri e mezzo, domina il terzo atto esprimendo peso di una fede dogmatica imposta dall’alto; in tutta l’opera, la protagonista si rivolge e dialoga con una statua della Madonna, in formato putto da giardino: una sorta di totem religioso simbolo della misericordia cui la ragazza si affida.

Non c’è alcuna connotazione politica nel personaggio di Giovanna che qui è una ragazza di oggi, vittima dei propri tormenti e delle incertezze della società contemporanea, in bilico tra aspettative sociali e autentici desideri d’amore (non a caso il vero tema dell’opera, che ne provocò la censura, è quello della sessualità femminile, percepito come onta più grave delle contaminazioni demoniache dell’anima).

Protagonista cui viene richiesto, dunque, anche un notevolissimo impegno attoriale, si guadagna la palma della serata l’autentica star di questa produzione, il soprano Anna Netrebko. Il ruolo di Giovanna richiede una vocalità versatile in grado di sostenere con pari abilità gli impervi passaggi belcantistici con picchi fino al re sovracuto e frasi drammatiche che si spingono con voce piena fino al do sotto il rigo. Netrebko, migliore interprete verdiana del momento, soddisfa appieno le esigenze dell’opera, inserendosi nel solco delle grandi Giovanne del 900, da Tebaldi a Ricciarelli da Andersen a Caballé.

L'artista scolpisce il nucleo vocale e l’essenza registica di Giovanna d’Arco impadronendosi della complessa psiche dell'eroina francese e trasmettendo lo smarrimento di una donna ora fiera, forte e orgogliosa, ora fragile, impaurita e turbata. La voce è calda, luminosa e di bel colore e l'emissione è morbida e pastosa, senza mai alcun accenno di forzatura. L’omogeneità timbrica ed espressiva è costante sia nel registro grave sia in quello acuto, dove non sono mancate soavi mezzevoci e acuti penetranti. Buono il “Sempre all’alba ed alla sera” e anche il “Pronta sono” “Son guerriera” è eseguita con tutto l’impeto di un’eroina risorgimentale e con un colore che realmente sa di Verdi.

Di pregio anche il contributo di Francesco Meli nel ruolo di Carlo VII, che richiede un impegno vocale ingente, per quantità di romanze cabalette e duetti. Nel ruolo di Carl, ci sono spunti di una vocalità pre-verdiana, ma anche elementi dei futuri ruoli tenorili. Carlo alterna momenti impetuosi e ad altri da cantare a fior di labbro. Emissione morbida, timbro pulito, tecnica raffinata e il consueto accento nobile, Francesco Meli dà il meglio nella cavatina del primo atto e nel duetto del finale del secondo. Il personaggio è reso con il giusto realismo, nonostante l’opprimente look total gold che lo impegna dalla testa ai piedi.

In sostituzione dell’indisposto Carlos Alvarez, abbiamo apprezzato il Giacomo del baritono fiorentino Devid Cecconi. Figura paterna che anticipa, per insistenza e autorità, quella di Germont o di Rigoletto, “il padre” è un personaggio che ha a che fare con i deliri psicologici di Giovanna più che con la storia. Anche qui le contraddizioni dell’opera si riverberano nella psicologia di Giacomo, premuroso padre che ama la figlia, ma che al contempo la condanna e infine la comprende e la perdona. Vocalità tipicamente verdiana, il fraseggio è buono e le scene dell’inquisizione di Giovanna vengono rese con il giusto carattere.

Quarto protagonista indiscusso della serata il coro, cui Verdi riserva un ruolo fra i più pregnanti nella sua produzione giovanile. La partecipazione al dramma di Giovanna è intensa e le pagine corali sono qui momenti salienti dell’opera, come nell’antica tragedia greca. La tinta verdiana e la trasposizione in suono di quanto scritto dall’autore sono state bene espresse dalle voci dirette da Bruno Casoni. Bene anche il Talbot di Dmitry Beloselskiv e il Delil di Micheel Mauro.

A fine serata circa 15 minuti di convinti applausi da parte di un pubblico entusiasta e una vera standing ovation per la star Anna Netrebko. Un’ottima apertura di stagione all’insegna della sobrietà e della qualità.

 

foto Brescia Amisano